Salvate quella pozza
di val.

L’antincendio boschivo la considera come unica alternativa naturale ai laghi d’Idro e d’Iseo per le operazioni di spegnimento fiamme nell’area compresa fra la media Valle Sabbia e la Valgobbia, per altro spesso preda del fuoco. Però non se la passa proprio bene


Anche quando le piogge sono copiose, da qualche tempo ormai, in poche ore ridiventa un acquitrino.
Si tratta della “Pozza di No”, piccolo specchio d’acqua che si trova sui monti di Bione e per la precisione nel bel mezzo del Piano di Lo.

Utilizzato per l’alpeggio dei capi di bestiame fino a qualche decina di anni fa, oggi più che altro meta ambita nei fine settimana per numerose famiglie che arrivano da tutta la provincia, per gli scout d’estate e per i fungaioli in autunno, il piccolo altopiano ospita anche il rifugio/sede edificato dalle Penne nere bionesi.

Da sempre fondamentale per l’equilibrio ecologico dell’area, insieme ad altre sei o sette “pozze” che ormai non esistono più (l’ultima ad asciugarsi è stata quella per altro poco distante in località “Gluna”), la Pozza di No garantiva anche la sopravvivenza di rane e rospi, che ormai non ci sono quasi più.

Il suo declino, secondo gli esperti, è cominciato con la scomparsa delle mucche al pascolo:
i bovini, a decine, percorrevano le sponde del laghetto e conficcando gli zoccoli nel fango le rendevano impermeabili.

Un’accelerazione del degrado sarebbe però arrivata con la decisione, presa più di dieci anni fa, di ripulire quelle sponde con una ruspa.
Il livello del laghetto, che arrivava a misurare anche una manciata di metri, da allora non è più risalito se non per poche ore durante i temporali.
Tanto che oggi anche la “benna” appesa sotto all’elicottero antincendio rischia di non poter più caricare acqua.

Soluzioni?
Due a quanto pare, una anacronistica e l’altra piuttosto costosa: riportare le mucche al pascolo sul Piano di Lo (ma tante) e sperare che col tempo tutto torni al suo posto; rendere impermeabile il bacino con un grande telone sintetico.


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