La Rocca di Nozza, un monito ai posteri
di Emanuele Busi

Dopo aver descritto le bellezze storico-artistiche offerte dalla chiesa Parrocchiale di Preseglie, proseguiamo il nostro viaggio virtuale in direzione del Trentino, trovando sul nostro cammino Nozza


Provenendo dal territorio barghense, la prima cosa che balza all’occhio del visitatore, giunto in prossimità del centro abitato, è ciò che resta della rocca (con annessa chiesetta di Santo Stefano, dalle forme romaniche e contenente affreschi datati fine ‘400, inizio ‘500) che, un tempo ben più di ora, sovrastava minacciosa l’agglomerato urbano.

Nozza, infatti, oltre che essere da sempre un importante centro amministrativo (tutt’ora è sede della Comunità Montana), grazie alla sua vantaggiosa posizione geografica, poté controllare tre fondamentali sbocchi stradali: la via ‘teutonica’ che conduce ai confini trentini, la strada per Brescia (e per il Lago di Garda), infine la strada che conduce alla Val Trompia. Non deve quindi stupire l’incastellamento di questo abitato.

Non si hanno documenti relativi all’origine di questa rocca ma, considerando i numerosi reperti archeologici d’età romana rinvenuti nelle vicinanze di tale roccaforte, non è difficile supporre che un qualche forte difensivo potesse esistere già durante l’epoca romana.

Essa vide, attorno alle proprie mura, numerosi assedi e guerre. Negli anni Venti del Quattrocento, Galvano da Nozza, agli ordini della Serenissima, ai piedi di queste mura, vinse Francesco Carmagnola, all’epoca generale visconteo. Nel 1438 Niccolò Piccinino ammodernò la rocca dandole un carattere più quattrocentesco.

Col dominio di Venezia (1440), il figlio di Galvano, Aldreghino, fu nominato signore della rocca, titolo che permetteva la giurisdizione anche sul territorio del Savallese, di Bione, Agnosine, Preseglie, Odolo. Non avendo Aldreghino lasciato eredi ed avendo la roccaforte perso la funzione militare di un tempo, essa venne comprata da Leonardo Martinengo delle Palle nel 1478, con l’intenzione di adibirla ad abitazione privata.

È con i suoi eredi che comincia l’inesorabile declino della rocca; essi, infatti, viste le ingenti spese di gestione e manutenzione, decisero di abbandonarla all’incuria. Ciò durò fino allo scempio del 1811, anno in cui fu venduta a Carlo Leali di Nozza e a don Antonio Boni di Vestone, i quali la affiancarono ad una fornace e, smantellandola pietra dopo pietra, ne ricavarono calce viva.

Quest’atto vandalico durò fino al 1894, quando il colto mecenate Achille Bertelli comprò i ruderi di ciò che rimaneva della roccaforte e li donò alla comunità vestonese.

Tali resti dovrebbero essere monito per la collettività di come, talvolta, la stupidità umana, accecata dalla bramosia di denaro e dalla totale mancanza di cultura, possa commettere tali scempi contro beni storico-artistici. La rocca potrebbe, quindi, diventare il simbolo dell’ecomuseo valsabbino, con l’intento di trasmettere alla popolazione la consapevolezza di quanto sia importante, grazie al senso d’appartenenza e ad una maggiore sensibilità culturale, tutelare e difendere il territorio e trasmetterlo ai posteri nella piena integrità del suo bagagli.
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