Giudizi universali
di John Comini

Fine del primo quadrimestre. Tempo di scrutini. Ormai non si usa più il “cartaceo”, si fa tutto sul registro elettronico. Così le famiglie da lunedì possono sapere se il proprio cucciolo è da sgridare o da premiare


Per me, maestro ormai in via di estinzione, è sempre stato difficile dare voti e giudizi.
E vedo che la cosa è condivisa da molti docenti.
Se sei troppo “largo di maniche” sei troppo buono e poi alle medie i voti li abbassano di 2 gradini e poi nella vita bisogna abituarsi a vivere le frustrazioni.
Se sei troppo “stretto” poi questi fragili bambini vanno in depressione e le mamme si buttano sul cioccolato fondente.

Se sei giusto… cosa significa essere giusti?
Magari dai un voto basso ad un bambino che ce la mette tutta, che non vive in un ambiente tranquillo, che insomma dà il meglio di quel che può dare…
Insomma, dubbi su dubbi, ci sono maestre che non dormono di notte, davvero!  
E poi i bambini (come tutti noi, del resto), ti pare di conoscerli, ma sono dei perfetti sconosciuti. Sono un mistero, ecco quello che sono.
E spesso le schede di valutazione, alias pagelle, diventano fonte di ansia, soprattutto nei bambini più sensibili e responsabili.

Mi raccontano che in Gran Bretagna a scuola si fanno verifiche su verifiche, con un ritmo allucinante.
Ogni scolaro ha il fiato sul collo: 5 livelli di lavoro, controllo continuo, una specie di catena di montaggio della valutazione.
Ma anche i docenti hanno il fiato sul collo dei dirigenti, che a loro volta rischiano il licenziamento se il meccanismo s’inceppa…

Una volta poi fioccavano le bocciature. C’erano classi delle elementari piene di ripetenti.
La battuta era: “ti piaceva così tanto la scuola elementare che ti sei fatto bocciare 3 volte.”  
Voto e scuola sono una cosa sola. Difficile immaginare una scuola senza voto. Eppure ce ne sono state e ci sono tuttora.

Per esempio a Barbiana, ai tempi del mitico Don Lorenzo Milani.
“La più accanita professoressa protestava che non aveva mai cercato e mai avuto notizie sulle famiglie dei ragazzi: «Se un compito è da quattro io gli do quattro». E non capiva, poveretta, che era proprio di questo che era accusata.
Perché non c’è nulla che sia ingiusto quanto far le parti eguali fra disuguali.

”I ragazzi di Barbiana non si sono limitati a discutere della selezione di classe, ma hanno anche criticato il modo con cui si faceva scuola. Il modo di fare scuola può aiutare o ostacolare il successo degli studenti. Può renderli passivi o attivi, può riempire la loro testa di nozioni o sviluppare il loro senso critico e la capacità di ricerca.

Il voto rischia di monopolizzare l’attenzione e l’interesse degli studenti, facendoli studiare solo per la valutazione, in una situazione di ansia e competizione.
Lo scopo della scuola non è solo quello di preparare al mercato del lavoro o di attrezzare gli individui per fare carriera, se ci riusciranno, ma anche e forse soprattutto di formare cittadini sovrani.
Tanti bambini ancora oggi hanno tristi situazioni familiari. 

Pensando ad un bambino sfortunato nella vita molti anni fa avevo scritto questa canzone:
“Negli occhi di un bambino c’è un dolore
che da sempre gli ha rubato il sorriso
e di finti sorrisi oramai ne ha già visti abbastanza
Negli occhi di un bambino c’è la morte
che chiude a chiave le stanze del cuore
nel giardino dei suoi anni nascon fiori senza nome.
Negli occhi di un bambino c’è l’altalena dell’amore
con il suo lungo pianto che lega stretta una valigia
e c’è sempre un cuscino da stringere forte forte
mentre il giorno si mescola alla notte
Negli occhi di un bambino una conchiglia piccola
porta dentro il  suono dell’oceano indiano
il canto dei pesci racconta il mistero di chi non vuol parlare.
Negli occhi di un bambino c’è l’odore di cucina
sopra il tavolo una scodella bianca di tristezza
c’è il teatrino degli sguardi e il tip tap dei passeri sulla neve
Negli occhi di un bambino ci sono altri occhi
c’è un cuore che corre per non farsi vedere
il sogno di una luna da cullare sopra un letto disfatto
E adesso che fai, piangi? Nei tuoi occhi da bambino non cercare altre lacrime
guarda ti regalo le mie se vorrai”
 
Quando vedo bambini con problemi socio-familiari e mi rendo conto che non posso aiutarli più di tanto, questo mi intristisce…
Però mi auto-incoraggio e penso che, data la loro età, il fatto di trascorrere tanto tempo a scuola può essere d’aiuto e che c’è ancora uno spazio per formarli, per sostenerli.

Il periodo della scuola è uno dei pochi momenti in cui si può stabilire un rapporto: ho a che fare con bambini nel momento più bello della loro vita – almeno per me è stato così – e spero sempre di dare qualcosa anche perché loro mi danno molto.
A volte hanno il potere di spiazzarti: magari sanno cogliere il disagio di un giorno triste ‘ma che cos’ha il maestro John oggi?’ 

Mia mamma quando sono diventato maestro mi ha detto una sola frase
: “Ensegnega ai tò pitì a mia sbater la carta per tera” (Insegna ai tuoi bambini a non buttare la carta in terra).
Trovo che questa frase sia bellissima e molto significativa: non solo perché l’ha detto mia mamma, ma secondo me c’è il rispetto dell’ambiente, non sprecare le cose, l’educazione…

Alla fine del percorso scolastico, uno deve diventare un cittadino: civile, rispettoso delle regole comuni e se andrà a votare deve essere libero di votare chi vuole senza ammazzare nessuno se la pensa diversamente.
Questo è per me l’obiettivo: alla fine uno può diventare ingegnere o quello che pota le siepi, ma alla società serve sia l’uno sia l’altro… 

Sono convinto che la famiglia sia il primo momento educativo.

Sono anche convinto che sia giusto gratificare il bambino: chi di noi non lavora meglio in un ambiente in cui è stimato e compreso? Penso anche che la scuola dovrebbe mostrare agli studenti che non ci sono solo i tablet e i videogiochi.
Come scrive Paola Mastrocola nel libro “La gallina volante”
Noi possiamo solo abbellirgli la vita che hanno adesso, far loro balenare la bellezza, mettergli entusiasmo, sai l’entusiasmo, la passione? Questo possiamo fare. Si tratta di avere o non avere gli occhi, dico gli occhi di dentro, non quelli di fuori, che usiamo anche troppo.”

Il docente deve aiutare ogni bambino a cercare il proprio posto nel mondo.
Ho conosciuto insegnanti, e li conosco tuttora, che nel piccolo, senza clamore, creano un meraviglioso contatto con i bambini, sono loro vicini nelle piccole grandi cose di ogni giorno. Sono maestre e maestri che pensano che tutto ciò che passa attraverso il bambino prima passa nel suo cuore. 

Qualcuno si ricorda la trasmissione “Non è mai troppo tardi”?

Era andata in onda tra il ‘60 e il ‘68, serviva per combattere l’analfabetismo e la conduceva il maestro Alberto Manzi, che riproduceva delle vere e proprie lezioni di scuola elementare.
Secondo me la dovrebbero rifare, per tutti!

Quel bravissimo maestro scrisse questa stupenda lettera ai suoi bambini,  alla fine della quinta.
“Cari ragazzi, questo è il nostro ultimo giorno di scuola.
Abbiamo camminato insieme per un intero anno, abbiamo cercato insieme di capire questo nostro magnifico e stranissimo mondo. Non solo vedendone i lati migliori, ma infilando le dita nelle sue piaghe, perché volevamo capire se era possibile fare qualcosa insieme per rendere il mondo migliore.
Abbiamo cercato di vivere insieme nel modo più felice possibile. Ora dobbiamo salutarci. Non rinunciate mai, per nessun motivo, sotto qualsiasi pressione, ad essere voi stessi.
Siate sempre padroni del vostro senso critico e niente potrà farvi sottomettere.
Ricordatevi che mai nessuno potrà bloccarvi se voi non lo volete, nessuno potrà mai distruggervi se voi non lo volete.

Perciò avanti serenamente, allegramente, con quel macinino del vostro cervello sempre in funzione, con l’affetto verso tutte le cose e gli animali e le genti che è già in voi e che deve sempre rimanere in voi.
Con onestà, onestà, onestà, onestà e ancora onestà, perché questa è la cosa che manca oggi nel mondo, e voi dovete ridarla.
E intelligenza, e ancora intelligenza, e sempre intelligenza, il che significa prepararsi, il che significa riuscire sempre a comprendere, il che significa sempre riuscire ad amare.
E amore, amore. Se vi posso dare un comando, eccolo, questo io voglio: realizzate tutto ciò ed io sarà sempre con voi.
ricordatevi che se qualcuno, qualcosa vorrà distruggere la vostra libertà, la vostra generosità, la vostra intelligenza, io sono qui, pronto a lottare con voi, pronto a riprendere il cammino insieme, perché voi siete parte di me ed io di voi. Ciao bambini.”

Tornò alla ribalta nel 1981, allorché si rifiutò di redigere le appena introdotte "schede di valutazione", che la riforma della scuola aveva messo al posto della pagella.
Manzi si rifiutò di scriverle perché “non posso bollare un ragazzo con un giudizio, perché il ragazzo cambia, è in movimento; se il prossimo anno uno legge il giudizio che ho dato quest'anno, l'abbiamo bollato per i prossimi anni”.
La "disobbedienza" gli costò la sospensione dall'insegnamento e dalla paga. L'anno dopo il Ministero della Pubblica Istruzione fece pressione su di lui per convincerlo a scrivere le attese valutazioni. Manzi fece intendere di non avere cambiato opinione, ma si mostrò disponibile a redigere una valutazione riepilogativa uguale per tutti tramite un timbro; il giudizio era: "Fa quel che può, quel che non può non fa". Il Ministero si mostrò contrario alla valutazione timbrata, al che Manzi ribatté: «Non c'è problema, posso scriverlo anche a penna».
Che lezione di vita! Che maestro!
 
“Che cos’ha di bello una rosa sfiorita
che cos’ha di bello una rosa appassita
ha che nonostante tutto è sempre una rosa
ha che nonostante tutto è per te…
Che cos’ha di bello una vita noiosa
che cos’ha di bello una vita delusa
ha che nonostante tutto è la mia vita
ha che nonostante tutto io vivrò”  
(Riccardo Cocciante)
 
Torno dagli scrutini e mia moglie (che non so come ma sa sempre tutto, è peggio della CIA o del KGB) mi dice che è morto don Angelo Calegari.
Aveva 99 anni ed era stato vice parroco a Gavardo dal 1941 al 1973, poi Parroco di Verolavecchia e infine a Verolanuova.
Dovete sapere che da bambino ho abitato in Piazza De Medici, vicino alla Parrocchiale, dove c’era la casa di Don Angelo. Dall’altra parte del muro della mia casa c’era la canonica.
Mio papà mi diceva sempre: “El Monsignor el dorma visì al mé cò”.

Monsignor Ferretti, prima di tornare a Gavardo dopo il bombardamento, era a Salò, e là il primo matrimonio che ha celebrato era stato quello dei miei genitori.
Don Angelo, con “el Monsignòr”, era stato protagonista della ricostruzione materiale e spirituale della parrocchia. La sua instancabile e intelligente attività a Gavardo si protrasse per trentadue anni: l'arco di una generazione.

Mia moglie ha trovato una bellissima testimonianza del mitico, caro Renato Paganelli.
“Il mio primo incontro con don Angelo avvenne all’oratorio nell’estate del 1941, quando lui, inviato dal Vescovo, era venuto a fare il curato in sostituzione di Don Dante Zanoletti.
Io ero in fila con tanti altri ragazzini tredicenni turbolenti e il nuovo curato con una “stroppa” in mano, usata come deterrente per discriminarli e portarli nel convento per la domenicale benedizione dopo l’ora di catechismo. In quell’anno già eravamo in guerra. I giovani delle classi maggiori erano quasi tutti militari ed a giustificare la loro assenza rimanevano le fotografie dei loro volti appese a tappezzare le pareti di un’aula.

Quasi ogni settimana qualcuna veniva separata e posta in altra posizione con altre illuminate da un lumicino ad indicare che la “Patria” a quel giovane aveva chiesto l’estremo sacrificio.
Quegli anni furono tragedia per alcune generazioni di giovani. Ed è in questo triste periodo che il giovane curato, unitamente al suo parroco, è chiamato a rivelare tutta la sua sensibilità sacerdotale in una azione quasi quotidiana di pietà cristiana verso coloro che erano colpiti dalla brutale ferocia della guerra.

Nel frattempo Don Angelo dedica il suo apostolato alla formazione religiosa e culturale dei ragazzi allestendo, presso i locali sede della Gioventù di Azione Cattolica, una piccola biblioteca per ragazzi.
Sospesa l’attività teatrale della filodrammatica “Concordia” perché i giovani interpreti sono tutti partiti per la guerra, Don Angelo con il contributo di alcuni benefattori, acquista la macchina cinematografica.

L’armistizio dell’8 settembre del 1943, anziché portare la pace agognata, sarà ancora causa di sofferenza, aggiungendo tragedia a tragedia e guerra fratricida; Gavardo non sarà esentata e ne patirà più di altri paesi, contribuendo, con il sacrificio di numerosi suoi figli di cui 52 morti con il bombardamento del 29 gennaio 1945, sotto il quale perirono anche il parroco Don Emio Maffezzoli ed altri 3 sacerdoti, a compiere il suo calvario.
Don Angelo, rimasto sotto le macerie, sarà salvato miracolosamente.

In questi anni di sacrifici e rinunce, il nostro curato ha svolto la sua missione spirituale aiutando anche materialmente i più poveri e bisognosi, portando il suo conforto con sensibilità e discrezione ammirevoli, adempiendo così alle massime evangeliche.
Durante l’occupazione tedesca, aiutò i renitenti in clandestinità, partecipò inoltre attivamente alla Resistenza. Fece parte del Comitato di Liberazione, che ospitava nella sua casa durante le riunioni clandestine.

Finita la guerra impegnò tutta la sua autorevolezza di sacerdote che aveva partecipato alla Resistenza, per placare gli animi, opponendosi a qualsiasi forma di vendetta e sopruso, garantendo con la sua vita quella di chi, per propria convinzione, fece parte attiva della Repubblica Sociale.
Ma se il bombardamento ha portato lutti e distruzioni, l’immane tragedia che ha colpito la nostra comunità, ha commosso l’animo buono del nostro venerato Monsignor Luigi Ferretti, cha ha scelto di ritornare a fare il Padre nella sua martoriata parrocchia nativa, per confortare i suoi figli nel dolore, per pregare Dio con loro e con loro ricostruire il paese….

Gli anni del dopoguerra sono anni di intenso lavoro. I reduci tornano e necessitano di abitazione ed occupazione: il paese è da ricostruire e le autorità religiose e civili, all’unisono, sono impegnate intensamente.
Le industrie riprendono a produrre; anche la parte della vecchia canonica, risparmiata dal bombardamento, ospita una falegnameria.
L’oratorio è fucina di attività ricreative e spirituali, risorgono le associazioni oratoriane: la sportiva Audax e la filodrammatica Concordia…

Anni cinquanta: ricostruzione dalla casa canonica, ricostruzione e ampliamento dell’oratorio, ristrutturazione del Salone Pio XI, acquisto e fabbricato e costruzione centro Acli. Primi anni sessanta: acquisto cinema Capitol; restauro della chiesa di San Rocco; restauro della parrocchiale con rifacimento del pavimento e dotazione dell’impianto di riscaldamento; rifacimento del tetto della chiesa del convento. Una iniziativa di quegli anni che va ricordata a merito dell’intraprendenza di Don Angelo è stata l’istituzione della colonia montana per i figli dei lavoratori, prima a Navazzo, poi a Livemmo e successivamente a Bondone.

La malattia e l’età determineranno nel 1972 il ritiro della nostra guida spirituale Monsignor Luigi Ferretti.
A lui succederà Don Francesco Zilioli. Questi cambiamenti concorrono nel 1974 al trasferimento di Don Angelo, nominato dal Vescovo, parroco di Verolavecchia.” 

Antonio Abastanotti, nel suo bellissimo libro di memorie “La cassapanca della Adele”, scrive:
“Quando, il 29 Gennaio ’45, venne colpito il nostro paese eravamo nel rifugio antiaereo vicino alla fabbrica.
Quando arrivai in paese, vidi tra le macerie Don Angelo Callegari con la bocca e i capelli pieni di calcinacci e sembrava un cadavere appena uscito da una tomba…
In terra vi erano cadaveri di gente colpita nel tentativo di scappare…Fui preso da una crisi e scoppiai a piangere! Ricordo che aiutai lo zio Nino anche a recuperare tutto il possibile della biblioteca Parrocchiale di via Fossa, di cui egli era l’incaricato.

I libri li portammo tutti a casa nostra, in attesa di una nuova sistemazione.
Questo mi diede l’opportunità di leggere tutti i libri di avventura di Emilio Salgari, adattissimi per la mia età….
Don Angelo Calegari, miracolosamente salvatosi dal bombardamento della canonica, dove era presente con gli altri sacerdoti, trovò asilo presso il convento delle suore Orsoline, era moralmente a terra, non solo per quanto aveva vissuto in quei frangenti, ma anche per la perdita di alcune persone molto vicine ai Sacerdoti per impegno.
Prese il posto di Don Battista Lombardi, come assistente alle donne, col titolo di Rettore".

Il signor Antonio ricorda anche un episodio drammatico, accaduto nei giorni della liberazione…
”Un camion americano guidato da un soldato di colore, scendeva dal Bostone verso Gavardo, a velocità sostenuta.
Nell’affrontare la curva prima del ponte sbandò, travolgendo alcune persone e si ribaltò nel fiume. Trovarono la morte: Ernesto Cavagnini e il suo bambino, Mario Paganelli e la sorella del mio testimone di nozze Frapporti Luciano. Tebaldini Giuseppe detto “il Gelsomino” rimase ferito gravemente, ma si riprese, potendo cosi continuare la sua attività di calzolaio…” 

Don Giovanni Arrigotti, entusiasta curato di Gavardo, scriveva di don Angelo:
“Si dice che la gratitudine è la memoria del cuore. Ricordo che fischiettando in bicicletta, mi divertivo in quegli anni a girare per le strade di Gavardo, senza badare ai pericoli del traffico, già allora intenso.
Ero giovane prete, di prima messa, e sentivo forte bollire il sangue nelle vene; forse  anche per questo il Vescovo mi ha nominato “curato” assieme a sacerdoti saggi e santi…

Io ero felicissimo di essere prete a Gavardo, anche perché mi sentivo sinceramente amato, come un figlio, da don Angelo, il quale davvero mi faceva da “angelo custode”.
Vedevo in lui un uomo armato di infinita pazienza e tanta bontà con la gente, un prete che pregava moltissimo… e fedele al “confessionale”.

So che in chiesa passava ore e ore, tutti i giorni.
Per me costituiva una testimonianza vissuta di umiltà, semplicità e lode. È anche a don Angelo che devo la mia vocazione missionaria (vissuta in Burundi) perché in mille modi ha favorito tale mia decisione, collaborando entusiasticamente anche alla preparazione di questa mia esperienza africana.
Anzi, è stata per me una esperienza indimenticabile la visita (di alcuni giorni) fatta da don Angelo nella mia missione in terra d’Africa: amicizia, cordialità, condivisione. Ricordo che a Gavardo mi dava fiducia, e coi fatti mi ha insegnato come si collabora insieme tra preti di una stessa parrocchia.” 
 
“Torneranno i cinema all’aperto e i riti dell’estate, le gonne molto corte
tornerà Fellini e dopo un giorno farà un film soltanto per noi
Torneranno i figli delle stelle, non scoppieranno guerre
le facce un po’ annoiate su riviste patinate
ed anche John Travolta per ballare con te…
Torneranno i figli delle stelle sui tuoi sedili in pelle
le penne stilo in mano e le vacanze in treno
forse anche Pertini per un poker con John Wayne…
Quello che resta del sole, te lo porto a casa
stasera ho voglia di cantare, di gridare e poi ricominciare
Quello che resta da dire, lo diremo domattina
stasera ho voglia di cantare, di gridare, di ballare in riva al mare…” 
(Raphael Gualazzi)
 
E siccome ho già parlato diffusamente della colonia di Livemmo (a cui si riferiscono le foto con Don Angelo) finisco con un mio piccolissimo ricordo del Cinema Salone (naturalmente situato a 20 metri da casa mia).
Andavo spesso al cinema, anche grazie ai bollini del catechismo. La sera del sabato il cinema era strapieno, c’erano un sacco di biciclette, e la mamma della Palmina controllava. La sala era piena di fumo. Non c’era la televisione, e il cinema è stato per me il mondo.
Se arrivavi in ritardo, quelli che uscivano spesso si raccontavano come andava a finire… ma io già lo sapevo, vincevano sempre i buoni!

Ricordo che con il film Ben Hur si doveva stare in piedi, e siccome veniva proiettato in contemporanea al Capitol, bisognava aspettare che arrivasse la pellicola…
Ricordo che c’era la nonna del mio amico d’infanzia Giordano, lei lo portava al cinema e lui si addormentava beato, tra le sparatorie di John Wayne.
Nei film di guerra, quando i piloti americani attaccati dai “musi gialli” giapponesi gridavano “Mayday, mayday!” io pensavo dicessero “Mio Dio, mio Dio".
Si racconta che dalla galleria qualcuno sputasse sulla platea, e che per certe compagnie, se uno doveva fare una certa cosa, gridava “fuoco di copertura!”, tutti tossivano e lui, per dirla con Dante, “avea del cul fatto trombetta”. 

Il Cinema Capitol sembrava un locale di perdizione. Infatti su un quadretto verde affisso all’entrata della Chiesa per soli uomini c’era scritto: Cinema Salone, T che voleva dire Tutti, cioè tutti potevano andarci. Il Cinema Capitol era spesso A, Adulti, poi AR adulti con riserva il grado più peccaminoso era la vocale E: escluso! Era escluso che io ci andassi. 

Da ragazzo ho provato ad entrare ad un film targato E, mi sembrava di andare in un girone infernale: Capitol, lasciate ogni speranza o voi ch’entrate…
Ho acquistato il biglietto di galleria, che costava di più ma così il cassiere chiudeva un occhio…Era la storia di un agente segreto, ad un certo punto si vedeva una biondona che andava a fare la doccia, nel silenzio della platea e nell’ansia della galleria si vedeva l’inquadratura di due stupendi piedi nudi, sarà stato un 37, 37 e mezzo, l’asciugamano cade per terra e poi l’inquadratura passava alla scena del giorno dopo…Una qualsiasi pubblicità di deodorante di adesso a quel tempo sarebbe stata Esclusa con riserva…

Ricordo ancora da ragazzo le discussioni su “2001 Odissea nello spazio”: quel grande monolito nero, cosa avrà voluto dire?
Spesso mia mamma mi accompagnava al cinema, piangeva sempre e dal vestito estraeva fazzoletti per lei e per soffiare il naso a me. E più il film era da piangere e più le piaceva. Il film al top delle lacrime era “Marcellino pane e vino”, la storia di un bambino senza famiglia che viene accolto da simpatici fraticelli. Marcellino parla con Gesù esprimendogli il desiderio di vedere la sua mamma in Paradiso… allora Gesù lo manda in cielo… e scusatemi ma mi viene ancora da piangere…
 
A Don Angelo che voto darà San Pietro? Ovviamente 10 e lode, e promosso in Paradiso!
 
Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo.

maestro John Comini
 
 
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