Neanche un prete per chiacchierar
di John Comini

Un tempo c’erano un sacco di sacerdoti. Sui manifesti c’era un lunghissimo elenco di ordinazioni presbiterali...  


Sabato 9 giugno, nella Cattedrale di Brescia, solo tre: pochi ma buoni! Anche perché, oltre a don Alex Recami e don Luca Signori, c’è il nostro don Lorenzo Bacchetta! Ho conosciuto tutt’e tre in occasione di uno spettacolo su Pinocchio, recitato dai simpatici seminaristi, durante la Festa dell’Immacolata nel 2015. Dietro le quinte c’era don Alessandro Tuccinardi, una magnifica persona, che segue con affetto la sua banda scatenata di futuri sacerdoti. 
 
Di preti ne ho conosciuti tantissimi…
 
Monsignor Luigi Ferretti, dalla figura esile ed austera ma dal sorriso accogliente;
 
Don Erminio Bertuzzi, (che noi ragazzacci chiamavamo Don Sterminio) con la sua 1100 nera, che teneva noi ragazzi nella sua casa, offrendoci la possibilità di recitare, stampare un giornalino (“Petit monde”) e suonare con le chitarre elettriche;
 
Don Giovanni Arrigotti, con la sua bici nera e il suo entusiasmo (ha 82 anni ma pare più giovane di certi giovani… );
 
Don Antonio Bonetta e la sua lucida intelligenza (memorabile un presepio “alternativo”);
 
Don Antonio Andreassi, un prete all’antica (ma ce ne vorrebbero ancora!), che conosceva la sua gente, col suo cappello di alpino, la sua voce tonante e il suo cane lupo;
 
Don Mansueto Bonera, zio degli amici Beppe e Marilena Mangiarini, ogni domenica mi invitava a leggere nella chiesa di Santa Maria e nella cappella dell’ospedale;
 
Don Fabrizio Gobbi, un ciclone sempre in attività, anche con gli altoparlanti, secondo la battuta di Gianmario: “Quelli di Villanuova si sono lamentati perché non si sente molto bene”;
 
Don Gabriele Banderini e la sua simpatia (meglio se davanti allo spiedo), conosce il modo di farti entrare in Vaticano attraverso vie occulte;
 
Don Dario Guerra, dall’Argentina (come il Papa… ), cugino della cara Rina, moglie del mitico Tano Mora;
 
Don Bruno Loda, con barba e sandali, sembrava uno dei frati predicatori medioevali;
 
Don Luigi Ghitti, di Castrezzone, con il dono della parola, le sue non sono le “solite” prediche, usa anche il dialetto per muovere i cuori e le coscienze assopite;

Don Giacomo Bonetta, ricordo le sue omelie ricche di citazioni e il suo pianto quando uno stupendo ragazzo di nome Filippo è andato in Paradiso;
 
Monsignor Cesare Polvara, con il suo scatto in bici e la sua profonda umanità; 
 
Don Flavio Saleri e la sua dolcezza, che quando era tornato dall’Uruguay hanno detto tutti: “Se l’è deentat màgher!” (a proposito, caro don Flavio, come mai non sei monsignore? Che peccati hai fatto in gioventù, in quel di Lumezzane? Eheheh);
 
Don Paolo Goffi, mio “classe” e mio amico, che ogni giorno manda a me e a un bel gruppo di persone “giullari di Dio” alcune riflessioni sul Vangelo del giorno; 
 
Don Francesco Zilioli, al quale con il Gruppo Teatrale avevamo dedicato “W il parroco!”;
 
Don Andrea Persavalli, che prima di confessarmi mi dice “Brao brao, come va col teatro?”
 
Don Eugenio Panelli, da ragazzo ascoltavo le sue omelie e ne rimanevo incantato;
 
Don Angelo Calegari e la mitica colonia di Livemmo;
 
Don Luciano Vitton Mea, innamorato del Vangelo e del Brescia; 
 
Don Angelo Marini, di cui apprezzavo la sapienza biblica e il sottile umorismo;
 
Don Dino Rivetta, che da ragazzo sfidavo a giocare a dama ma lui mi batteva sempre; 
 
Padre Ezio Bettini, comboniano, che si impegna per le adozioni a distanza in Sud Sudan (300 € all’anno, anche a rate, e salvi un bambino… )
 
Don Carlo Tartari, direttore dell'Ufficio missionario della diocesi;
 
Don Luigi Franceschetti, per molti anni in Venezuela, fratello del caro cognato Sergio;
Don Giorgio Comincioli, cugino del carissimo Daniele che ora ci sorride dal cielo;
 
Monsignor Italo Gorni, parroco “promosso” a vicario episcopale per la vita consacrata;
 
Padre Severino Perini, che in Brasile ha pagato di persona il suo essere al fianco dei poveri nelle favelas.

E poi ci sono i carissimi don Alessandro D’Acunto, don Oliviero Faustinoni, don Diego Facchetti, don Giovanni Calorini, don Pierluigi Tomasoni, don Angelo Nolli... don… don… don… Pare un concerto di campane! E chiedo perdono se ho dimenticato qualcuno (caso mai andrò da lui a confessarmi… )
 
Per parlare dei sacerdoti che ho conosciuto non servirebbe un articolo, ci vorrebbe un’enciclopedia. Ogni sacerdote mi ha donato qualcosa, ogni sacerdote ha il mio ringraziamento più profondo. Anche se sono uno zuccone, e solo un miracolo potrebbe farmi cambiare testa…
 
In famiglia avevo uno zio, don Tranquillo, missionario in Perù. E una cugina, la dolcissima suor Dina. Se parlassi delle suore che ho conosciuto, finòmm piö! Posso citare almeno suor Liliana Rivetta, suor Maria Teresa Goffi e suor Bianca Bresciani (coscritta di mia moglie), oltre alle brave suore di Casa San Giuseppe?
 
A don Lorenzo Bacchetta vorrei dedicare alcune frasi che il mio amico don Paolo aveva scritto per il saluto a don Francesco Zilioli, dopo 25 anni di parrocchiato nella comunità gavardese (ottobre 1997): 
 
“Una luce accesa dietro una tendina nella penombra della Chiesa, una bici appoggiata al muro… Sarà forse poco per dire il mio ricordo di don Francesco a Gavardo, eppure queste due immagini sono da segnare nella mia memoria, nel mio cuore, per imparare ad essere prete di Dio in mezzo agli uomini. Prete di Dio in quel suo confessionale a destra nella penombra serale della Chiesa, l’ho visto spesso e quella luce era, per me, segnale che don Francesco era al lavoro: “Silenzio! Non disturbare! Lavori in corso, l’amore di Dio per gli uomini sta arrivando a destinazione”.

Quell’immagine mi comunicava tanta pace, deve essere bello servire Dio, e forse in quei momenti ho cominciato a pensare… Ma dopo la luce nella penombra, una bici appoggiata al muro, perché appena uscito da Chiesa, la bici bisogna inforcarla per portare con velocità, semplicità, schiettezza, l’amore di Dio in giro per Gavardo, nelle strade, nelle piazze, nelle case: là dov’è presente anche solo un uomo. E la bici nera da donna, di chilometri ne ha fatti tanti, tanto ha lavorato con il suo guidatore dal basco nero, tanto insieme si sono dati da fare per il Regno di Dio. Grazie per quella tendina illuminata, grazie per quella bici appoggiata, l’amore per Dio e l’amore per gli uomini: la vita di un prete.”
 
Quand’ero bambino abitavo in Piazza De’ Medici, e sopra c’era l’appartamento della famiglia del maresciallo Murgioni, originaria della Sardegna. Salutavo Pierluigi (che poi divenne sacerdote) e sentivo il fratello “Pinuccio” (Giuseppe) giocare a biglie. 
Don Pierluigi è stato un vero testimone del Vangelo. La dolorosa esperienza di don Murgioni la si può leggere nel bellissimo libro di Anselmo Palini “Pierluigi Murgioni. Dalla mia cella posso vedere il mare” (Ave Editrice). 
 
Ci sono anche le commoventi lettere che scriveva dal carcere. È un libro commovente ma ricco di speranza.
Don Pierluigi ha vissuto più di cinque anni nelle terribili carceri della dittatura militare in Uruguay. Per aver aiutato un guerrigliero ferito ed aver predicato il Vangelo, nel 1972 venne arrestato e subì pesanti torture e molti periodi di isolamento in cella. Non si piegò mai a compromessi, guadagnandosi la fiducia dei compagni di prigionia. Per un breve periodo le sue messe furono seguite da un numero sempre maggiore di detenuti, anche non credenti o atei convinti, finché vennero proibite dal direttore del penitenziario, che vedeva in quelle celebrazioni dei momenti di aggregazione che davano più forza a coloro che pativano ogni tipo di privazione di libertà. 
 
Don Pierluigi fu sempre sostenuto dal suo vescovo e dai sacerdoti incaricati di fargli visita nel penitenziario di Libertad (un nome tragicamente beffardo). Don Saverio Mori, compagno di seminario e di missione in Uruguay, arrestato pochi giorni dopo don Pierluigi e rilasciato quasi subito, non si fece intimidire e continuò a visitare in carcere don Murgioni, che sempre trovò in lui un fratello che lo sostenne nei momenti più difficili.
 
In prigione con lui c’era anche Juan Baladan Gadea, insegnante e musicista uruguayano, autore di stupende poesie. Leggete queste parole: “Anche noi, come l'acqua che scorre, siamo viandanti in cerca di un mare. Forse ciò che rende unico l’amore è questo suo inafferrabile morire e rivivere ad ogni istante. Giocare con i bambini e come loro, a inventare l’oggi e il futuro.” E in quello stesso carcere è stato pure José Mujica, che anni dopo divenne anche Capo dello Stato. Fu definito il “Presidente più povero del mondo”, donava gran parte del proprio stipendio a favore delle persone bisognose. Incredibile, vero?
 
Nel 1976 mons. Morstabilini volle incontrare don Pierluigi, e uscì dal carcere con le lacrime agli occhi. Nell’autunno del 1977, anche grazie alle pressioni di Papa Paolo VI e del Ministero degli Esteri italiano, don Pierluigi poté lasciare l’Uruguay. Venne accolto all’aeroporto di Linate dai familiari e dal suo vescovo, che Pierluigi amava come un padre. Morstabilini per qualche anno lo assegnò alle cure di mons. Renato Monolo, nella parrocchia di San Faustino a Brescia. Nel 1982 don Murgioni venne mandato a Ghedi. Non parlava mai delle terribili esperienze vissute in Uruguay. Le sue priorità erano la predicazione della Parola di Dio e l’impegno missionario. 
 
Nel 1989 don Pierluigi fu nominato, dal vescovo Bruno Foresti, parroco di Cecina e Gaino. Quattro brevi anni furono sufficienti a lasciare un segno indelebile tra i suoi nuovi parrocchiani. Tra l’altro don Pierluigi, in quei suggestivi posti sopra il lago, porterà a termine la traduzione del “Diario” di mons. Oscar Romero, futuro santo.
Oggi don Pierluigi riposa nella terra del piccolo cimitero di Gaino. Sulla tomba è incisa la frase dell’Apocalisse: “E allora vidi un nuovo cielo e una nuova terra.”
 
Come scriveva il suo amico don Saverio Mori (che ho avuto la fortuna di conoscere quand’era parroco a Prevalle): “A volte ci siamo resi scomodi, come è scomodo il Vangelo, ma non per i poveri e i semplici, bensì per i detentori del potere… Posso garantire che con don Pierluigi abbiamo cercato di predicare e testimoniare unicamente il Vangelo del Signore. Paolo VI si è interessato al nostro caso. Per questo, oltre alla grandezza del suo magistero e del suo agire pastorale nel mondo, ho a cuore ‘il mio’ Paolo VI”.

E don Giampietro Baresi, missionario comboniano di origine gavardese, scrive: “In terra bresciana è sepolto un tesoro, un messaggio di Dio scritto nella carne di un uomo che non ha fatto rumore e che potrà essere facilmente dimenticato da chi cerca la presenza di Cristo nei segnali di potere e di vittoria.”
 
Grazie di cuore, don Pierluigi! Ti vogliamo bene!
 
“Uruguay, Uruguay, ferma il viaggio del mio cuore
nei tuoi grandi occhi c’è la tenerezza di un fiore
Uruguay, Uruguay, il mio fiore è incompleto
la mia lacrima è diventata un petalo”
 
(è una mia canzone stonata che ti dedico… )
 
E scusate se mi viene da piangere… Ma è bello sapere che a Ghedi c’è la Casa della Misericordia, uno spazio dove poter sviluppare progetti e collaborazioni tra diverse realtà di volontariato, e la “Cooperativa Don Pierluigi Murgioni” che da opportunità di lavoro a donne in difficoltà e si occupa della gestione dell’Ecomercato della Solidarietà e del Punto Ristoroamico, una mensa per le famiglie in difficoltà.

E per concludere con un sorriso, ricordo che un giorno alle elementari è venuto un missionario, che ci ha parlato delle missioni in Africa, ci ha raccontato delle bestie feroci, della foresta, con un entusiasmo tale che quando ha chiesto: “Alzi la mano chi vuole andare missionario”, tutti abbiamo alzato la mano: Io! Io! Io! Sembrava un raduno di piccoli balilla! Poi però abbiamo scoperto che al centro religioso si mangiavano sempre patate lesse e abbiamo perso la vocazione.
 
Io ero legato all’ACR provinciale, al mondo dei bambini e dei ragazzi. Ho conosciuto Don Mario Bonfadini e Piero Conti (ora Vescovo in Sudamerica). Dopo le magistrali ho trascorso tre mesi nel vecchio Seminario, avrei voluto diventare sacerdote e mia mamma era felice di questo. In seminario ho conosciuto persone eccezionali, come Roberto Lombardi e Francesco Beschi, attuale vescovo di Bergamo. Ma non era la mia strada, e poi… chi si sarebbe sacrificato a sposare la mia futura moglie?!
 
Dimenticavo: domenica 10 giugno il Teatro Gavardo presso il Salone Pio XI farà uno spettacolo su don Lorenzo Milani, dedicato a don Lorenzo Bacchetta. Da don Lorenzo a don Lorenzo… non so se mi spiego! Ad multos annos!
 
Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo
maestro John 
 
Nelle foto:
- Don Lorenzo Bacchetta con Papa Francesco
- Don Murgioni con i genitori, dopo la liberazione, a Linate nel 1977
- Monsignor Ferretti con preti, tarcisiani e piccolo clero 
- Ingresso di don Paolo Goffi a San Vito di Bedizzole, con don Italo (Monsignore, prego!)

Grazie a “Pinuccio” Murgioni per la preziosa collaborazione
 
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