Il pane di domani, dacci oggi
di Giuseppe Biati

In uno dei miei quotidiani viaggi in treno, da Brescia a Milano e ritorno, un giorno mi trovai a disquisire sui perché della vita, sulla religione, sui novissimi, sulle molteplici visioni filosofiche, politiche, sociali, ecc., con un pretino...


...intelligente quanto umile, il pretino mi ascoltò, rispose, dissertò, argomentò e tutto quello che volete voi.

Si infervorò, prima di lasciarmi, sulla preghiera del Padre Nostro, anzi su una semplice frase, che mi fece allora riflettere e che trascrissi appena giunto a casa.

Nell’unica preghiera insegnata da Gesù, il “Padre nostro”, dopo le richieste che riguardano il Regno di Dio, viene la domanda circa il pane: “Dacci oggi il nostro pane”. Quotidiano, aggiungiamo noi.
E lo interpretiamo nel senso della richiesta di quel minimo necessario che ci liberi dall’assillo del sostentamento, che ci dia libertà interiore di pensare alle cose dello spirito.
Questa interpretazione è legittima, ma non è l’unica.

La parola che noi traduciamo con “quotidiano nel greco dei vangeli è “epiuson”. Questa parola, peraltro, ricorre soltanto qui, dandoci l’incertezza della traduzione.

Nell’antichità, S. Girolamo opinava che nell’originale aramaico, la lingua di  Gesù, ci fosse la parola “mahar”, che significa “di domani”.
“Il pane di domani, dacci oggi”, avrebbe suonato la richiesta sulle labbra di Gesù.

Il che non era evidentemente un invito alla accumulazione capitalistica.
Era piuttosto una chiara richiesta rivolta al Padre a farci pregustare, nel nostro oggi, tribolato e provvisorio, “il pane di domani”, cioè il pane del banchetto finale.

Devo dire che il giovane prete mi convinse appieno!
E la cosa, mi sembra, ora, ancor più suggestiva: il considerare l’invito-richiesta del cibo quotidiano come anticipo del dono ultimo!
Escatologia pura!

Giuseppe Biati
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