Fotografia come terapia
di Redazione

Nell’ambito della rassegna “Nuvole”, sarà inaugurata questo venerdì 14 settembre a Vestone la mostra di fotografie scattate dagli adolescenti del centro diurno “Raggio di Sole – Coop. Fraternità Brescia” nell’ambito del progetto di fototerapia


“Ci sono. Mi vedi?” è la mostra fotografica nata da un progetto di fotografia più ampio realizzato dagli adolescenti del centro diurno “Raggio di Sole – Coop. Fraternità Brescia”  insieme alla volontaria, fotografa professionista, Chiara Cadeddu.

Nell’ambito della rassegna “Nuvole” - Eventi in Valle Sabbia per raccontare la salute mentale – la mostra sarà inaugurata questo venerdì 14 settembre alle 17 negli spazi della Sala Moroni a Vestone, visitabile poi fino al 21 settembre, dal lunedì al venerdì, dalle 15.00 alle 18.00

Traendo spunto dal lavoro dall’artista inglese Laura Williams e dai suoi autoritratti con lo specchio, gli scatti in mostra intendono esprimere un’idea di società che non vede l’adolescente come individuo completo, poiché in fase di transizione verso l’età adulta. L’uso dello specchio diviene così strumento per nascondersi, mimetizzando l’occhio dell’osservatore, ed evidenziare le difficoltà del mondo adulto nel cogliere fino in fondo il confronto con l’adolescenza.

In occasione dell’inaugurazione saranno presenti i pazienti del Centro Diurno Stella del Mattino che racconteranno della loro esperienza.

Il progetto parte dall’idea di utilizzare lo strumento macchina fotografica per raggiungere alcuni obiettivi terapeutici: sviluppare la capacità creativa dei ragazzi e potenziare la capacità di lavorare in gruppo seguendo determinate regole di convivenza sociale, (l’attività è stata vissuta al di fuori del Centro Diurno ,negli ambienti di vita dei ragazzi), di relazione tra i membri del gruppo, rispettando il lavoro e le possibilità di ognuno, ma anche regole tecniche legate all’utilizzo di una macchina fotografica.

Dopo un periodo di lavoro con la macchina fotografica si è pensato di ragionare su un progetto di più ampio respiro utilizzando un altro strumento: lo specchio.

La difficoltà evidente di queste fotografie, sincronizzare l’immagine riflessa nello specchio facendola coincidere con il resto del ambiente fotografato, ha obbligato fotografo/modello a comunicare in modo preciso e funzionale per poter raggiungere il risultato stabilito, fotografo e modello erano due pazienti del Centro Diurno.

Quindi, queste opere, sono in primo luogo, un risultato riabilitativo importante, ma non solo, risultano anche una seria riflessione sull’adolescenza. Le fotografie ritraggono ambienti e luoghi classici della vita non impegnata dei ragazzi e in generale degli adolescenti bresciani; le fotografie, per scelta non sono state scattate nei luoghi “formalizzati”, come scuole, famiglia, oratori.

Sono stati, invece, scelti i luoghi informali della città di Brescia, come i parchi, il centro storico e la periferia. Ambienti scelti da loro e nei quali spesso si identificano. Nelle immagini l’ambiente rimane sullo sfondo e intorno al modello, sembra quasi includerlo, inglobarlo se non addirittura assorbirlo. Il luogo di vita non fa solo da sfondo all’immagine, ma entra anche nello specchio invadendo l’immagine della persona, entrando dentro di essa o coprendo il suo volto.

L’immagine riflessa
si sostituisce al volto del ragazzo, quasi a voler rappresentare, essa stessa, la fisionomia della persona, coincidendo con la realtà dell’ambiente circostante. Confondendo la persona con il luogo.

Le opere parlano di questi ragazzi mimetici
, persone che fuggono una loro personalità immedesimandosi con il luogo o la situazione di vita che hanno scelto, o che qualcuno ha scelto per loro. Adolescenti che hanno tolto le maschere e, che addirittura, scompaiono agli occhi della società, riapparendo a tratti, ma quasi mai nella loro autenticità di sguardi, visi ed espressioni, spesso solo stigmatizzati nei luoghi di adozione.

In molti casi è però
l’adulto stesso che guarda attraverso il volto del ragazzo, trapassandolo con lo sguardo e osservando solo la condizione sociale e il contesto, sicuramente più facile da interpretare e criticare. Nello specchio non si vede mai riflessa nessuna persona, nessuno osserva direttamente questo vuoto, pieno esclusivamente di costruzioni, mattoni, colonne, auto, erba e tanto altro. Riflettersi nel vuoto o nella sofferenza di chi si ha di fronte può essere pericoloso, sicuramente stimolante ma certamente rischioso.

Negli scatti l’adolescente ritratto è solo, non è in gruppo, non è inserito in un insieme di coetanei. La solitudine disegnata in queste foto rappresenta la condizione di alcuni ragazzi, resi soli spesso dalla sofferenza, dalla malattia o dalla disillusione.
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