«Una bestia sulla luna», la recensione
di Davide Vedovelli

Intensità e drammaticità per uno spettacolo che parla alla testa, al cuore e alla pancia degli spettatori


Poche volte capita, alla fine di uno spettacolo teatrale, di trattenere a fatica le lacrime, anzi, di non trattenerle affatto e sentire un nodo alla gola tanto che le parole faticano ad uscire. Poche volte mi è capitato, ma una di queste è stata dopo lo spettacolo “Una bestia sulla luna” in programmazione al Teatro S. Chiara di Brescia fino a lunedì 11 dicembre. 
 
Se questa cosa capita a te e a tutto il pubblico presente in sala allora quest'emozione collettiva ha un qualche cosa di straordinario.
Se non l'avete ancora visto, prima di finire di leggere l'articolo, andate di corsa sul sito e prenotate un biglietto (ne sono rimasti pochissimi).
 
L'intensità emotiva del testo e la straordinaria bravura degli attori parlano alla testa, alla pancia e al cuore dello spettatore, che si dimentica di essere tale e partecipa emotivamente a ciò che succede sul palcoscenico.
 
Il testo racconta del genocidio del popolo armeno e lo fa focalizzando l'attenzione sulla storia di due persone che si sposano per procura e cominciano la loro vita insieme. 
 
Una vita come quelle di tante altre coppie, con sogni, speranze, il desiderio di un figlio che però non arriva, i ricordi di un passato talmente cruento che impedisce di vivere il presente.
 
Nella quotidianità di un marito ossessionato dall'esigenza di avere un figlio e da una fotografia della sua famiglia a cui ha tagliato le teste e ora vorrebbe riempire questi “spazi vuoti” con nuove fotografie, di una moglie giovanissima, appena quindicenne, che nonostante gli sforzi non riesce a soddisfare le pretese del marito, si consuma la storia di una vita coniugale arida, triste e impermeabile a qualsiasi emozione positiva.
Questo testo ci fa capire come a volte i ricordi di un tragico evento annebbino la nostra vita, la riempiano di odio e coprano tutto con un velo grigio difficile da scostare.
 
Storie di vita quotidiana a volte non lontane dalle nostre, seppur declinate in modo differente e con un passato diverso. Stanze di vita quotidiana (mi viene da dire parafrasando Guccini) dove l'abitudine, l'egoismo, le regole e le tradizioni diventano una prigione invisibile da cui non si riesce a scappare. Sarà l'arrivo di un orfanello italiano a destabilizzare e rompere questo circolo vizioso apparentemente senza uscita e a dare la chiave per aprire la porta di questa prigione.
 
La forza del testo è magnificamente espressa dall'interpretazione magistrale di Elisabetta Pozzi, Fulvio Pepe, Alberto Mancioppi e Luigi Bignone.
 
Assolutamente da vedere.
 
 
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