Il colera a Brescia nel 1836
di Giancarlo Marchesi

Sarà presentato questo giovedì sera nella biblioteca civica di Vestone il libro di Alessandro Bertoli e Alberto Vaglia con un carteggio sull'epidemia di colera che nell'Ottocento sconvolse l'intera Europa e anche Brescia



Sarà presentata giovedì presso la sala conferenze della Biblioteca civica Vestonese, l’ultima fatica di Alberto Vaglia, medico specializzato in malattie infettive, figlio del compianto storico e letterato sabbino Ugo e di Alessandro Bertoli, avvocato penalista, appassionato ricercatore di preziose carte d’archivio, pubblicata sotto gli auspici della Fondazione Civiltà Bresciana, dal titolo «Brescia, 1836. Anno del colera nelle lettere di Gaetano Scandella», Ebs prin, pp. 141, 2017.

Per l’occasione interverranno gli storici Paolo Corsini, già sindaco di Brescia, e Alfredo Bonomi, in rappresentanza della Fondazione civiltà bresciana.

Il colera è stata una delle più tenute malattie pandemiche, tanto che pochi anni fa piegò Haiti e continua a essere un morbo largamente diffuso in molti altri Paesi in via di sviluppo.

Se ai nostri giorni il colera sparge lutti e desolazione nelle realtà dove la scarsa disponibilità d’acqua pulita rappresenta una questione con la quale misurarsi quotidianamente, nel primo Ottocento il terribile morbo imperversava in Italia. Fra il 1836 e il 1837 mise radici in tutti gli stati regionali dell’epoca: una grande paura si diffuse lungo la penisola, dal Piemonte al Lombardo-Veneto, dal Granducato di Toscana allo Stato Pontificio al Regno delle Due Sicilie.

Nel 1836 l’intero Bresciano fu colpito dal colera: il contagio cominciò a diffondersi nel mese di aprile e infierì per sette lunghi mesi, fino all’autunno. La malattia provocò un elevato numero di vittime: stando a dati raccolti da Willelmo Menis, medico provinciale dell’epoca, furono colpiti dal morbo oltre 20mila individui, mentre i decessi sfiorarono le 10mila unità. Se, come evidenziano queste statistiche, il territorio provinciale pagò un ingente tributo, la città di Brescia venne totalmente sconvolta dal colera, tanto da risultare una delle città del Lombardo-Veneto maggiormente falcidiata dall’epidemia, con oltre 1.600 morti.

Non vi è dubbio che, in periodi diversi, molto è stato scritto intorno all’epidemia di colera che nel 1836 investì la città di Brescia, e ora la letteratura relativa a quel terribile morbo si arricchisce di un nuovo, significativo contributo a cura di Alessandro Bertoli e Alberto Vaglia, che getta nuova luce sui fatti dell’epidemia che videro protagonisti i cittadini bresciani.

Avvalendosi di un nutrito corpus
di preziose lettere che don Gaetano Scandella indirizzò a don Marco Antonio Udeschini, rinvenute dall’avvocato Bertoli sul mercato antiquario, gli autori focalizzano la loro attenzione sulla città di Brescia delineando, passo passo, l’evolversi dell’epidemia e dando un quadro della rete di assistenza predisposta dalla municipalità, relativamente pronta ad adottare precauzioni allo scopo di arginare il contagio. Ma non solo: grazie alla corrispondenza di Scandella sono messi efficacemente in luce edificanti episodi caratterizzati dalla profonda umanità dei protagonisti, come quelli che, ad esempio, videro in prima linea Paola Di Rosa, volontaria al lazzaretto e promotrice della compagnia delle Ospedaliere, poi Ancelle dalla Carità.

Il volume di Vaglia e Bertoli è arricchito da un’interessante prefazione di Paolo Corsini, già sindaco di Brescia ed ex senatore della Repubblica.



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