La verità nell'era dell'imbecille
di Leretico

Un termine inglese, “fake news” si aggira come un fantasma tra le notizie quotidiane. È lì, quasi ogni giorno, ma sembra passare inosservato...


È comparso alla chetichella durante la campagna elettorale per le presidenziali negli Stati Uniti del 2016, quelle vinte da Trump.
Per dire meglio è comparso durante quel periodo come strumento di “disinformazione”, ossia capace di inquinare le acque, di non far percepire fino in fondo la verità.

Prima dell’avvento degli smartphones la parola “disinformazione” indicava operazioni riservate per lo più ai servizi segreti, realizzate attraverso i giornali e i telegiornali tradizionali per nascondere, occultare, trasformare attività segrete agli occhi dei nemici esterni dello Stato e spesso anche dell’opinione pubblica.

Era dunque una manipolazione specifica a difesa del potere e dei suoi “arcana”. Strumenti di tale manipolazione erano i media che allora “facevano opinione”, e sembra veramente di parlare di un’epoca molto antica.

Oggi i servizi segreti
continuano il loro mestiere nascondendo, occultando, trasformando e insomma manipolando, ma queste non sono più attività di loro esclusiva competenza. Anche il singolo individuo può influenzare il sistema e può ottenere questo risultato senza dover investire cifre astronomiche, contando solo sul fattore “rete”.

L’opinione infatti
non si forma più sui giornali tradizionali, ma sui “social”, ed è lì che hanno cominciato a comparire in modo sempre più massiccio “false notizie”, se così possiamo tradurre il termine “fake news”.

Esse giocano sul plausibile anche se sono lontane dal vero. Trovano spazio sia perché ammiccano al possibile sia perché paradossalmente sono incredibili e come tali attraggono potentemente l’attenzione. E in un mondo in cui della credibilità della fonte non importa più niente a nessuno, le “false notizie” crescono rigogliose e conquistano spazi sempre più ampi, come i rovi in primavera nei prati abbandonati.
L’obiettivo degli estensori di “fake news” è creare un’opinione falsa, quando necessario e a loro vantaggio. Tuttavia, c’è sempre un prezzo da pagare, a volte tragico.

Se ci domandassimo come sia possibile che le “false notizie” siano diventate così presenti e importanti e perché mai non si fa nulla, dal punto di vista giuridico, per arginare in modo minimamente decente il fenomeno, dovremmo allargare il raggio della nostra osservazione e notare altri fenomeni che lentamente, insieme alle “fake news”, hanno fatto la loro comparsa all’interno del nostro orizzonte.

Ci accorgeremmo che, in fondo, quelli che appaiono come fenomeni isolati sono invece tutti collegati, tutti rami di uno stesso albero.
Innanzitutto, potremmo registrare la drammatica perdita di valore, agli occhi del senso comune, di qualsiasi competenza professionale.
Prendiamo per esempio i sempre più numerosi episodi in cui i medici si trovano a discutere con pazienti arrabbiati che oppongono alle loro diagnosi quello che “dice Google”, oppure di genitori che picchiano i professori dei propri figli perché hanno osato riprenderli o giudicarli con un brutto voto. Oppure del drammatico ritorno di malattie infettive date per debellate per la falsa convinzione che le vaccinazioni si possano evitare. E si potrebbero trovare migliaia di esempi dello stesso tipo.

Guardiamo alla politica degli ultimi anni: alle elezioni stanno prevalendo coloro che dimostrano “incompetenza” e ne fanno una bandiera. Da un cotale pulpito predicano come novelli Savonarola, ritenendo corrotti i vecchi solo perché vecchi, in nome del valore del nuovo solo perché nuovo.
Per capire cosa accade dobbiamo ricordare la sconsolata constatazione di Umberto Eco che qualche anno fa disse «I social media dànno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l'invasione degli imbecilli».
Sembra che l’invasione degli imbecilli abbia avuto luogo, né Umberto Eco poteva immaginare la velocità con cui il dominio dell’imbecille ha preso campo.

Il dramma non sta solo nella voglia di “incapacità” (o di imbecillità) al potere, già di per sé foriera di tristi presagi, ma nella distruttività che è insita nelle condizioni contingenti venutesi a creare.
Quando l’orda di imbecilli lasciati a scorrazzare liberamente nelle vie del web, gli odiatori via tastiera, i bestemmiatori “webeti” si accaniscono contro un singolo individuo, l’effetto della loro “calunnia”, rinforzato esponenzialmente dalla rete, diventa micidiale. Un peso enorme si abbatte sul malcapitato, tanto più pesante quanto maggiore è la sua notorietà pubblica. Non è raro che si arrivi al dramma fatale.

Di queste cose sapevano già i nostri avi, a cui potremmo chiedere soccorso e indicazioni per affrontare in qualche modo le barbarie del nostro tempo.

Di quelle del suo tempo se ne preoccupava certamente Botticelli, il quale nella seconda parte della sua vita artistica, intorno alla fine del Quattrocento, influenzato dalle infuocate prediche di Girolamo Savonarola, cominciò a inserire nelle sue opere argomenti allegorici, a redarguire la penuria morale che lo circondava in quegli anni.

Dovete sapere che tra i miti più interessanti, ripresi nel periodo dell’Umanesimo del Quattrocento, ci fu quello delle “orecchie d’asino” di Re Mida, guadagnate dal Re per non aver “saputo ascoltare” e giudicare bene la soavità delle note della cetra di Apollo.

Sul monte Tmolo, si era svolta una gara musicale tra Apollo, con la sua cetra, e il dio Pan che suonava divinamente, appunto, il flauto.
Tmolo, dio della montagna omonima e giudice della gara, dichiarò Apollo vincitore e persino Pan, suo avversario, si inchinò a quella musica sublime. Non altrettanto Re Mida che, avendo assistito alla gara, osò criticare la giusta decisione di Tmolo. Per questa superbia Re Mida fu punito con due belle orecchie d’asino, per essersi arrogato il diritto di giudicare pur essendo incapace di vero ascolto.

Il mito di Re Mida, pessimo giudice, fu soggetto reso immortale da Botticelli nel suo quadro “La Calunnia” (1497). E si potrebbe confermare l’attualità di quest’opera pensando al modernissimo meccanismo stritolatore della calunnia comminata via social-media, una tipologia terribile di “falsa notizia”.

Protagonista dell’opera di Botticelli, si diceva, è re Mida nelle vesti di cattivo giudice. Siede all’estrema destra della rappresentazione. Lo adulano due donne tentatrici, che gli sussurrano qualcosa all’orecchio (d’asino): sono Ignoranza e Sospetto. Andando da destra a sinistra si scorgono via via altre figure allegoriche: c’è un uomo con cappuccio nero che si rivolge direttamente al Re sopravanzando tutti: si tratta del Livore, ossia di quello che oggi chiamiamo Rancore; quest’ultimo tiene per il braccio una giovane donna, la Calunnia, attorniata da Insidia e Frode che le stanno nel frattempo acconciando i capelli.

La Calunnia stringe in una mano una fiaccola senza fiamma, che simboleggia la falsa conoscenza, mentre con l’altra mano trascina per i capelli il calunniato. Quest’ultimo supplica, con le mani giunte, il giudice Re affinché comprenda la verità della situazione e della sua condizione.
Ovviamente il Re non può capire, le orecchie d’asino glielo impediscono, e i vari sentimenti negativi che fanno a gara quasi spintonandosi per conquistare la sua attenzione, gli impediscono di scorgere più in là la figura di una misteriosa donna anziana vestita di nero.

Questa donna rappresenta il Rimorso. Non guarda in direzione del Re, ma verso l’ultima figura del quadro, posta alla estrema sinistra della rappresentazione: una bellissima donna, nuda, dipinta nel gesto di indicare il cielo, unica fonte di giustizia e di verità. La donna rappresenta allegoricamente la “nuda veritas” e sta quasi nascosta accanto ad una colonna.

La sequenza di figure che Botticelli mette in scena può essere raccontata come una storia di oggi, in cui Re Mida è il simbolo di ognuno di quegli stolti, vittime delle proprie passioni e sentimenti volgari, che prestano fede a “false notizie” della rete, giudicando senza essere capaci di “vero ascolto”. Peggio è il calunniatore, che armato di falsa conoscenza e di rancore, scatena gli imbecilli che imperversano nel web contro vittime innocenti, che inutilmente chiedono clemenza.

La verità agli occhi di queste persone rimane nascosta, latente; perché ignoranza, falsità e sospetto hanno buon gioco ad offuscare le loro deboli menti. Perché incapaci di equilibrio e di approfondimento, mancano anche di quel minimo che usualmente distingue la civiltà dalla barbarie.
Questo è il prezzo che dobbiamo pagare per quella libertà a cui non facciamo corrispondere alcuna responsabilità. Nell’era dell’imbecille purtroppo non c’è ragione che tenga, non c’è diritto né verità.

In foto: il dipinto "La Calunni" di Sandro Botticelli, conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze


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