Buona e cattiva accoglienza
di Valerio Corradi

L’articolato progetto Sprar illustrato il 19 ottobre a Serle, promosso dal Comune e da attori della cooperazione sociale, fornisce l’occasione per riflettere su come fare “buona accoglienza”


Nell’opinione pubblica e sul piano politico, nei mesi scorsi, hanno suscitato accesi dibattiti alcuni casi di mala-gestione dei richiedenti asilo in provincia di Brescia.

Si pensi solo alle accuse di truffa allo Stato mosse ad alcuni imprenditori del settore, al caso di sovraffollamento della palazzina di via Bocchi a Brescia, e alla situazione critica di alcuni Centri di accoglienza straordinaria (Cas).

Si è ormai profilata una situazione nella quale l’urgenza di ridistribuire sul territorio i richiedenti asilo porta a optare per soluzioni “tampone” e di emergenza appoggiandosi alle strutture più disparate (Hotel, B&B, abitazioni private, residence, edifici pubblici in disuso, ecc.) e spesso ad affidarsi a soggetti fino a poco tempo prima estranei al campo dell’assistenza sociale.

Sotto il profilo gestionale, c’è poi da aggiungere che l’accoglienza si limita, a volte, a meri adempimenti formali connessi alla erogazione di servizi di alloggio, di pulizia, di pasti e di specifici beni.

La presenza di attori dalla limitata competenza da una parte e l’abbassamento della qualità degli interventi dall’altra, rischiano di gettare ombre sull’accoglienza in quanto tale, rinforzando una sua negativa rappresentazione solo in termini di “business” o di “spreco” di risorse pubbliche.

Serve allora puntare in maniera decisa sulla “buona accoglienza” fatta di trasparenza negli affidamenti, di oculata gestione dei finanziamenti e di garanzie per il rispetto degli standard di qualità dei servizi erogati.

Lontano dai riflettori, da tempo, alcune realtà del terzo settore anche valsabbino stanno promuovendo progetti che vanno in questa direzione, superando le criticità tipiche di strutture ripiegate su sé stesse e non in grado (per volontà o per limiti) di avviare collaborazioni col territorio e di sviluppare progetti d’inserimento sociale con positive ricadute per le comunità locali.

In questo quadro, è auspicabile che i futuri progetti pubblici di accoglienza sappiano premiare maggiormente le partnership sociali formate da realtà cooperative di comprovata esperienza e competenza e dai forti legami col territorio.
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