Una carezza in un pugno
di John Comini

Perché ci sono i bulli? E soprattutto: perché un bambino o un ragazzo diventano bulli? E cosa si può fare davanti al bullismo?

 
La scuola spesso è impotente dinanzi a questi fenomeni, che passano da piccoli atti di scherno e di cattiveria verbale, da sguardi derisori verso i bambini con problemi oppure stranieri o comunque “diversi”, fino a raggiungere–anche attraverso il cyberbullismo- atti di vera violenza con risultati tragici come il suicidio delle vittime. E fanno bene quei comuni e quelle scuole che organizzano incontri con esperti, per capire meglio il drammatico problema. Qualche psicologo dice che i “bulli” non solo hanno limitato la loro capacità di sentire emozioni proprie, così da non poter essere più in grado di provare empatia verso i propri compagni o amici, ma stimolano negli altri e soprattutto negli adulti dei sentimenti di repulsione e di aggressività. Molti docenti che hanno a che fare con bambini aggressivi sono molto più punitivi con loro piuttosto che con gli altri alunni. E in effetti quando vedi qualche bambino dare calci ad un altro bambino, ti prudono le mani ed hai un pizzico di nostalgia (illegale, per carità…) per la stroppa del tuo vecchio maestro….

La conseguenza è che avendo ricevuto una risposta aggressiva, il bambino che fa il bullo si sente ancor più incentivato ad avere pensieri del tipo “non mi vuole bene, ma io non ho bisogno di lui”, aumentando il grado di frustrazione, di rifiuto, di impotenza che accresce l’aggressività verso se stesso e quindi verso gli altri. Ma, come ripeto, il problema è complesso, e secondo me ha cause sia nell’ambito familiare, sia a livello sociale. Siamo sinceri: quando vediamo alcuni ragazzi che si comportano in modo maleducato per strada, quante volte facciamo finta di nulla e tiriamo diritto? Queste cose sono amplificate nel calcio, dove gli ultras di qualsiasi squadra si sentono in diritto di insultare e aggredire qualsiasi persona non tenga alla stessa maglia. È così bello quando, alla fine di una partita importante, i tifosi cantano per la propria squadra sconfitta ed applaudono (anche se con le lacrime agli occhi) i campioni della squadra avversaria. Dovrebbe essere la norma, e invece è un’eccezione. Le cronache degli autogrill devastati, dove si incontrano –magari casualmente- tifosi di squadre avversarie, sono all’ordine del giorno. È diffuso un senso di impunità, di violenza, di cattiveria e di rancore, che caratterizzano questo piccolo, povero mondo. Come canta Luca Carboni…

“Io sono troppo bolognese,  tu sei troppo napoletano
egli è troppo torinese e voi siete troppo di Bari
sì noi siamo troppo orgogliosi, loro sono troppo veneziani
e anche dentro la stessa città, siamo sempre troppo lontani!
E siamo sempre troppo romani e sì che siamo troppo milanesi
e lo vedi anche allo stadio che siamo sempre troppo tesi
siamo tifosi poco sportivi perché siamo troppo fiorentini
e la polizia controlla che non stiamo troppo vicini!
…Sventoliamo troppe bandiere col bastone nella mano
e diventiamo troppo violenti e se non ci spacchiamo i denti
comunque ci promettiamo in coro che ci romperemo il …!
…e anche se è caduto il muro abbiamo sempre troppi confini!
...e poi eravamo troppo fascisti e anche troppo menefreghisti
allora giù botte coi manganelli
comunque non eravamo troppo fratelli
poi diventammo troppo comunisti e anche troppo democristiani
e sì che il tempo passa ma siamo ancora troppo italiani!”

C’è un bellissimo monologo sul bullismo recitato dalla brava Paola Cortellesi.
“Mi chiamo Giancarlo Catino e credo nell’amicizia! Ho 6 anni e oggi è il mio primo giorno di scuola! Ho conosciuto subito la popolazione degli unni: sono i miei compagni di classe! Nel giro di tre minuti abbiamo urlato a squarciagola la lettera e.
-Eeeeeeeehhh!!!!!!
Giochiamo a buttasse de sotto dalla finestra? (io mi so buttato loro no)
- Eeeeeeeehhh!!!!!!
Giochiamo ad ammazzare gli zombi e le femmine fanno gli zombi?
Eeeeeeeehhh!!!!!!
Poi ho preso 3 ceffoni, 6 sgambetti e 1 cazzottone in testa, è per questo che mi sono ritrovato al primo banco. Andrea Rozzi, un compagnuccio scalmanato, mi ha subito ribattezzato “bersaglio mobile” e la mia schiena è diventata il campo di atterraggio di aerei di carta, bucce di banana e matite spezzate… (ride) mi tirano addosso di tutto! All’ultima ora mi è arrivato in testa pure un compasso! E’ un giorno che non dimenticherò mai… la mia prima cicatrice in fronte!
Mi chiamo Giancarlo Catino e credo nell’amicizia. I miei compagnucci nel corso degli anni hanno declinato il mio nome per scherzo in ogni modo: “Giancappio, Giancavolo, Giancacca e Giancojòne.
Poi si sono sbizzarriti anche col cognome che ha ispirato una canzoncina mitica che mi cantano sempre a ricreazione: “Catino cretino, sei un quattrocchi e c’hai il pisellino”

Che spasso! Andrea Rozzi per farmi uno scherzo ha sparso la voce che avevo i pidocchi, che matto! Oh, ci credete che da allora nessuno mi ha più invitato a una festa? Adesso oltre a Quattrocchi mi chiamano pure Pidocchioso! Mio cugino Luca che fa la quinta, a ricreazione li ha sentiti e dice che non dovrebbero chiamarmi così… Io li lascio fare perché penso che prima o poi smetteranno.
Mi chiamo Giancarlo Catino e credo nell’amicizia. Ho 11 anni e sto alle medie! Pure i nuovi compagni di scuola sono una banda di buontemponi! Sono stato fortunato perché in classe mia ho trovato anche Andrea Rozzi cioè così almeno conosco qualcuno! Sono andato un po’ su di peso e così hanno cominciato a chiamarmi con dei nuovi simpatici appellativi: Suppli’, Bombolone, Strofinaccio, Cicciottone, Carta da parati, Zinnacchione, Puzza di piedi, Cacone, Calcinaccio, Sterco, Pippa, Sega, Ciccia bomba, Palla e Straccio.
Non è che mi fa piacere ma pazienza, se penso che Rinaldi lo chiamano Vomito, a me è andata di lusso. L’altro giorno mi hanno buttato dentro a un cassonetto della mondezza! Sono riuscito fuori tutto sporco de sugo e avanzi. Mio cugino Luca che è in terza mi ha visto, io per la vergogna mi sono accucciato nel cassonetto e tutti hanno riso. Come ci torno a scuola domani?

Certe sere mi affaccio dalla finestra e mi chiedo come sarebbe volare via e sparire per sempre…. Di sicuro non mi chiamerebbero più “Sterco”…
Mi chiamo Giancarlo Catino e credo nell’amicizia. Ho 14 anni e ho iniziato il liceo scientifico. In classe mia ci sono due gruppi…. e poi ci sto io. Ho capito che la cosa migliore è parlare il meno possibile così non mi vedono. Invece che palle non è servito a niente: mi hanno avvolto nel nastro adesivo, mi hanno bruciato i jeans con l’accendino e mi hanno disegnato un pene sulla fronte col pennarello indelebile. A causa di questo ultimo avvenimento a casa mia si sono accorti di quello che mi fanno a scuola . Mia mamma ha fatto un sacco di storie. Poi mi hanno costretto a parlare con la psicologa perché in quel video su YouTube non facevo bella figura. La verità è che mi vergognavo a parlare con i miei… La verità è che vorrei essere diverso… Stamattina sono entrato nella palestra di scuola mia e ho puntato il più carogna dei miei compagni. L’ho guardato fisso negli occhi e ho pensato che volevo sconfiggerlo.

Così l’ho abbracciato… e ho vinto io.
Mi chiamo Giancarlo Catino e credo nell’amicizia…”
Il bellissimo e straziante racconto è intervallato dalla canzone di Marco Menngoni…
“E levo questa spada alta verso il cielo
giuro sarò roccia contro il fuoco e il gelo
solo sulla cima attenderò i predoni
arriveranno in molti e solcheranno i mari
Oltre queste mura troverò la gioia
o forse la mia fine comunque sarà gloria
e non lotterò mai per un compenso
lotto per amore, lotterò per questo
Io sono un guerriero veglio quando è notte
ti difenderò da incubi e tristezze
ti riparerò da inganni e maldicenze
e ti abbraccerò per darti forza sempre
ti darò certezze contro le paure
per vedere il mondo oltre quelle alture
non temere nulla io sarò al tuo fianco
con il mio mantello asciugherò il tuo pianto
E amore il mio grande amore che mi credi
vinceremo contro tutti e resteremo in piedi
e resterò al tuo fianco fino a che vorrai
ti difenderò da tutto, non temere mai
Non temere il drago fermerò il suo fuoco
niente può colpirti dietro questo scudo
lotterò con forza contro tutto il male
e quando cadrò tu non disperare
per te io mi rialzerò
Io sono un guerriero e troverò le forze
lungo il tuo cammino sarò al tuo fianco mentre
ti darò riparo contro le tempeste
e ti terrò per mano per scaldarti sempre
Attraverseremo insieme questo regno
e attenderò con te la fine dell’inverno
dalla notte al giorno, da Occidente a Oriente
io sarò con te e sarò il tuo guerriero
Ci saranno luci accese di speranze
e ti abbraccerò per darti forza sempre
giuro sarò roccia contro il fuoco e il gelo
veglio su di te, io sono il tuo guerriero…”

Certo, ogni bambino vorrebbe avere accanto un “guerriero”, un supereroe che lo protegga dalle cattiverie del mondo. Mi viene in mente “La storia infinita” di Michael Ende, dove c’è questo Bastian, un ragazzino amante dei racconti d'avventura, riservato e sognatore. Un giorno, mentre va a scuola, si imbatte in tre bulli e inizia a scappare, rifugiandosi in una bottega. Si ritrova in una libreria, dove è accolto bruscamente dal vecchio padrone, che è intento a leggere uno strano volume intitolato La storia infinita. Approfittando di un attimo di distrazione, Bastian ruba il libro e scappa via. Alla fine, dopo varie e fantastiche avventure nel Regno di Fantàsia, torna sulla Terra cavalcando un simpatico drago di  nome Falkor, in groppa al quale mette in fuga i bulli che lo avevano perseguitato all'inizio. Infine ritorna a casa, con la consapevolezza che ogni suo sogno gli permetterà di dare vita a molte altre avventure.
Ma la realtà spesso è dura, e viene raccontata benissimo da un altro film, “Les choristes - I ragazzi del coro”, ambientato in un istituto di correzione, dove le punizioni corporali sono all’ordine del giorno e dove il canto è l’unica possibilità per volare via. E quando c’è un furto nel collegio, viene punito un ragazzo teppista che però non aveva colpa, perché, come dice il Direttore: "Se non è stato colpevole oggi, lo sarà stato ieri".

Spesso i bulli sono impuniti, le famiglie e la scuola sono disarmate dinanzi a queste cose. Un professore ha scritto questa lettera, a proposito di una ragazzina di Pordenone che ha tentato di suicidarsi. Si è buttata dal secondo piano. Non è morta. Ma per la botta che ha preso ha rischiato di restare tutta la vita immobile, senza poter comunicare normalmente con gli altri.
«Adesso vi dico una cosa. E sarò un po' duro, vi avverto. Ma ce l’ho dentro ed è difficile lasciarla lì. Quando la finirete di mettervi in due, in tre, in cinque, in dieci contro uno? Quando finirete di far finta che le parole non siano importanti, che siano "solo parole", che non abbiano conseguenze, e poi di mettervi lì a scrivere quegli sms - li ho letti, sì, i messaggi che siete capaci di scrivere - tutte le vostre "troia di merda", i vostri "figlio di puttana", i vostri "devi morire".

Quando la finirete di dire "ma sì, io scherzavo" dopo essere stati capaci di scrivere "non meriti di esistere"? Quando la finirete di ridere quando passa la ragazza grassa, di indicare col dito il ragazzo "che ha il professore di sostegno", quando la finirete di dividere il mondo in fighi e sfigati? Che cosa deve ancora succedere, perché la finiate? Che cosa aspettate? Che tocchi al vostro compagno, alla vostra amica, a vostra sorella, a voi? E poi voi genitori, sì. Padri e madri dei figli capaci di scrivere certi messaggi. O di quelli che ridono così forte. Quando la finirete di chiudere un occhio? Di dire "Ma sì, sono ragazzate"? Di non avere idea di che diavolo ci fanno, 8 ore al giorno, i vostri figli con quel telefono? Di non leggere neanche le note e le comunicazioni che scriviamo sul libretto personale? Di venire da noi insegnanti una volta l'anno (se va bene)? Quando inizierete a spiegare ai vostri figli che la diversità non è una malattia o un fatto da deridere, quando inizierete a non essere voi i primi a farlo, perché da sempre non sono le parole ma gli esempi, gli insegnamenti migliori?
Se una ragazzina di quell'età decide di buttarsi, non lo sta facendo da sola: una piccola spinta arriva da tutti quelli che erano lì e non hanno visto, non hanno fatto, non hanno detto».

Umberto Galimberti, riferendosi a questa lettera, scrive:
“Oggi i genitori parlano pochissimo con i figli da piccoli e poi, quando crescono, si limitano a chieder loro come vanno a scuola o a che ora della notte tornano, temendo che, contrastandoli o ponendo loro regole e limiti, che non hanno mai stabilito prima, possa succedere il peggio. E invece il peggio succede perché i genitori non si sono mai davvero chiesti che cosa succedeva ai figli mentre crescevano, non hanno mai parlato davvero con loro, li hanno semplicemente riempiti di giocattoli che stavano al posto di tutte le parole mancate. Qui anche la scuola è gravemente colpevole, perché i sentimenti non sono dati per natura ma per cultura: dai primitivi che raccontavano miti, ai giorni nostri quando la letteratura racconta storie per farci conoscere cos'è l'amore, il dolore, la noia, il suicidio, la disperazione, la speranza, la tragedia, il senso della vita e l'ineluttabilità della morte. E quando non si conoscono i sentimenti, il terribile è già accaduto.”

“Tu stai qui con me, ti proteggerò
troveremo insieme una ragione per vivere
perché il mondo fuori è difficile
se stai qui con me c’è una ragione per vivere.” (Zucchero)

Non rifletterò mai abbastanza sul fatto che tanti bambini vivono la paura del male, e magari non hanno una famiglia che li ascolti o li protegga, o un educatore che non li punisca severamente se sbagliano una “acca” o se arrivano in ritardo…È vero che bisogna crescere e non restare “infantili”, ma la personalità si costruisce ogni giorno in modo armonico, senza traumi. Mi piace trascrivervi una piccola storia sul bullismo inventata da una mia alunna, Tecla, bella e dolcissima. Si intitola: Il ragazzo che faceva Badabum!
“Prima è successo che un ragazzo che si chiamava Luca ogni giorno faceva Badabum! perché i suoi compagni di classe lo facevano sedere ma poi gli toglievano la sedia e poi gli facevano gli sgambetti, perché volevano che tutti gli altri lo prendessero in giro. Perciò quando tornava a casa tutto pieno di botte diceva alla mamma ogni giorno “Mamma mi fa male la testa, mamma mi fa male il piede!” e così via. La mamma gli mise il ghiaccio e gli disse “Tienilo su un po’ e ti passerà” ma lui esclamò “Ma domani quando vado a scuola mi faranno ancora gli scherzi”. Ma la mamma gli disse “Non preoccuparti che domani vengo io alla tua scuola e glielo dico al Preside”. Il giorno dopo il Preside gli dice “Se ti fanno un dispetto li espello, o meglio li espello subito!”. Dopo aver espulsi i bulli li ha mandati in un college dove erano tutti più grandi di loro e facevano la stessa fine di Luca, così imparavano la lezione e vissero tutti felici e contenti.”

Giacomo Mazzariol (classe 1997)  ha caricato su YouTube un corto, The Simple Interview, girato assieme al fratello minore Giovanni, che ne è il protagonista. Giovanni ha la sindrome di Down. Il video ha avuto un'eco imprevedibile. Vi prego, vi scongiuro: leggete il libro “Mio fratello rincorre i dinosauri. Storia mia e di Giovanni che ha un cromosoma in più”…è bellissimo, fa ridere e piangere e si legge d’un fiato.
“Venni avvicinato da un ragazzo Down sulla ventina; anche se è sempre difficile indovinare l’età dei Down: sembrano bambini invecchiati precocemente. -Ciao io sono Davide –disse con la bocca piena di patatine. –Ciao io sono Giacomo –e gli strinsi la mano. Io sono Down. E tu? –Io…be’, no, niente, io…sono qui per…-e stavo per indicare mio fratello, ma lui mi interruppe. –Niente? Maddài. Impossibile. Tutti sono disabili. Pure Tommy, anche lui lo era. Lo vedi quello nel giardino?- e indicò un altro ragazzo Down che stava parlando ai fili d’erba. –Sì, lo vedo. –Tommy era Down. Ora è guarito. –Ma come è guarito? –Dice che grazie alle carote che ha mangiato l’altro giorno non è più Down. Io ci credo. Ma parliamo di te. Ci sarà qualcosa che non sai fare. Ci pensai un attimo poi dissi:-Non so stirare. Ah sì-fece lui sorridendo-La stirosindrome. Guarda- disse abbassando il tono della voce- meglio essere Down che avere la stirosindrome. –Perché? –Come perché? Tu ce l’hai il sussidio? No. -Io sì. Lo Stato mi paga per essere Down e io non devo far nulla. Capito? Mi danno soldi per esistere. I Down sono il futuro. –Beh non credo che…- Non devo lavorare. Mamma mi fa ancora la lavatrice pensando che io non sia in grado di farmela. Mi portano di qua e di là, non serve che mi faccio la patente. Non devo trovarmi una casa perché i miei genitori mi vogliono per sempre, almeno per ora. Ti piacerebbe eh? –In effetti non sembra male, sorrisi. Però ho avuto un periodo difficile. Ho avuto un periodo che mi tiravano addosso i banchi e le sedie e i libri. Alle superiori. Dicevano mostro, idiota, handicappato, scimmia. Mi volevano male. Se solo avessero saputo…-Cosa?- Che grazie a loro cominciai a piacermi. Cominciai a ringraziare Dio di non avermi fatto così, come quelli che mi offendevano. A loro è andata peggio: sono nati senza cuore. Arrivai persino a ringraziarlo per quel cromosoma in più. Aspetta, dove sarebbe il cromosoma in più? –si stava guardando il corpo. –Sarebbe all’interno del nucleo delle… -Ah, eccolo trovato – e si indicò un posto tra il cuore e il fegato- Sono contento di quello che sono…sono contento del mio carattere, dei miei amici, della mia famiglia, della vita. Siamo parte della vita…La vita è l’unica cosa che si crea dal nulla. Prende forme diverse: un fiore, un cerbiatto, un sasso…no, i sassi no, anche se quando li lanci, i sassi si muovono e allora…comunque un cerbiatto, Davide, Giacomo, Filippo, Laura, una canzone di Battisti…Gli sorrisi. -Certo, non diventerò uno scienziato, ma nessuno fa delle frittelle come le mie. -Sai fare le frittelle? -Sì. -Di mele? -Sì. Le hai portate? -Sono quelle -disse indicando il tavolo alla mia sinistra. Ci avvicinammo. Le provai. Erano le migliori frittelle che avessi mai mangiato. Io adoro le frittelle di mele.”


“Ma tra un giorno da leone e cento da pecora, non se ne potrebbero fare cinquanta da orsacchiotto?” (Massimo Troisi)

Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo

maestro John Comini
170521_scolari.jpg 170521_scolari.jpg 170521_scolari.jpg