Buon Natale papà
di Ezio Gamberini

La bottiglia di whisky è lì sul tavolo. Sembra sfidarmi. Che ci vuole ad aprirla? Un colpo secco, il tappo di alluminio si stacca dalla fascetta che lo imbriglia, con un “clic” melodioso, e poi la stupefacente cascata di oro colato sprofonda nella mia gola, giù, fino a torcermi le budella…


“Blend Brant”, cinque euro e novantacinque centesimi al discount, ecco il prezzo di quello schifoso liquido ambrato! Ce ne voleva, di coraggio, per chiamarlo “whisky”.
Ma questo era ciò che si poteva permettere Pietro nell’ultimo anno e mezzo, da quando, cioè, Amalia aveva deciso di dargli dieci euro il giorno, ogni mattina prima di andare al lavoro.
Gli dovevano bastare, per le sigarette, e per la bottiglia, dalla quale non riusciva più a staccarsi.

Il resto che riusciva a guadagnare la moglie, da quando Pietro era restato a casa dal lavoro cinque anni prima, doveva essere sufficiente per pagare il mutuo che sarebbe finito fra qualche anno, la cui rata era di circa cinquecento euro ogni mese, poi c’erano le bollette, il vitto e le altre spese.

Amalia aveva un impiego part-time in una cooperativa, in cui svolgeva servizi a domicilio prendendosi cura di anziani e ammalati, con uno stipendio di ottocento euro mensili, poi arrotondava facendo la cameriera in ristoranti e locali che la chiamavano quando c’era bisogno: quella vigilia di Natale avrebbe guadagnato quasi duecento euro (confidando sulla generosità delle mance, come accadde l’anno precedente), lavorando dalle sei di sera fino alle tre di notte! Con questo secondo lavoro riusciva a portare a casa altri sei-settecento euro mensili.

Centocinquanta sterline ogni mese, da un anno, gliele mandava la figlia Laura da Londra, dove viveva da un paio di anni.
Era partita una settimana dopo aver terminato la maturità. Non ne poteva più di suo padre; dal giorno della sua partenza non l’aveva più sentito. Quante umiliazioni aveva dovuto subire. Quante figuracce.
Come quella volta in cui l’aveva incontrata, in centro, con gli amici della sua classe, mentre festeggiava un compleanno:

Ma, Laura, quello non è tuo padre?”

Era ubriaco fradicio, e indossava un giubbino color malva lercio e lurido, carico di macchie e sudiciume, con il viso pieno di ecchimosi procurate dalle botte che prendeva nel cadere quando aveva bevuto.

Nella capitale londinese,
dopo aver lavorato qualche mese in un bar, riuscì a trovare un’occupazione che le piaceva moltissimo, e soprattutto ben retribuita, in un negozio specializzato in prodotti italiani, con la coppia di proprietari che avevano preso a ben volerle in modo singolare.
Ben presto si affezionarono e la trattarono come una figlia, che non avevano mai avuto.

La vigilia di Natale gli affari andarono a gonfie vele e vendettero all’inverosimile, soprattutto pasta, Chianti e Prosecco, e quando alle sette di sera chiusero i battenti, la cassa straripava di sterline e ordini evasi. Si scambiarono gli auguri, e Laura s’incamminò in direzione della metropolitana…

Pietro era seduto in cucina, immobile da due ore a guardare la bottiglia che non si decideva ad aprire, mentre sua moglie stava lavorando al ristorante, indaffarata a servire tutti quelli che si godevano il cenone di Natale, per poi magari andare alla messa di mezzanotte.

Indossò il giaccone e infilò la bottiglia nella capiente tasca, l’avrebbe bevuta fuori. Faceva freddo, s’incamminò senza una meta, e dopo mezz’ora d’indecifrabile girovagare, si ritrovò proprio in mezzo al ponte che conduceva fuori dall’abitato, intento a scrutare il fiume che scorreva trenta metri sotto.

Era attratto dall’acqua che fluiva lentamente, e come in un film, gli si presentò davanti agli occhi la storia di quegli ultimi cinque anni, cominciando da quando l’azienda in cui era occupato lo lasciò a casa per mancanza di lavoro.
Per due anni ricevette l’indennità di disoccupazione, ma sin dai primi mesi la discesa verso il baratro si rivelò fulminea e irreversibile.

Ci fu un periodo in cui tutte le mattine entrava al bar-tabacchi:

“Giulio, oggi tre cartelle, con i soliti 16-23-38, 8-41-73 e 11-18-84… e dammi anche un ‘natalino’”, e depositava sul banco diciassette o diciotto euro ogni volta.
Poi, intanto che uscivano i numeri, cominciò a gustare qualche bicchiere, e dopo qualche tempo, diminuì notevolmente con il gioco, ma incrementò in misura esponenziale il consumo di alcol, in tutte le sue forme, fuori di casa e, soprattutto, tra le quattro mura domestiche.

Amalia assistette quasi impotente alla tremenda evoluzione
; tentò timidamente, all’inizio, di farlo ragionare, di far leva sul suo orgoglio, poi di nascondere le bottiglie, non dargli soldi, ma fu un lento scivolare in un abisso sempre più profondo e buio, incomprensibile e inspiegabile. Alla fine pensò che il male minore fosse quello di dargli dieci euro ogni giorno…

Poi Pietro cominciò anche a comportarsi come uno scemo con quella signora che una volta gli aveva fatto gli occhi dolci; abitava nelle misere case costruite accanto al fiume, dove non batteva mai il sole, e aveva anche lei un figlio, col marito che era sempre fuori di casa e si occupava di tutt’altro che la famiglia… insomma, era un alcolizzato come lui.

Non ci era mai andato a letto insieme, anzi, non l’aveva mai neppure sfiorata, ma il “tradimento” era innanzitutto morale, perché nelle sue persistenti sbornie, sembrava che si trovasse meglio a parlare con lei che con la moglie.

“Amalia, Amalia, ma come ho fatto, come ho fatto anche solo a pensare di tradirti?”,
si chiedeva Pietro scrutando il vuoto, consapevole dell’inesauribile ed inspiegabile pazienza mostrata in quegli anni dalla consorte nei suoi confronti.

“Come ho fatto a perdere mia figlia?”, si arrovellava, mentre l’acqua lì sotto lo affascinava sempre più…

L’alcol non si spiega.

L’alcol si beve… ti ottunde i sensi, poi il cervello, e infine l’anima. Ti toglie la memoria, la dignità, si appropria di te in modo subdolo ed esclusivo.

Provò una vergogna e una pena infinita, e montò in lui la voglia di risolvere il problema, una volta per tutte, definitivamente. Bastava solo fare un salto, e loro sarebbero state libere, e felici…

Laura adorava sbucare dalla metropolitana
e affacciarsi su Piccadilly Circus, quando aveva un po’ di tempo. Lo fece anche quella sera. Quel luogo, cuore pulsante della “City”, le metteva allegria, possedeva una magica vitalità contagiosa.

L’esplosione di luci nella piazza, consueta in ogni periodo dell’anno, in quella vigilia di Natale era davvero fantasmagorica! Ma quella volta, più osservava le luminarie di ogni forma e colore, più qualcosa le rodeva nello stomaco.

Sul mega schermo colorato in quel momento c’era un Gesù Bambino dolcissimo; con una zoomata gli occhi apparvero sempre più grandi, e quegli occhi le ricordarono quando suo padre la prendeva in braccio, per farle vedere meglio la capanna, nel presepio, che ogni anno insieme alla mamma componeva nella magia del Natale.

Come era amabile, papà, quando da piccola il sabato mattina la portava al bar a gustare pizzette e panna montata, mentre la mamma era al lavoro. Lei tornava all’una, si mettevano subito a tavola e mentre pranzavano era orgogliosissima di riferirle che il mattino era stata al bar con il suo papà a mangiare le pizzette! In quei momenti era la bambina più felice del mondo.

Provò una grande e improvvisa nostalgia
: non lo sentiva da due anni, ma era pur sempre suo padre. Si fece coraggio, tentennò a lungo, ma alla fine afferrò il cellulare e compose il suo numero…

Li aveva trovati accanto al marciapiede
; quei due manufatti di cemento facevano proprio al caso suo: li spostò vicino al parapetto, uno sull’altro, e adesso sarebbe salito sulla ringhiera per scavalcarla.

Il vuoto lo aspettava… quando all’improvviso il vecchio Nokia, che Amalia lo obbligava a tenere sempre in tasca, squillò.

“Laura, il numero di Laura!”
, gemette emozionato.

“…….…..”.
Non parlò, ma fu come se le parole sgorgassero sin dalle viscere. In quel silenzio sentì le umiliazioni che le aveva fatto subire, l’averla obbligata ad andarsene, lontana da lui e dalle sue miserie…
Sentiva il suo respiro, e anche Laura percepiva i sospiri e la disperazione di suo padre.

Mai due silenzi furono così fragorosi e carichi di significati.
“…Buon Natale, papà…”.
“Buon Natale, figliola”.


Sentì nel cuore qualcosa d’inaspettato, quasi una scossa, e gli parve di nascere in quel momento, come se gli occhi avessero ricominciato a vedere, dopo anni di buio, e una nuova speranza lo avvolse.

Ritornò a casa, stappò la bottiglia di whisky e la versò nel lavandino. Vedendo scorrere l’ambrato liquido nel sifone, desiderò con tutte le sue forze che nelle fogne potessero finire anche le sue sozzure, ciò che era stato negli ultimi anni.

Poi si sedette accanto al piccolo presepe
che Amalia continuava a preparare, ogni anno, prima di Santa Lucia, chiedendosi come avesse fatto sua moglie a non cacciarlo da casa, a sopportare tutto fino allo sfinimento.
Guardò Gesù Bambino negli occhi, e parve chiederlo a Lui.

Erano le tre passate, sentì la chiave girare nella serratura. Quando entrò, seppe solo dirle:

“Perdonami Amalia, perdonatemi…”.

Lei guardò subito la bottiglia vuota, accanto al lavandino, scrutò negli occhi di Pietro, occhi che non vedeva così da cinque anni, finalmente consolandosi nella speranza che non aveva mai abbandonato, e capì.
Ebbe la certezza che quello sarebbe stato realmente il “Natale”, la rinascita. Anche Pietro guardò negli occhi Amalia, e percepì la verità.
Aveva letto da qualche parte che una delle beatitudini consiste non soltanto nel vedere Dio, ma “vedere con gli occhi di Dio”, e osservò allora se stesso con gli occhi di Amalia, e di Laura.

Comprese finalmente cosa l’avesse salvato dal baratro: l’amore. Un amore gratuito, incondizionato, instancabile, indecifrabile.

L’amore non si spiega.

L’amore si dà, l’amore si riceve.

“Buon Natale, Amalia”.
“Buon Natale, Pietro”.


E quello fu davvero il più bel Natale della loro vita.


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