Gli 89 dell'Antonio
di John Comini

Oggi compie 89 anni Antonio Abastanotti, una delle persone migliori che ho conosciuto e a cui immodestamente mi sento legato da sincera amicizia


Aveva scritto un libro “La cassapanca della Adele”, che avrà un seguito l’anno prossimo.

Eccone alcuni brani…

“Nel ‘28 mio padre sposò Tebaldini Caterina (sempre chiamata Rita). Andarono ad abitare in via Giovanni Quarena, allora via Fratte, nella casa Braga.
In questa casa ha inizio la mia vita e quella della mia sorella Marì.

Quando andai all’asilo Giovanni Quarena,
la mamma mi confezionò il grembiulino a quadretti bianchi e celesti, d’obbligo per i maschietti… le femminucce lo portavano a quadretti bianchi e rosa.
L’asilo a quel tempo era in vicolo S. Vincenzo, gestito da suore dell’ordine di S. Antida. All’entrata vi era un cancello di ferro, con al piano terra il laboratorio dove le ragazze potevano imparare a cucire e ricamare.

C’era un corridoio che serviva pure come mensa per i bambini, vi erano dei tavoli con i buchi sui coperchi per inserire le scodelle di alluminio con la minestra ad evitare che i bambini la potessero rovesciare.
La minestra veniva servita a mezzogiorno, il secondo lo portavamo da casa in un cestino fatto di duro cartone, assieme a qualche frutto o fichi secchi.
Nelle aule si apprendevano le prime nozioni di comportamento e la conoscenza della natura, nel pomeriggio si faceva un pisolino con la testa sui banchi.

In autunno tante volte si mangiavano le castagne colte in Faita
, oppure secche lessate (le biline), molto buone.
Alcune volte a cena in mancanza di altro, si metteva dell’acqua bollita nella scodella con immerso del pane e la mamma ci versava sopra del burro fritto con un poco di formaggio, se era disponibile, era chiamata la zuppa magra.
Non era raro il caso che a mezzogiorno o a cena si fermasse a mangiare con noi qualche uomo anziano che viveva da solo, facendo qualche piccolo lavoro in campagna o cercando l’elemosina.

In piazzetta S. Bernardino qualche volta arrivavano i saltimbanchi, gente che faceva spettacoli al trapezio, clown, giocolieri e qualche, spettacolare esercizio di ginnastica artistica ed agli anelli.
Quando questi arrivavano mettevano solitamente il loro carrozzone di traverso alla piazza a filo di via Mangano. Per noi ragazzi era come una grande festa.
Fatto il primo numero gli artisti passavano a raccogliere le offerte con il cappello in mano.

Alcune donne annusavano il tabacco “Santa Giustina”, ricordo di averne comperato ancora, per la mamma del mio amico Giuseppe Bettini, che abitava vicino a noi, mentre alcuni uomini masticavano l’ultimo pezzo di sigaro dopo averlo fumato, chiamata “la cicca”.
Gli operai al Lanificio non lavoravano quasi mai tutta la settimana. Alle Fornaci ed alla distilleria De Luca il lavoro era stagionale. Molti nel tempo libero andavano nel monte a procurare legna, unico combustibile, sia per il riscaldamento, come per cucinare ed anche per vendere.
Il Monticello, la Paina ed il Tesio erano diventati spogli nonostante il controllo delle guardie forestali.       

La fiera richiamava molta gente a Gavardo in quei giorni. Nel pomeriggio venivano svolte anche alcune gare proprio qui in piazzetta; come la rottura delle pignatte, e la gara della pastasciutta.
Alla sera oltre al concerto della banda musicale, si svolgeva la gara della cuccagna. Gli spettatori dovevano stare attenti  perché salendo il palo i partecipanti toglievano il grasso con manate di cenere, e lo lanciavano a terra.
In cima al palo, attaccate ad un cerchio di bicicletta, diverse leccornie; dai salami alle galline e quanto gli organizzatori riuscivano a racimolare in paese.

Il paese a quel tempo era governato da un Podestà, scelto fra gli uomini illustri del paese.
Il podestà, il parroco, il medico, il farmacista, il veterinario, il direttore della banca, e gli insegnanti, venivano salutati con un Riverisco.
Il 1935 era anche il mio primo anno di scuola. Vestito a festa, pantaloncini corti, camicia nera,con ai piedi un paio di zoccoletti con fondo di legno tirati a lucido e la cartella di duro cartone a tracolla, con un quaderno a quadretti ed uno a righe, una matita e l’abbecedario, mi presentai all’ingresso della scuola.
Fui affidato ad una maestra abbastanza giovane un po’ grassottella, dall’aspetto bonario, proveniente da Brescia. Purtroppo non ricordo più il suo nome.

Quando il papà, dopo 10 mesi tornò casa
, mi portò un piccolo carro armato con i cingoli di gomma, che si caricava a molla, alla sorella Marì portò una bambola ed al fratellino Gian Battista un cavallino di cartapesta.

In terza classe ebbi come insegnate il M° Angelo Zane, un uomo molto severo.
Al mattino dopo il saluto di prammatica al Duce ed al Re, esposti ai lati del Crocefisso, l’insegnante chiedeva chi non fosse andato a Messa prima di venire a scuola e ne raccomandava la frequenza.
Seguiva poi il controllo, dell’igiene personale, in particolare le mani dovevano essere pulitissime.

Il mio compagno Mario Rizzi, che solitamente aiutava il papà in officina, aveva sempre le mani un poco annerite dal grasso delle catene delle biciclette e qualche volta non superava l’esame di controllo delle mani, così doveva andare a lavarsele alla fontanella nel cortile anche durante l’inverno.

Quando qualcuno non si impegnava nello studio il maestro usava la verga che batteva sul sedere ma anche sulle mani… La verga di corniolo ogni anno la portava l’amico Tonni Pietro che abitava a Prà de Bogn.

Alla sera ricordo che all’imbrunire, il papà andava al fiume a mettere le esche per prendere le anguille. Agli ami venivano attaccati dei lombrichi. Al mattino prima dell’alba li doveva prelevare altrimenti le anguille si sarebbero liberate.

Un giorno papà mi portò con lui a pescare, ci portammo sul balconcino della casa della fabbrica del ghiaccio (la giaséra), dato che era proprio sul fiume. Mentre ero intento a guardare se qualche pesce abboccava, una scarpa mi si impigliò nella ringhiera e mi cadde nel fiume.
Era il primo paio di scarpe che indossavo, il papà fece di tutto per poterla recuperare ma non ci riuscì. Povero papà che delusione gli avevo dato e che dispiacere, non aveva di sicuro i soldi per comperarne un altro paio.

Tra i due ponti dove ora c’è il bar Caligola, oltre al bar funzionava un cinema gestito di volta in volta da un funzionario scelto dal partito fascista. Fra un tempo e l’altro venivano sempre proiettati documentari di propaganda fascista. Mio papà per qualche tempo fece il servizio di maschera, al cinema così potevo qualche volta vedere un film gratis.

Un giorno eravamo nel campo, il nonno e gli zii stavano raccogliendo il frumento, e visto che si avvicinava un grosso temporale smisero di tagliare il grano e stesero un grande telone sui covoni.
Arrivato il temporale ci siamo riparati sotto il telone con i covoni, per me fu come un bellissimo gioco, l’acqua batteva sul telone con un tamburellare gioioso. Quando cessò la pioggia, verso il lago sorse un grande arcobaleno, quei colori suscitarono una forte emozione dentro di me. Rimasi col naso in su incantato dalla meraviglia.  

Ricordo che durante l’estate del 1940 eravamo in tre fratelli a frequentare la colonia, Io, la Marì e Gian Battista, il papà era militare in Grecia ed il podestà di quel tempo ebbe la bella idea di mandare a tutti i combattenti la foto dei loro bimbi alla colonia elioterapica. Ci fecero la foto a tutti e tre insieme, naturalmente con i pantaloncini corti. Quando il papà ricevette le foto scrisse subito una lettera alla mamma, raccomandandole di darci da mangiare poiché era rimasto molto impressionato della nostra magrezza, nella foto si potevano contare le costole.

A scuola incontrai un nuovo amico proveniente da Sabbio Chiese
, Nicola Bragadina, che i compagni di classe prendevano in giro per il suo accento valligiano. Diventammo buoni amici, anche perché era venuto ad abitare in via Vecchino e la finestra della sua camera guardava nel cortile dove abitavo io. La nostra amicizia durò per tutta la vita.
Durante i mesi invernali cadeva molta neve, per noi ragazzi era un divertimento, ci buttavamo sulla neve fresca allargando braccia e gambe per fare l’impronta.

Un giorno tornando dalla recita del Rosario, io e Nicola iniziammo a tirarci qualche palla di neve, all’altezza di via Vecchino, dove transitavano alcune macchine.
Ci siamo detti: vediamo se siamo capaci di colpirne almeno una, la prima che arrivò la colpimmo in pieno. Si fermò e scesero dei militari Tedeschi, scappammo a gambe levate e ci rifugiammo col cuore in gola dietro il portone di casa del Nicola. Che batticuore! Naturalmente in casa non dicemmo nulla, restò un nostro segreto.

Qualche volta la mamma alla sera ci chiamava tutti a letto con lei, eravamo solo io, Marì, Agnese e la Rita, il Gian Battista era in collegio. Io e la Marì ci mettevamo ai piedi del letto, eravamo felici per questo trovarsi come una cucciolata. La mamma spesso, alla sera, ci radunava presso la stufa a mangiare castagne.

Compiuti i 14 anni il papà parlò con il signor Manenti
e mi fece assumere come lucidatore. A quel tempo  il reparto lucidatura era in via Quarena, dopo il Vicolo Beveraggio. Ricordo che quando mi presentai al signor Mor, responsabile della lucidatura, portavo i pantaloni alla zuava, di solito usati la domenica. Era con lui anche Amedeo Re. Tutti furono molto gentili con me...

Poi arrivò il 25 Aprile 1945!
Quando arrivarono le truppe Americane si accamparono nel campo sportivo e nei campi dei signori Berardi, fino al Bostone. Attorno al campo piantarono le loro cucine ed i servizi igienici. Assunsero alcune persone per i servizi più comuni, anche il papà andò a lavorare con loro in cucina, così potemmo anche avere qualche pietanza che avanzava dopo la distribuzione alla truppa. La mamma e la zia Bina si organizzarono per lavare gli indumenti dei militari, che a differenza dei nostri si cambiavano ogni giorno.

Quando eravamo a casa noi ragazzi, giravamo fra le tende degli americani per poter eventualmente ricevere in dono qualche biscotto o caramelle.
Era il periodo delle ciliegie mature e loro ne erano ghiotti e ci mandavano a comperarne in paese. Alcuni di loro la notte si portavano qualche ragazza compiacente, nella loro tenda.

Nel mese di gennaio del ‘47 potei comperarmi una bicicletta sportiva, una Zecchini super leggera con il cambio. Papà ne comperò una uguale, aveva ripreso la sua attività di assistente al Lane Gavardo.
La prima uscita la facemmo insieme la domenica. Aveva incominciato a nevicare. Ci dirigemmo verso il lago e arrivammo fino a Maderno. Tornati a casa asciugammo subito le nostre bici prima di riporle. Eravamo felici tutti e due.

Il 1948 fu l’anno del mio incontro con Maria.
Era l’ultima domenica di Agosto. Di sera, con due miei amici stavamo tornando dai Tormini in bicicletta, incontriamo due ragazze, la Maria che non conoscevo e Orsola.
La Maria allunga il passo, ed io la seguo mentre i miei amici si intrattengono con Orsola. Maria ha fretta di arrivare a casa, perché è già in ritardo e teme i rimbrotti della mamma. Tra di noi nasce subito una certa simpatia, ci diamo subito del “tu”. 
Ai piedi del sentiero che saliva verso casa sua, scoccò il primo bacio. Lasciandoci mi disse: - Io abito lassù e ti aspetto domenica pomeriggio.

Maria pregava tanto la Madonna della neve, perché potessimo giungere al matrimonio senza problemi. E così fu.
Comperai a Maria l’anello di fidanzamento ufficiale, in oro con un cristallo di acquamarina. Era il sigillo a conferma del nostro grande amore…” 

Il caro Antonio si è sposato con la cara Maria ed ha formato una bella famiglia, con i figli Mauro e Aldo e le nipoti Chiara e Anita.
Ha fatto il sindacalista nella fabbrica dove lavorava, ha partecipato alla vita del paese con impegno ed onestà, sia nella Democrazia Cristiana, sia nell’Azione Cattolica.
Ha partecipato attivamente anche all’Ospedale (insieme a mio zio Vittorio) ed è stato presente con entusiasmo insieme al suo amico Gabriele Avanzi ai progetti del gruppo Malì (“la scuola è pane”).

Quel che di bello c'è nella vita è sempre un segreto... quelle che si sanno sono le cose normali, o le cose brutte, ma poi ci sono dei segreti, ed è lì che si va a nascondere la felicità..

Caro Antonio, ti auguriamo anni di salute e di amore. Grazie Antonio per quello che ci hai donato e che continui a donare… e aspetto il tuo prossimo libro!
Il tuo amico John
                                  
Nelle foto è a Roma nel 1963 con la moglie Maria e l’amica Daniela Averoldi.


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