Quando anche la morte dev'essere un diritto
di Luca Rota

Cosa sappiamo e cosa non sappiamo sul bio testamento? Le nostre vite ci appartengono o no? Proprio perché usiamo il possessivo “nostre”, io direi decisamente di sì. Altrimenti potremmo benissimo cambiare linguaggio


In una società civile esistono dei diritti inalienabili. Esistono, o forse sarebbe meglio dire “dovrebbero esistere”. Il diritto, se malati, a ricevere delle cure decenti, e senza enormi esborsi di denaro; quello ad un’istruzione adeguata (sempre senza svenarsi economicamente); quello di poter usufruire (a prezzi decenti) dei servizi pubblici. 
 
Se questi tre formano lo Stato sociale (il tanto citato Welfare), ad essi andrebbe aggiunto il diritto a porre fine alla propria esistenza, qualora le condizioni di salute la rendano una “non” esistenza, ergo un supplizio. Rendere possibile il ricorso all’eutanasia (dal greco, “dolce morte”), pratica già applicata in diverse parti del mondo, nonché a due passi dai nostri confini, in Svizzera. 
 
Il paradosso, qui, è che farla in terra elvetica (e a costi esorbitanti) va bene, mentre in Italia no. Perché mai? Cosa impedisce tutto ciò? E chi soffre da anni e vorrebbe farvi ricorso, ma non può permettersela? Può piacere o no, ma sarebbe giusto (e umano) così. Ognuno dovrebbe poter decidere della propria esistenza.
 
Quale disagio o scompenso creerebbe una decisione del genere? Non si è mica tutti obbligati a farvi ricorso, sarebbe però giusto concedere tale diritto a chi volesse usufruirne. L’eutanasia sarebbe una prerogativa dei casi limite, concordata con il placet dei medici, e non una consuetudine modaiola. Con essa non si autorizza la morte, ma il diritto a morire umanamente e decentemente. 
 
Perché anche la morte fa parte della vita, ed essa appartiene all’uomo. Quando le condizioni di salute arrivano a livelli talmente critici, da non considerare più vita quella che si “vive”, perché continuare ad infierire? È una scelta libera, della persona, e non una fuga dai problemi di questo mondo. Non si tratta di suicidio, ma di un diritto da concedere, quando la vita diventa una “non” vita.
 
 
 
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