A Remigio la sua Croce di guerra
di Ubaldo Vallini

Remigio Garzoni, di Lavenone, all'età di 97 anni ha finalmente ricevuto l'onorificenza che gli spettava, dopo aver combatturo in Francia e in Albania. Una tempra eccezionale la sua 

 
Ha sempre fatto il contadino e “quàter palanche”, come dice lui, le ha fatte con la licenza per la monta taurina ai tempi in cui allevava bestiame a Castel Antic, il pianoro che sovrasta la frazione idrense di Lemprato, divenuta poi famosa per la presenza di un villaggio retico, ancora da scavare.

Lui è Remigio Garzoni,
farà i 97 il prossimo 25 giugno e finalmente, nei giorni scorsi, ha ottenuto la meritatissima Croce di Guerra.
«Sosteneva che l’avevano consegnata a chi di guerra ne aveva fatta meno di lui - dicono in famiglia -, ci siamo informati e lo scorso 2 giugno, festa della Repubblica gli abbiamo fatto una sorpresa».

Remigio, che a lungo degli anni sotto le armi non ne aveva neppure voluto parlare, ha ringraziato commosso.

Ha raccontato della chiamata del 21 giugno del ’39 che l’ha colto non ancora ventenne, e della leva che presto è diventata guerra vera, sul fronte francese nel 4° Battaglione mitraglieri: «Mi avevano scelto perché ero bravissimo a smontare e rimontare la Breda, più veloce di me c’era solo un legionario tedesco».

Le manovre a Lecco e un breve soggiorno a Bolzano, hanno preceduto il trasferimento col piroscafo Città di Milano fino in Albania.
Ci è arrivato il 6 gennaio del ‘41: «Avevano trovato del petrolio e noi dovevano difendere i pozzi».
Così, tornando a casa una sola volta, fino al fatidico 8 settembre del 1943.

E qui il Remigio se l’è vista davvero brutta:
«Consegnate le armi ai partigiani, siamo diventati degli schiavi, abbandonati a noi stessi.
Tutti erano nostri nemici: i fascisti italiani, i partigiani locali, gli albanesi filotedeschi, i tedeschi».

Lui se l’è cavata elemosinando vitto e alloggio in cambio di lavori umili in campagna, da clandestino, perché tutti cercavano gli ex soldati italiani per mandarli a lavorare ai forni.

«Ne sono morti più lì che durante la guerra – ricorda Remigio -. Una volta io e il Pozzi (un compagno di Treviso Bresciano col quale ha sempre fatto coppia e che ora non c’è più ndr) ci siamo nascosti per quattro giorni in un buco senza mangiare per evitare di essere presi.
Lui si è anche ammalato, tutto gonfio soffriva come un cane, tanto che se avessi avuto un fucile l’avrei ammazzato lì.
Poi lui è guarito e mi sono ammalato io».

Dopo più di un anno trascorso a vivere di stenti Remigio è riuscito a guadagnare un passaggio su una navicella inglese che riforniva i partigiani sugli scogli.
A Bari e poi a Trani, in ospedale, pesava 38 chili.

Una tempra eccezionale:
ancora oggi il Remigio ama lavarsi al mattino nel Chiese che scorre accanto al terreno vicino a casa, a Lavenone e ancora è lui a falciare l’erba del prato, con la “ranza”, naturalmente. 

.in foto: coi nipoti; coi tre figli ; mentre falcia il prato davanti all'azienda di uno dei suoi figli.


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