La quadratura dell'imbecille trasfigurato
di Leretico

Prima di cominciare sono costretto a scusarmi con il lettore perché parlerò di imbecilli. Il caso di Roberto Spada... e altri


Ho scoperto, mio malgrado, non essere argomento gradito a tutti, sopratutto a chi teme in qualche modo di esser imbecille o di esserlo stato qualche volta in passato.
Niente paura: chi è percorso da tale dubbio si può subito consolare: è destinato alla salvezza.

Purtroppo ultimamente, nell’epoca di testate spacca-nasi in diretta televisiva, la condizione pubblica in cui viviamo mi ha costretto a riconsiderare, da un punto di vista diverso, la plurisecolare categoria umana degli imbecilli.
Normalmente non si tratta di gente pericolosa, ma quando imbecilli capitano, casualmente o volutamente, in posti di “potere”, lo scenario cambia e nessuno più è al sicuro.

Capiamoci: per “potere” non intendo solo quello legalmente costituito.
Seguendo un testo di Carlo M. Cipolla intitolato “Le leggi fondamentali della stupidità umana” (Il Mulino - 1988) mi ha sorprendentemente colpito quella che l’autore chiama “Terza legge della stupidità umana”:

Una persona stupida è una persona che causa danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita.

Ritornando alle testate ostiensi e inopportune, l’impressione è che la Terza legge del Cipolla calzi a pennello su Roberto Spada.
Ciò nonostante c’è qualcosa in più che rende particolare questa storia: non solo è forte la sensazione che in Italia ci si accorga della mafia soltanto quando le sue azioni diventano spettacolari, ma è paradossale, per non dire comico, che riesca a smuovere più un naso rotto laddove mille rapine, taglieggiamenti, intimidazioni, corruzioni, violenze non hanno potuto.

Qualcosa non quadra.
Devo ammettere di essere avventato nel voler parlare di imbecilli soprattutto se mafiosi.
Tuttavia il pericolo più serio in cui posso davvero incorrere è la possibilità che mi si obietti immediatamente, al solo leggere il titolo di questo pezzo, se io abbia mai considerato seriamente e approfonditamente la mia personale imbecillità prima di indicare scelleratamente quella altrui.

Maurizio Ferraris, in un suo intelligente libretto intitolato “L’imbecillità è una cosa seria” (Il Mulino - 2015) scriveva che l’autocoscienza è lo strumento necessario, se non per immunizzarsi dall’imbecillità almeno per renderla meno influente su sé stessi:

“Chi è consapevole di essere imbecille è a priori meno imbecille di chi non lo sa.
L’autocoscienza va di pari passo con la scoperta della mediocrità”.


E qui mediocrità è da riferirsi alla virtuosa aurea mediocritas oraziana, e al giusto mezzo di origine aristotelica, non alla negativa accezione odierna della parola.
Stanti così le cose, anch’io avrei allora qualche speranza di salvezza.

Nonostante Ferraris,
si deve concedere che accusare me e il mio articolo di imbecillità non sarebbe obiezione da poco, visto che nessuno può con certezza affermare di non essere mai stato imbecille in vita sua, nemmeno io.
Sono costretto ad ammettere dunque che il mio fianco è scoperto.

Eppure ho deciso: mi sono risolto a vincere l’indugio, a rischiare la reazione dei più arrabbiati, come dei più acuti, che desiderino confutare il mio discorso bollandolo come mera interpretazione se non addirittura come discorso stupido.

Veniamo quindi al concetto centrale di cui vi voglio parlare
: l’imbecille, di solito, è anche arrogante e la sua arroganza può essere cagione della sua fine.
Di fronte al “colpo di testa” di Roberto Spada, sferrato violentemente contro il giornalista Daniele Piervincenzi, tutti abbiamo sentito istintivamente un forte dolore al naso.

Ministri e magistrati ne hanno colto il potenziale eversivo e, sull’onda della reazione impaurita della pubblica opinione, si sono mossi con annunci ed arresti.
Evidentemente la tensione, in una cittadina in cui da due anni vigeva il commissariamento del comune per infiltrazioni mafiose, è molto elevata.
Tuttavia qualcosa non torna comunque nello schema generale dei fatti. Ancora qualcosa non quadra.

I mafiosi sono abituati ad agire nell’ombra, cercano di non attirare attenzione.
Normalmente confidano nella paura delle vittime, tirano le fila dietro le quinte perché sanno benissimo che lo Stato può reagire con tutte le proprie forze, se costretto a farlo spinto dalla paura della popolazione e dall’enfasi del crimine mafioso consumato.
Chi viola questa impostazione prudente rischia davvero grosso.

La storia criminale racconta spesso di cadute straordinarie, e straordinariamente cruente, di capi banda sbruffoni e violenti, sempre sull’orlo di una crisi di nervi, pronti ad uccidere alla minima opposizione.
La loro superbia li espone troppo, e tale esposizione si rivela spesso fatale.

Ecco allora che il criminale mafioso che alzasse un polverone mediatico portando l’attenzione su di sé, potrebbe essere senza mezze misure definito imbecille, poiché diventerebbe pericolosamente evidente e strategicamente perdente, dovendosi misurare non più con le proprie usuali vittime indifese, ma con qualcuno ben più grande di lui.

E questo senza “nel contempo realizzare nessun vantaggio per sé”.

L’imbecille non è conscio della propria condizione, non ha alcun dubbio su sé stesso.
È portato ad esagerare soprattutto quando si sente provocato nell’orgoglio.

Totò Riina è un chiaro esempio di questi difetti: con le stragi del 1992 non solo dimostrò la sua imbecillità attirando al massimo grado sulla sua persona l’attenzione dello Stato, già peraltro molto alta, ma fu spinto dall’arroganza, che tutto ancora lo irradia, a sfidare le istituzioni al più alto livello, considerandosi evidentemente più forte di loro.

Il “Capo dei Capi”, dopo anni di ignavia e accondiscendenza statale, si riteneva senz’altro guida di uno Stato reale, seppur illegale, molto più potente dello Stato italiano, uno Stato irreale perché colpevolmente assente, seppure formalmente legale.
Stesso percorso ha fatto Roberto Spada a Ostia, con i necessari distinguo: benché i due atti siano molto diversi per dimensione e risultati, la matrice è identica: l’imbecillità trasfigurata dall’arroganza.

Lo Stato italiano è tristemente noto ai suoi cittadini per essere “forte con i deboli e debole con i forti”, quindi non ama confrontarsi con la mafia, preferisce intrallazzare con essa.

Tuttavia durante le campagne elettorali tutto magicamente sembra cambiare. Il bisogno di voti spinge i notabili a cercare consensi facili e se capitano opportunità come i Roberto Spada e i loro colpi di testa, ben vengano: tutto è cinicamente utile allo scopo. Essere cinici non significa essere imbecilli, anche se il cinismo non è propriamente una virtù.

Tutto “sembra” cambiare per poi gattopardescamente rivelarsi cambiamento utile al mantenimento dell’esistente.
Così accadrà anche ad Ostia e ancora una volta ci accorgeremo che sia i mafiosi che i politici, nonostante la nostra resistenza, cercheranno di trattarci come imbecilli.

Non ci resterà che andare, ancora una volta disillusi, in ospedale a farci rimettere a posto il setto nasale, ineluttabilmente rotto.
Tristi e ammaccati, con una convinzione in più: che tutto finalmente quadra.

Leretico

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