La tintoria
di Ezio Gamberini

La signora Maria considerò come un miracolo, il nuovo colore dei pantaloni di Adelmo, l’amato marito, anche se burbero e scontroso. Osvaldo, il padrone della tintoria, era proprio un mago nella sua arte…


...Il vero miracolo avvenne però quando il marito li indossò per la prima volta: all’improvviso, da sgarbato e scortese, divenne gentile e premuroso, tutto miele e moine nei confronti della moglie, che non credeva ai suoi occhi. Le fece dei complimenti che non le rivolgeva da anni, era carino e amabile.

Cos’era successo? 

La tintoria dell’attempato Osvaldo era accanto alla torre civica, nel centro del paese, e tutti lo conoscevano e apprezzavano per la sua semplicità e benevolenza.
Con i clienti poi, specialmente di sesso femminile, era di una cortesia squisita, che generava empatia sin dal primo incontro.

Capitava così che, lava una camicia oggi, tinteggia un paio di pantaloni domani, soprattutto le signore lo consideravano come un fratello, e finivano per confidargli pene e delusioni, dispiaceri e dolori, crucci, tormenti, sospetti, dubbi, angosce, inquietudini; cosicché Osvaldo, per ogni problema, infilava nella lavatrice l’additivo appropriato a ogni caso, che conservava in fialette trasparenti sotto il bancone, e trattava in questo modo gli indumenti che appartenevano ai congiunti delle “sventurate”.

Si trattava di una serie di fialette, contenenti polverine di vari colori, che aveva ereditato da suo padre, e da generazioni i suoi avi si tramandavano il prezioso e stupefacente tesoro.

Così la signora Maria poté rallegrarsi per il marito, mentre la signora Brunella, che in un momento di debolezza aveva confidato a Osvaldo tutte le sue preoccupazioni per il figlio che aveva dilapidato una fortuna al gioco, quando gli fece indossare la giacca che aveva appena ritirato dal bottegaio, rimase incredula nel vederlo dichiarare di volerla smettere con quella vita, riuscendo a mantenere la parola!

Anche Silvana, la giovane mamma di un bambino simpatico e vivace, il cui consorte ormai da qualche tempo non faceva che ubriacarsi, da quando aveva perso il lavoro, assistette a una vera trasformazione del marito, dopo che quest’ultimo indossò il giaccone fresco di tintoria, riconsegnatole da Osvaldo con un sorriso.

E pure Rebecca rimase stupita nel vedere improvvisamente rinsavito il suo fidanzato che, dopo aver indossato la camicia appena ritirata dalle mani del mite esercente, non si azzardò più a toccare “roba” di alcun tipo, e in modo permanente.

Osvaldo ascoltava, ascoltava, e poi meditava, a lungo, e secondo i casi aggiungeva ai capi d’abbigliamento un particolare tipo di polvere. Ne bastava qualche granello, una dose infinitesimale, insomma.
La cosa incredibile è che mai nessuna cliente si fece domande sulle cause dei repentini miglioramenti dei rispettivi congiunti: non furono mai sfiorate dal dubbio che la ragione fosse da imputarsi all’indossare gli indumenti lavati o tinti nel suo negozio.

E mai nessuno venne a saperlo.

Gli anni passavano, e le cose cambiarono.
Pareva quasi che tutte le norme e i regolamenti fossero stati scritti apposta per far scomparire qualsiasi attività commerciale di dimensioni ridotte. Solo i pachidermi sopravvivevano, fino a quando un nuovo mastodonte ancora più gigantesco, appropriandosi di tutto il nutrimento disponibile, non ne provocava l’inevitabile estinzione.

Osvaldo era stanco e vecchio, senza alcun figlio cui poter affidare ciò che aveva ereditato da suo padre.
L’ultimo giorno in tintoria, prima di chiuderla per sempre, prese tutte le fialette piene di polverina colorata, che teneva sotto il bancone, le aprì e ne versò il contenuto nelle acque del fiume che scorreva proprio accanto al negozio.

Ci avrebbe pensato lui, con le sue onde impetuose che avevano anche la capacità di distruggere ogni cosa, o, al contrario, per mezzo del placido scorrere di acque talvolta cristalline, a dispensare ciò che gli era più caro, senza regole, spargendo i preziosi frammenti in ogni luogo, per beneficiare chiunque avesse avuto soltanto il desiderio di riceverli, la speranza di poterli apprezzare e, alla fine, la grandezza per rallegrarsene, senza chiedersi un perché.

Ezio Gamberini


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