C'era un ragazzo
di John Comini

Sono tornati a casa. Sono 100 tra alpini, fanti e bersaglieri morti in Russia, durante le violenti battaglie sul fiume Don. Ora riposeranno nel sacrario militare di Cargnacco, in Friuli. Di loro, 94 resteranno ignoti 


Quando penso al sacrificio dei nostri soldati,
non posso dimenticare che erano tutti ragazzi, nel fiore degli anni più belli. Tutti avevano una famiglia, tutti avevano degli affetti, tutti avevano un sogno, tutti avrebbero voluto “tornare a baita” e vivere in pace. Vorrei dedicare alla memoria di quei ragazzi alcuni brani tratti da “Dov’è Nicolajewka?”, una storia che pare lontana nel tempo, facile da scordare, ma che il Teatro Gavardo rappresenta affinché non vada dimenticata, mai…
 
“Lungo la riva del Don c’è come un villaggio sotterraneo scavato con giorni e notti di lavoro. È arrivato il generale inverno. Gli uomini cominciano a trovare nella gavetta un blocco di ghiaccio. Gli alpini giorno e notte scrutano il cielo in una snervante attesa. Il fiume è gelato. Ormai la lastra di ghiaccio può reggere anche i carri armati. È l’ora dei russi. 
 
Arriva il Capitano:- Abbiamo l'ordine immediato di ritirarci. I russi ci stanno chiudendo in una sacca. Che ci piaccia o no dobbiamo sparare per aprirla sto sacca, se stiamo insieme forse ce la facciamo. Dobbiamo restare sempre uniti, ricordatevi questo, sempre uniti. 
 
Notte nera, partiamo. Nessuno di noi ha la minima idea di quello che ci aspetta là fuori, ma come bestie che fiutano la trappola, abbiamo paura.
La temperatura scende. La colonna si allunga, i ritardatari perdono sempre più terreno. Il nevischio sollevato dal vento ci costringe a camminare curvi, piegati in due. 
 
Arriviamo a un grande villaggio in fiamme: scoppi, depositi di munizioni che saltano in aria. Superiamo lunghe code ferme di slitte, di automezzi. La confusione è tremenda. Gente che urla, gente disperata. Colonne che arrivano, che partono, che si urtano, che si intralciano. In poche ore la situazione precipita. La parola d’ordine  è di salvare il salvabile. Ormai non si parla più di ripiegamento, ma di ritirata. La nostra vita è veramente appesa ad un filo. Migliaia di disperati si dibattono tra le isbe in fiamme, come un formicaio impazzito. Tutti con la stessa angoscia nel cuore, tutti con il terrore dei carri armati.

- Restiamo uniti, restiamo uniti!
 
Arriva un aereo russo a mitragliarci, lancia bombe incendiarie: uomini, slitte, muli che volano per aria. C’è l’impressione che sia finita.
Gli ufficiali si chiedono:- A Roma conoscono la nostra situazione disperata? E se la conoscono, perché non tentano di salvarci?  
Gli uomini si mordono le labbra per far circolare il sangue, i cappotti sono ricoperti di uno strato di ghiaccio.Se non cammini, muori assiderato. Bisogna muoversi, far muovere i piedi e il cervello, tenersi svegli. Il vento si fa tormenta. Bisogna tenere forte la coperta che ci ripara la testa e le spalle. Ma la neve entra di sotto e punge il viso, il collo, i polsi. 
Ma si cammina. Un passo dietro l’altro, un passo dietro l’altro, un passo dietro l’altro.
Se in testa si fermano, ci fermiamo tutti. Nessuno parla, sembriamo una colonna di ombre. Madonna quanti che siamo: ungheresi finlandesi rumeni tedeschi, una torre di Babele… Non devo perdere di vista i miei compagni.
 
Regina della neve, quanti passi devo fare?  
 
Viene la notte e arriviamo in un piccolo paese nella steppa. Cerco un’isba, busso. Mi rispondono in tedesco: Raus! O in bresciano: Encűlet! Ma poi va di lusso: occupiamo un’isba tiepida. Una vecchia e una bambina sono sedute per terra vicino alla stufa. Mi guardano terrorizzate. Cerco di rassicurarle. 
 
Ho mezza pagnotta ma ormai è di pietra per il gelo. E’ la Russia: bisogna tenersi la fame con il pane in tasca. Ci buttiamo per terra esausti.
Si riparte subito perché abbiamo i russi alle calcagna. La pianura bianca di neve è punteggiata di morti. Basta uno scrollo del mulo a far rotolare giù dalla slitta i feriti. Restano là, nella steppa.
 
Non ce la faccio più. Pian piano cedo alla tentazione di dormire. La neve è morbida, pare un cuscino, per un minuto solo ci si può stare… Mi addormento. Sento una voce: “Alpino, dai, cammina!”. Mi dà uno schiaffo, mi fa rinvenire e mi aiuta ad alzarmi. Non l’ho più visto… Mi ha salvato la vita e non l’ho più visto...
E’ stato colpito un capitano. E’ disteso sulla slitta circondato dai suoi uomini. Hanno capito che non c’è nulla da fare. Tuttavia vogliono tentare il trasporto e sperano oltre lo sperabile. Il capitano apre gli occhi. Vede lo scoramento dei suoi soldati e si rivolge all’attendente, agli ufficiali, agli alpini “Beh, dice, che cosa sono queste facce da funerale?” 
 
La slitta si ferma. Gli alpini non sanno che cosa rispondere. Il capitano guarda con tenerezza i suoi uomini “Non è tempo di piangere, vedrete che tutto andrà bene. Intanto cantiamo la canzone che abbiamo sempre cantato insieme.” La intona lui: gli alpini, l’attendente, gli ufficiali cantano.  
 
Poi si prosegue. Il capitano peggiora. Dalla sua bocca non esce un lamento. Durante una fermata alcuni alpini vengono a salutare il loro comandante. Alzano la coperta della slitta. Il capitano è morto. Vicino ai ruderi di una casa gli alpini scavano una fossa nella neve. Il capitano viene adagiato sul fondo, avvolto in una coperta di casermaggio. Sul cumulo di terra e di neve, vengono posti una croce di legno e un elmetto con la stella alpina.
 
Addio, mio capitano.
Qualcuno scatta sull’attenti e fa il saluto.
Addio, mio capitano.
Davanti alla tomba passano ora gli sbandati. Passano e non guardano al cumulo di neve, all’elmetto con la penna d’alpino. 
Il crepitare dei colpi riempie la notte.
Una figura nera appare nel bianco orizzonte. Un cammello? Cosa ci fa un cammello in mezzo alla neve? Sarà un miraggio. 
 
- Ghò vist un camel.
- Che ghet vist? 
- Un camel.
- Beer de meno no, neh? Varda se ghè a pò i elefanti che vùla! 
- Tel giure che l’ho vist. 
 
Un alpino tiene il cammello alle redini.

  -El el tò chel camel lè? 
- L’è mia ‘n camel, l’è ‘na camela! La se ciama Tota. Da sula la tira 3 slite cargade de fericc e congelacc… L’è mei de tre mui miticc en sema…
 
E poi riprendiamo il cammino, avanti, avanti, seguiti dalle ombre degli sbandati.
 
Avanti avanti, a passo lesto, benché stanchissimi, affamati
 
Avanti avanti, con l’aereo tedesco che ci avverte che la strada è sbarrata e dobbiamo fare dietro front e prendere un’altra strada
 
Avanti avanti, con l’illusione di placare la sete sciogliendo in bocca la neve.
 
Avanti avanti, rubando galline, mangiandole mezze crude con le penne attaccate alla barba
 
Avanti avanti, scaldandoci a un’autoblindo bruciata
 
Avanti avanti, con i muli che non ce la fanno più ma vanno avanti
 
Avanti avanti, con la paura che i russi ci attirino in trappola
 
Avanti avanti, sentendoci perduti e poi pieni di speranza e poi ancora perduti
 
Avanti avanti, oltrepassando il fiume gelato
 
Avanti avanti, accarezzando come bambini questi nostri poveri piedi per difenderli dal congelamento
 
Avanti avanti, nella steppa che sembra allargare all’infinito i suoi confini
 
Avanti, avanti. Finché…
 
La colonna si ferma davanti a Nikolajewka, una cittadina così simile ai nostri borghi prealpini. È l’ultimo ostacolo. Se passiamo di là siamo salvi.
Urlando e facendosi largo tra la folla, passano i reparti che devono portarsi in zona di combattimento. In testa, gli ufficiali danno l’esempio e guidano l’attacco. I feriti e i congelati attendono nelle slitte. Gli alpini si battono con decisione estrema. Guardiamo con trepidazione e angoscia questi eroi che sacrificano la vita per noi. Ma i russi resistono e la gelida notte si sta avvicinando.
 
Le pallottole battono sulle rotaie della ferrovia con rumore di tempesta e mandano scintille. Le ore passano e aumenta la sensazione che non si andrà oltre. Nikolajewka sarà la nostra tomba. 
Vedo il cappellano. E’ pallido, ha gli occhi fondi, è dimagrito in modo impressionante, ma non ha perso il suo sorriso. -Va male, non riescono a sfondare. Ma non è ancora detta l’ultima parola. Ragazzi non è il momento di farvi prediche: siete in pace con Dio? Se mi dite che vi fa piacere vi do l’assoluzione. Confessarci in questo momento? Non occorre! Basta che chiedete misericordia a Dio e gli offriate la vostra vita, così com’è! La penitenza la state già facendo da  un pezzo. Io vi assolvo e vi assolvo tutti, in nomini patris et filii…               
 
Ci abbracciamo. Se non usciremo di qui, ci vedremo in Paradiso.
I russi continuano  a sparare da matti, corpi feriti e cadaveri vengono trascinati dietro il terrapieno, accanto agli alpini accucciati e pronti per un nuovo attacco. Con le prime ombre della notte il gelo aumenta. 
A un tratto una voce percorre e scuote con un brivido le truppe schierate  E’ un generale sopra ad una autoblindo tedesca che grida “"Alpini! Vi ho portato in Russia e vi voglio riportare in Italia! Tutti i vivi all’attacco!” È come toccare un formicaio.
  
Quel grido rimbalza di soldato in soldato e scuote l’immensa colonna: migliaia di soldati rotolano uno sull’altro verso il basso come una valanga.
I russi impauriti vedono questa massa disperata e si danno a precipitosa fuga. Corriamo a occupare le isbe.   
 
Entriamo e troviamo la padrona di casa che sta sfornando il pane. Seduti alla tavola 4 o 5 soldati russi.  Chiediamo del pane, la donna chiede il permesso a quei giovani che con un cenno dicono di sì. Ci fanno mangiare una zuppa di patate, poi usciamo:
-Spaziba Dasvidanija, grazie arrivederci. 
Questa notte qui a Nikolajewka in molte isbe soldati russi e soldati italiani dormono assieme. Il cielo sopra Nicolajewka è trapuntato di stelle.”
 
Grazie a quei ragazzi. Grazie alle persone che cercano di trasmettere ai ragazzi di oggi i valori della libertà, dell’umanità e della pace.
 
Maestro John 
 
Nelle foto:
- La “Tota”, la cammella ribattezzata “Valchiese”, affidata alle cure dell’alpino Bignotti
- Nella neve
- L’alpino Ondei con alcuni studenti di Prevalle sul Monte Stino
- Andrea Giustacchini (voce narrante) accompagnato dalla fisarmonica di Luca Lombardi, presso il Rifugio Garibaldi ai piedi dell’Adamello. Lo spettacolo ha la regia di Peppino Coscarelli, la collaborazione tecnica di Sara Ragnoli ed è liberamente tratto dal libro di Maurizio Abastanotti (Liberedizioni)
 
 
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