Rape rosse per te
di Ezio Gamberini

Rape rosse per teeee, ho comprato staseeeraaaa… No, contrordine amici, si trattava di rose!...


Beh, ai giorni nostri chiunque può dire tutto, o il contrario di tutto, ottut, insomma, con l’alta probabilità che sia comunque creduto, o in ogni caso non sia sconfessato all’istante, come accadeva una volta, quando gli imbecilli erano trattati come tali, a “like” nel c…, in sostanza.

Ah, come aveva ragione Umberto Eco quando disse:
“I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”.

Il presidente americano s’incontra con l’omologo russo, tarallucci e vino, pardon, vodka e caviale.
Rispondendo a chi li critica, insieme convengono che:
“Sono tutti quanti dei cattivoni, e invidiosi! Tutte fake news, quando parlano male di noi, o di possibili interferenze nelle elezioni!”, e poi, calcando la mano, “L’Europa è il vero nemico. Il nemico numero uno!”.

Quando ritorna a Washington, e mette piede nella stanza ovale, i suoi gli fanno uno “shampoo” colossale, e dopo poche ore, in un comunicato stampa, il presidente comunica alla nazione e al mondo intero che FBI e CIA sono le agenzie migliori del mondo, la fiducia in loro è massima; tutto il resto sono fake news.

Per fortuna non c’è più Enzo Biagi, il grande giornalista, che degli Stati Uniti aveva un concetto altissimo (ricordiamo soltanto il ruolo fondamentale che ebbero nel 1945 per la liberazione del nostro paese), perché se vedesse quanto succede oggi, si metterebbe a piangere: un muro al confine con il Messico, protezionismo esasperato e imposizione di dazi, difesa a oltranza nel diritto di possedere armi di qualsiasi tipo, separare figli e genitori migranti che tentano di entrare nel paese, un presidente che assomiglia a un cartone animato….

America, America, dove stai andando?

Ricordo la commozione che provai nel 2004, a Ground Zero, nel visitare il museo che avevano allestito dove erano collocate le Twin Towers, in occasione della seconda maratona che corsi a New York, mentre enorme fu l’emozione nel salirvi, fino a raggiungere i quattrocentoventi metri di altezza all’ultimo piano, quando lì vi disputai la mia prima maratona in assoluto, nel 1999.

Provai per quel popolo e quella nazione un profondo sentimento di condivisione.
Nelle due occasioni in cui visitai gli Stati Uniti, mentre camminavo per le vie di New York, mi sembrava di essere un cittadino del mondo, tra una folla di bianchi, neri, gialli, meticci, olivastri o con gli occhi a mandorla.

A Washington restai a bocca aperta, toccando il modulo che aveva portato sulla luna il primo uomo; a Chicago restai stupefatto nell’essere trasportato su un mezzo senza autista, da un gate all’altro, nell’aeroporto tra i più trafficati al mondo, senza contare l’entusiasmo dei due milioni di spettatori che ci hanno sostenuto sui quarantadue chilometri percorsi nei cinque quartieri di New York, Staten Island, Bronx, Queens, Brooklyn e Manhattan, nelle due maratone che ho disputato.     

Lo ripeto: l’ammirazione per quella nazione e quel popolo era davvero sconfinata.
Ma oggi, l’immagine che s’insinua con forza nella mia mente è quella di un grattacielo di trenta piani, il cui tetto comincia a sfaldarsi per le incessanti piogge che lo affliggono da tempo remoto; dopo averlo eroso, l’acqua penetra e allaga l’ultimo piano, con effetti nefasti: tutto distrugge e annienta.

Che fanno gli altri condomini? Quelli ai piani più bassi quasi non si scuotono neppure, ce ne vorrà del tempo prima che siano interessati dal fenomeno, mentre più si sale, più gli accorgimenti sono geniali e appropriati: antimuffa, cellophane, rivestimenti isolanti, sigillanti impenetrabili, muri inaccessibili…
Ma a nulla varrà, perché l’acqua alla fine invaderà ogni luogo e tutto sarà distrutto, inesorabilmente.

Nelle scorse settimane abbiamo assistito trepidanti all’evento che ha coinvolto i ragazzi intrappolati nelle grotte sotterranee in Thailandia.
Per loro abbiamo sperato, invocato, pregato, e infine gioito, quando gli eroici soccorritori sono riusciti a estrarli sani e salvi, tutti e dodici, insieme al loro allenatore.
Tutto il mondo si è sentito “Uno”, non esistevano più nazioni o stato sociale, razza o ricchezza, i ragazzi erano come i nostri figli o i nostri fratelli, e il lieto fine ha rallegrato ogni uomo sulla terra, indistintamente.

Chissà se fra cento generazioni, tra duemila anni, questa vicenda potrà essere ricordata come l’inizio di una nuova era, con i novelli dodici “apostoli” e il loro “maestro” a ricordare a tutti che finalmente il mondo, senza più confini, si chiama “Uno”, e i poveri disperati (perché i disperati ci saranno sempre), non sono più tuoi, miei, o suoi, ma semplicemente nostri.

Ezio Gamberini

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