L'anno che verrà
di Ezio Gamberini

Dopo aver introdotto i cento lire nel jukebox digitavo J3, il braccio meccanico si attivava per andare a pescare il 45 giri prescelto e in pochi secondi potevo ascoltare “L’anno che verrà” di Lucio Dalla…

 
Così tutte le sere, per un anno, nello spaccio della caserma che a Caluri di Villafranca, all’interno dell’aeroporto, ospitava i centocinquanta militari di leva appartenenti al corpo dell’Artiglieria Contraerea.
Oddio, non che patissi troppo la malinconia, poiché ero tra i fortunati che, se lo avessero voluto, e in realtà succedeva spesso, abitando a poco più di cinquanta chilometri da casa, riuscivano nel tempo della libera uscita, dalle diciotto alla mezzanotte, col permessino di un’ora, a salutare la propria morosa e poi tornarsene in caserma.
Tutto ciò grazie alla mitica “cinquecento L” che i miei mi avevano permesso di utilizzare. 

Ma l’ascolto di quella canzone suscitava in me qualcosa di struggente, pensavo a quando avrei finito l’anno (di naja!), a cosa avrei fatto, soprattutto al futuro che aspettava Grazia e me, insieme.

Non trascorse molto tempo, perché un anno dopo aver terminato il servizio militare, era il mese di settembre, ci sposammo, e quest’anno festeggeremo il trentaseiesimo anniversario di matrimonio. 

Un paio di “brutte botte”, hanno cercato di ostacolare questo viaggio: a me nel duemilaotto, quando fui colpito da due infarti e a Grazia nel duemilatredici, quando subì un pesantissimo intervento che però, grazie al cielo, è stato risolutivo; ma siamo ancora qua, e a giugno potremo gioire per la nuova famiglia che si formerà con il matrimonio del nostro primogenito.

La scintilla che mi ha indotto a scrivere questo racconto è scoccata l’altro ieri, sabato, quando al palazzetto dello sport di Puegnago del Garda si è disputata la gara di ginnastica artistica “Trofeo Dafne”, la società presieduta dalla nostra figliola Annina.
Le gare cominciano alle due del pomeriggio e si protraggono fino a tarda sera (sabato sono terminate alle otto e un quarto!), perché le atlete si alternano in base alle categorie e i livelli, perciò gli spalti sono sempre gremiti da centinaia di genitori e parenti che si scambiano il turno ogni ora e mezzo-due.

Gli unici che sono stati fissi al loro posto per tutta la durata della manifestazione, insomma, siamo stati Grazia ed io!
Vedere le bambine che si cimentano nella competizione, specialmente quelle di cinque-sei anni, è davvero piacevolissimo, e poi nelle premiazioni finali è trionfale l’entrata che fanno i gruppi con i portabandiera che innalzano i cartelloni delle rispettive sedi: sembra di assistere alla cerimonia di apertura delle olimpiadi; là vedi scorrere le bandiere del Giappone, India, Brasile, Olanda, Honduras… qui invece i cartelloni riportano le località di Sabbio, Gavardo, Treviso, Puegnago, Nuvolento.

Ed è proprio durante la cerimonia di premiazione che scorgo Grazia fissare la piccola portabandiera di un gruppo: la scruta a lungo e poi afferma:

“L’ha saltata!”.

Quando tutte le atlete si schierano, sono fatte le premiazioni con i riconoscimenti alle prime tre per ogni specialità (corpo libero, trave e volteggio) e per la classifica generale, ma preventivamente a ogni atleta è infilata al collo una medaglia che ricorda la partecipazione all’evento; operazione che le assistenti devono svolgere alla svelta, trattandosi di decine e decine di atlete a ogni tornata!

 “L’ha saltata, vado ad avvisarla!”, ripete Grazia, e scende dalle tribune, in direzione di un’assistente che è vicina al pubblico.

Guardo la piccola portabandiera: no, al collo non ha niente, a differenza di tutte le altre atlete schierate.

L’assistente, avvisata da Grazia, corre a prendere una medaglia e la mette al collo della bimba, che si scioglie in un sorriso.

Non so cosa mi prende (e ho la consapevolezza di correre il rischio di essere deriso), ma al gesto di Grazia io mi commuovo, e mi convinco sempre più di dover ringraziare il cielo per avermi permesso di sposare una donna così sensibile, e forte, generosa, altruista.

E non voglio aggiungere altro, perché le parole non riuscirebbero sufficientemente a dare il senso di quello che provo per lei.

Quando assistiamo alla separazione di qualcuno che conosciamo, Grazia mi dice burbera:
“Non fare lo scherzo di andartene con un’altra, perché io vengo a riprenderti!”.

“Ma dove vuoi che vada, a tribolare, magari con una più giovane? Tingermi i due capelli che mi sono rimasti? Avere a che fare con una che non mi conosce come te? Fare brutte figure? Ma va là!”, le ribatto.

Giovani e belle non deve temerle (anche perché alle giovani e belle sicuramente del sottoscritto non gli frega un accidente).
Però, una anche vecchia, racchia, brutta, ma ricchissima sfondata, magari…

Vuoi mettere, alzarti una mattina e dirle:

“Cara, che ne diresti se facessi stampare tutti i libri di Giovannino Guareschi in foglia oro, magari con copertine foderate di Swarovski? La spesa è soltanto di ventiduemilacinquecento euro!”
.

“Certo caro…”.

E un’altra mattina, magari, proporle:

“Senti cara, perché oggi non andiamo a mangiare una fiorentina innaffiata da un buon Brunello? Dai prendiamo l’elicottero e andiamo in riva all’Arno. Ci costerà soltanto sette-ottomila euro…”.

“Certo caro…”.

E la terza mattina, colpito dai sensi di colpa, suggerirle:

“Cara, perché oggi non adottiamo a distanza duecento bambini africani? Dai sono soltanto trentaseimila euro l’anno!”.

“A distanza, caro? Ma facciamo quattrocento…”.
 
No Grazia, per carità, scartiamo anche la ricca sfondata; resterò sempre con te, perché è con te che voglio affrontare il futuro.
Insomma, il trentaseiesimo anno di matrimonio che sta arrivando, tra un anno passerà; io mi sto preparando, è questa la novità.
 
 
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