L'altruismo dei serlesi
di val.

In altre occasioni sono stati definiti omertosi, reticenti se non addirittura ostili nei confronti del “forestiero”. Invece si stanno facendo in quattro, richiamati dal loro sindaco, nella ricerca di Iuschra



Sono stati mandati via il giovedì sera che cominciava a fare buio, perché era importante che non ci fosse nessuno in giro quando si è trattato di far entrare in azione con elicotteri e droni i sensori di calore.
Ma al mattino del venerdì erano già lì di buon’ora, pronti a fare la loro parte nelle ricerche.
E oggi di nuovo, anche se le speranze di ritrovare in vita Iuschra si fanno più flebili.

Si tratta dei serlesi, in particolare di quelli che conoscono bene i boschi di Cariadeghe.
Per loro non hanno segreti il dedalo di sentieri, le insidie del territorio carsico costellato di depressioni che nel fitto del bosco fanno perdere l’orientamento, gli “Omber” e soprattutto i “Büs” che a decine, più o meno censiti, si aprono all’improvviso svelando chilometri di gallerie e di grotte.

La presenza di queste persone è stata fondamentale nell’organizzazione delle ricerche: almeno uno di loro per squadra, ciascuna delle quali formata per lo più da sette individui, con unità cinofile, tecnici del Soccorso alpino, volontari della protezione civile, ma anche semplici volonterosi, hanno garantito nei due giorni di ricerche la coerenza dei vari “rastrellamenti”.
Altri hanno messo a disposizione i fuoristrada, le moto, i quad per gli spostamenti.

I profondi conoscitori dell’Altopiano insomma, ma anche moltissimi loro compaesani, in altre occasioni descritti omertosi, reticenti se non addirittura ostili nei confronti del “forestiero”, non si sono certo tirati indietro nella gara contro il tempo ingaggiata per trovate Iuschra e riportarla in salvo, condividendo le ansie e le preoccupazioni dei familiari e anche quelle degli operatori che loro malgrado se la sono lasciata sfuggire di mano.

A chiamarli a raccolta, i serlesi, il sindaco Paolo Bonvicini, che non ha praticamente mai abbandonato la base operativa delle ricerche e, abile sui “social”, si è posto come necessario intermediario fra le esigenze di chi stava coordinando la macchina dei soccorsi e tutti i pezzi necessari per farla marciare sicura sul territorio, mettendo a disposizione tutto ciò di cui poteva disporre: personale volontario ma anche l’assistenza sociale, fino alle bottiglie d’acqua per dissetare i volontari.

Paolo Bonvicini è anche uno psicologo e come tale ha le sue idee su come rintracciare una ragazzina che scappa di proposito quando la si cerca, che si spaventa per i rumori, che si nasconde quando è impaurita.

«Finché vogliamo considerarla viva e capace di reagire dobbiamo adottare delle strategie per farla uscire allo scoperto – diceva ancora ieri, riportando le indicazioni raccolte dai genitori -. Chi la sta cercando deve sapere come si comporta a determinati stimoli.
Bene la registrazione del padre che la chiama, ma anche le musiche di “Mascia e l’Orso” o di “Frozen” che sono le sue preferite, per tirarla fuori dal bosco.
Se qualcuno poi dovesse incontrarla può solo porgerle il braccio piegato e sperare che lei acquisisca fiducia: le piacciono le persone coi capelli biondi, i succi di frutta, le patatine, lo sventolio di oggetti colorati, gli occhiali da sole infilati sui capelli. Bisogna che tutti sappiano queste cose, che se sente rumori o agitazione nelle persone che incontra fugge lontano».

Il problema vero è che nessuno più l’ha vista o incontrata, dopo le 11 e 30 di giovedì.


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