Le eleganti giravolte dell'eterno gattopardismo italico
di Leretico

Rileggendo le pagine del “Corriere della Sera” che uscirono nell’imminenza delle elezioni del 1976 sembra di rivedere l’esito delle elezioni dello scorso 4 marzo 2018


Allora il PCI raggiunse il suo risultato elettorale più importante (34,37% dei voti), minacciando il “sorpasso” della DC e privandola di fatto della possibilità di formare un governo, avendo i partiti alleati storici come il PSDI e il PLI perso moltissimi consensi.

Perdeva in quella tornata elettorale anche il MSI
, mentre rimaneva stabile il PSI.
E quest’ultimo partito, vista la situazione molto difficile per la formazione di un governo, cominciava la sua ascesa a ruoli più centrali, e importanti in termini di potere, nelle istituzioni del paese.

Ai tempi nostri, la nuova legge elettorale chiamata “Rosatellum”, basata fondamentalmente sul proporzionale, non ha visto che vincitori parziali, anche se notevoli sono stati i successi della Lega da un lato e del M5S dall’altro.

La formazione del governo risulta, come nel 1976,
molto difficile perché si è configurato un esito tripolare (Centrodestra, PD e M5S) mentre le posizioni politiche sono estremamente “radicalizzate”, e soprattutto perché non c’è ancora all’orizzonte chi abbia intenzione di parlare di “compromesso” nel timore che esso possa essere inteso come “inciucio”.
Parola volgare e inflazionata che torna ora come un boomerang sulle teste di chi non ha mai lesinato nell’usarla, anche a sproposito.

Questa indisponibilità al compromesso deve tuttavia essere letta alla luce di un altro fattore che differenzia queste elezioni da quelle di cinque anni or sono: sia la Lega, nel centro-destra, che il M5S a sinistra non sono gli stessi partiti del 2013.

Entrambe le formazioni hanno sostanzialmente cambiato faccia se non addirittura anima: la Lega, forte perché inserita nella coalizione di centrodestra con Forza Italia e con Fratelli d’Italia, è andata a “pescare voti dove c’erano” (come mi ha suggerito un amico qualche giorno fa). E li ha trovati nell’elettorato di destra e di estrema destra, voti persi a suo tempo da Alleanza Nazionale e non riconquistati dalla erede e vagamente petulante Giorgia Meloni.

In questo modo la Lega ha guadagnato ben il 13% dei voti
in più rispetto al 2013, portandosi poco oltre il 17%.
Il M5S, dal canto suo, impostosi come erede diretto dei “vaffa-days”, dopo aver raggiunto il ragguardevole risultato del 25,5% delle preferenze nel 2013, nonostante abbia poi costruito un “direttorio” di intoccabili che parlano tranquillamente con i giornalisti senza rischiare di essere espulsi, ha raggiunto il risultato ragguardevole del 32,6%, guadagnando, rispetto al 2013, un altro pesantissimo 7,1%.
Fin qui la cronaca politica.

Tentando un’analisi di questi risultati potremmo facilmente affermare che l’Italia odierna è percorsa da due sentimenti che hanno a che fare più con la pancia che con la testa: il primo è la paura e l’insicurezza generata dall’immigrazione, il secondo la paura e l’insicurezza derivati dalla crisi economica che ha colpito maggiormente il centro e il sud del paese.

Chi ha saputo intercettare, nei propri messaggi elettorali, queste paure e speculare spesso cinicamente su di esse, ha avuto il consenso maggiore.
I partiti invece che hanno scelto il profilo più moderato sono stati travolti oppure, quando è andata bene, sono stati condannati ad un ruolo secondario.
Come già si è visto in altre democrazie, dopo la crisi finanziaria del 2008, chi ha promesso di costruire “muri” ha vinto.

Ora, un affannato Mattarella deve decidere a chi assegnare l’incarico per la formazione del nuovo governo e non si sa se premierà il M5S, primo partito votato, oppure sceglierà di incaricare la Lega, formazione più votata all’interno del centro destra, a sua volta la coalizione più votata in generale alle recenti votazioni.

Certo il dilemma non ci entusiasma, né ci colpisce.
Piuttosto sono numerose le perplessità e non sono legate al momento pratico dell’espressione politica che usualmente si risolve, dopo le tante parole delle campagne elettorali, in presidenze e in ministeri assegnati alle varie personalità.
Sono legate invece al fondamento di questo potere che sta sorgendo, che mai come stavolta si baserà sulla simulazione, se non sulla mistificazione.

Hanno “vinto-non-vinto” coloro che si sono opposti al sistema da un lato (M5S) e dall’altro quelli che hanno fatto campagna contro l’immigrazione.
Hanno perso i rottamatori che, nel tragitto di potere a loro assegnato nella precedente legislatura, si sono colpevolmente dimenticati di rottamare dove avevano promesso di farlo.

La stagione si rivela quindi figlia di una doppia onda, e di una doppia menzogna, che si presenta con la faccia forse più becera e violenta degli ultimi anni.
Da una parte l’antisistema che si impadronisce del sistema, dall’altra parte il razzismo posticcio, neanche troppo velato, che entra nuovamente nella stanza dei bottoni dopo una decisa svolta a destra, che non sa più di verde Padania né di territorio lombardo-veneto, ma di fantasmi e di nero che si staglia dietro temibili teste rasate, cupamente già viste in passato.

Impressiona in questo periodo quanto sia in controtendenza la risposta elettorale rispetto alla complessità della situazione.
Lavoro, soprattutto per i giovani, debito pubblico alle stelle, immigrazione, crisi economica, invecchiamento della popolazione, cambiamenti climatici, disponibilità delle risorse sia idriche che alimentari, corruzione, mafia, terrorismo internazionale, crisi mediorientale e guerra in Siria, sono tutti problemi molto complessi che necessiteranno da parte della prossima compagine di governo atteggiamenti non solo prudenti ma profondamente meditati.

A questi problemi, nella campagna elettorale recente, i partiti hanno risposto per la maggior parte con messaggi superficiali, e più era arrogante la superficialità delle proposte maggiore è stato il premio degli elettori il 4 marzo scorso.

Comunque sia, nonostante i problemi così manifesti e le proposte inconsistenti per affrontarli, difficilmente stiano insieme senza contraddizione, a questa obiezione si risponde che la democrazia prevede anche queste situazioni.
Concordo.

E sarebbe il caso che le forze premiate dagli elettori potessero effettivamente governare, per misurarsi con i problemi concreti del governo di una nazione occidentale inserita nella Comunità Europea, nella NATO e nella zona Euro.

E si potessero altresì misurare con la responsabilità delle decisioni, che tanto ha logorato e trasformato gli osannati rottamatori della prima ora, in vituperati rottamati nel giorno dell'ira.

Ci fu un tempo qualche anno fa, nell’era di Bertinotti insieme a Prodi al governo, in cui ministri della Repubblica partecipavano a manifestazioni politiche di piazza contro il governo stesso.
Il camaleonte era l’animale più gettonato e forse saremo costretti a vederne ancora, dati i salti mortali che abbiamo visto mettere in campo dai 5 stelle negli ultimi anni pur di costruire una struttura interna adatta alla “presa” del potere.

I salti mortali per definizione sono pericolosi e ancor di più se esibiti sulla via della sacra rottamazione, filo sospeso sempre molto in alto tra le comode finestre dell’opposizione e gli scranni del potere.

Camminando su quel filo si rischia di cadere malamente e di farsi tanto male quanto più elevato è il punto da cui comincia la caduta.
In quel momento non basterebbero né le casalinghe più agguerrite né i giardinieri più irsuti a salvare il “direttorio” dei 5 stelle.
Nessuno potrebbe deviarne il percorso da quel destino che già toccò in sorte a Tommaso Aniello d’Amalfi, detto Masaniello, nella Napoli del 1647.

Nei prossimi giorni vedremo chi riuscirà a spuntarla
nella formazione di un nuovo governo per l’Italia, ma noi sappiamo già che l’eterno gattopardismo italico, mai come in questi giorni e con questo tipo di personaggi, tornerà in scena pieno di eleganti giravolte e di stravaganti teatrini, ma proprio per questo più forte di sempre.

Leretico

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