Generale dietro la collina
di John Comini

“Un Paese senza memoria non ha futuro”. L’altro giorno camminavo sulla vecchia strada romana, direzione Villanuova, e ho dato un’occhiata alla bacheca degli alpini di Sopraponte 


Ho letto dei festeggiamenti presso la Baita degli Alpini di Monte Magno per il 96° compleanno del reduce Bortolo Mora.
Come scrive il maestro (e mio amico) Angelo Mora, nella commovente videointervista a cura di Celestino Massardi: “la storia di ogni uomo accade dentro alla storia dei popoli, ma è la storia di ciascuno che fa grande l’umanità.

Il video si conclude con queste parole dedicate al signor Bortolo: “Grazie per il tuo sacrificio e per il tuo esempio.
Sacrificio...esempio…parole che paiono retoriche o che sembrano in via di estinzione. 

“Generale, dietro la collina ci sta la notte crucca e assassina,
e in mezzo al prato c'è una contadina, curva sul tramonto sembra una bambina,
di cinquant'anni e di cinque figli, venuti al mondo come conigli,
partiti al mondo come soldati e non ancora tornati…
Generale, queste cinque stelle, queste cinque lacrime sulla mia pelle
che senso hanno dentro al rumore di questo treno,
che è mezzo vuoto e mezzo pieno e va veloce verso il ritorno,
tra due minuti è quasi giorno, è quasi casa, è quasi amore.”
(De Gregori/Vasco Rossi)

Leggo sulla bacheca:
Alle nuove generazioni non è sufficiente raccontare le vicende della Grande Guerra, se poi non riusciamo a portarle sui suoi scenari.
E per essere ascoltati da esse dobbiamo parlare la loro lingua. Gli alpini devono conoscere i linguaggi che mutano, ma devono essere soprattutto gli alfieri di una umanità che non cambia.
Gente consapevole che nessuna intelligenza artificiale (internet, Twitter, Facebook, Instagram…) ci regalerà mai un sorriso, una parola di consolazione, un cappello sopra la bara e una lacrima furtiva, ci offrirà un pezzo di pane e un bicchiere di vino. Non ci regalerà mai un canto, capace di orlare la vita di cordialità.
Nessun artificio ci darà mai il profumo dell’umanità. In un mondo attraversato dalla logica delle macchine, nulla potrà sovrastare il calore del cuore umano, di cui gli alpini sono depositari e testimoni.”

(Bruno Fasani).

E non solo gli alpini, aggiungo io!

Come raccontare ai miei bambini di scuola
il sacrificio di quei ragazzi di 18/20 anni che hanno combattuto nelle trincee della Grande Guerra? Come spiegare ai miei bambini cosa significa dover lasciare i propri cari e combattere per la Patria?
L’occasione è stata la celebrazione del IV Novembre, durante la quale gli alunni delle classi quarte e quinte si recheranno in corteo, accompagnati dagli insegnanti, fino alla Piazza del Comune dove, con la banda ed il Coro, verrà reso onore ai caduti di tutte le guerre.

Insieme canteremo l’Inno di Mameli, provato durante l’ora di musica: i bambini sono felici di poterlo cantare, ed è bello vederli così seri e compatti.
La scuola ritiene infatti che ciò concorra a formare cittadini consapevoli della propria storia e responsabili della libertà ereditata da quanti hanno vissuto gli anni bui delle guerre.

Ed ecco allora che una bella mattina il maestro Angelo Mora ha coinvolto gli alunni nei fatti della Grande Guerra con immagini, libri, reperti, foto, documenti, testimonianze e canzoni e soprattutto mediante la sua grande, commovente passione!
Le due ore sono volate via! Una volta tanto la scuola è stata al passo...coi tempi, quelli dell'umanità! Il maestro Angelo è stato davvero esemplare, non ha dato nulla per scontato, ha raccontato ai bambini l’inizio della Grande Guerra facendo esempi molto concreti, vicini al loro vissuto.
Ed i bambini hanno risposto con due ore filate di attenzione e di ascolto attento e partecipe.

Sulla cattedra c’erano alcuni reperti bellici: elmetti, bombe a mano (innocue…grazie a Dio), pezzi di reticolato…
Il maestro ci ha raccontato di aver rinvenuto casualmente un pacchetto di foglietti manoscritti, tra le carte di suo nonno Clemente.
Dalla storia che vi ha scoperto, mai raccontata dal nonno a nessuno dei suoi famigliari, ne ha tratto un libretto con la foto del nonno Clemente.

Un brano letto ai bambini: “Vedemmo vere cataste di cadaveri straziati…Quando penso a quelle scene spaventose davvero devo dire che il Piave è stato irrorato dal sangue dei soldati di tutte le armi. Mentre ero lì coi piedi nell’acqua mi accadde un episodio che voglio raccontare.
Dovemmo sostare qualche minuto perché avevamo davanti a noi una colonna di muli che stentava a muoversi perché parecchi avevano paura dell’acqua o del ponticello da passare.

Di riscontro a noi veniva una colonna di prigionieri. Mi trovai a faccia a faccia con un caporale austriaco, vidi che un poco tremava.
Gli rivolsi per primo la parola: “Hai paura?” gli chiesi e lui di rimando “Mi uccideranno gli italiani?”
“Ma che pensi che siano, gli italiani” gli dissi “E sai anche parlare, da che parte sei?”
“Sono dell’alto Trentino –mi disse- Ho a casa la moglie con quattro bambini. Sono cinque anni che sono soldato, quattro li ho passati sul fronte russo e dall’anno scorso sono venuto qui”.

Staccai dai miei viveri di riserva una mezza galletta e gliela diedi. Mi salutò asciugando una lacrima…”
La frase finale delle memorie del nonno è davvero commovente: “Chiudo il mio racconto chiedendo scusa degli errori, affermando però che quanto le ho detto corrisponde a quanto ho veduto. Mora Clemente.” 

E allora penso alle lettere “sgrammaticate” dei soldati al fronte, che il maestro Angelo ha citato dal libro di lettere raccolte da Mauro Abastanotti nei libri “A chi dimanda di me” e “Del mio lungo silenzio”.

Alcune sono davvero strazianti, come l’ultima lettera di Mabellini Pietro di Soprazocco di Gavardo. “Carissimi Genitori, …Io ò la speranza di rimanere salvo ma siamo troppo al pericolo. O cari miei genitori a vedere le lagrime e i gridi che fanno quelli feriti è una cosa da piangere della paura….Io quasi non lo faccio più il conto di ritornare ancora nelle vostre braccia e davanti ai vostri begli occhi o cari miei genitori e fratelli non si vediamo più…”
Pietro è morto, due giorni dopo aver scritto questa lettera, in seguito alle ferite riportate durante una “avanzata” di qualche decina di metri, seguita da una ritirata altrettanto lunga. Una delle tante studiate a tavolino dagli “strateghi” del Comando.  Aveva diciannove anni.

“Se un mattino tu verrai fino in cima alle montagne 
troverai una stella alpina che è fiorita sul mio sangue. 
Per segnarla c’è una croce, chi l’ha messa non lo so,
ma è lassù che dormo in pace e per sempre dormirò,
ma è lassù che dormo in pace e per sempre dormirò. 
Tu raccogli quella stella che sa tutto del tuo amore, 
sarai l’unica a vederla e a nasconderla sul cuore. 
Quando è sera e resti sola non piangere perché 
nel ricordo vedrai ancora tu e la stella insieme a me
(Stelutis alpinis)

Oppure la commovente lettera di Zanni Giovanni nato a Belprato (Pertica Alta) e morto l’8 agosto 1916.
Carissima mia Familglia. Caro Padre e tutta la mia famiglia.  Non si vediamo più, ora Iddio volle così.  
Io mi trovo sul monte Sabbattino, lavrete letto sui giornali che buona posizione, qui dicchono quelli che vi era in prima, che per venire qui, anno sacrificato 10 milla soldati, e non siamo ancora a meta del monte….

Dal fondo da un trincerone, vi scrivo la mia misera vita.  Io mi trovo in trincea, alla distanza del nemico a 30 metri. Stiamo qui come i carcerati, dal giorno non si può alsare un dito, la notte stiamo attenti, ai nostri buchi, per non essere presi allassalto. Tutto il giorno e la notte, si sente il nemico che ne dice venite venite talliani in sieme con noi, quando noi parlamo lori ne schersano, e ne dicono venite se siete capaci nelle nostre trincee.

Guardando fuori dai buchi, delle nostre trincee, si vede i reticolati pieni di morti, da 5 o 6 mesi fa, e non si può andare a prenderli, si sente una terribile pussa che non si può risistere, questi li abbiamo davanti a noi. La notte alle ore 11 ne porta da mangiare, e poi più altro, fino la notte dopo, e margiamo dietro i caminamenti.
 Siamo sempre perseguitati dalle canonate e fucilate. La notte poi, ne buttano nelle trincee, bombe a mano di tutte le qualità.

 “Sul ponte di Perati bandiera nera:
l'è il lutto degli Alpini che va alla guerra,
la meglio gioventù che va sotto terra.”

Mi ha  colpito la sincerità ed autenticità del maestro Angelo, quando ha detto ai bambini che è importante ricordare, perché queste cose non succedano più.
E quando ha detto che al mare, sotto l’ombrellone, stava leggendo le lettere di quei poveri ragazzi, e non riusciva a continuare a leggerlo perché gli veniva da piangere.  
Tutto questo lo ha spinto a ripercorrerne le tracce e ad approfondire le vicende che vi erano narrate.

Dall’estate del 2014 ha percorso in lungo e in largo i luoghi del sacrificio di quei giovani soldati: dal Tonale all’Adamello, dall’ansa del Piave, a Kobarid (Caporetto), ai piedi del Monte Nero e del Monte Rosso, visitando le trincee di entrambi i fronti sui due versanti dell'Isonzo per scendere poi verso sud passando per Tolmino, il Monte Korada (da dove si domina l'altipiano della Bainsizza), il Monte Sabotino e Gorizia.
Una puntata poi ai sacrari di Redipuglia e di Oslavia e al cimitero di San Michele al Tagliamento, e poi  più vicino a noi le trincee del Monte Stino e i forti austriaci attorno a Riva del Garda. E infatti ci ha promesso di accompagnarci l’anno prossimo, in classe quinta, a visitare il museo dei Reperti bellici di Capovalle. 

Ha raccontato di un ragazzo di nome Costantino, che non voleva uccidere nessuno.
A Costantino interessava lo stato delle viti, del granturco e soprattutto dei bachi da seta che si stanno chiudendo nel bozzolo.
Ma poi la guerra è guerra, e non dà spazio ai sentimenti. Angelo allora ha imbracciato la fedele chitarra ed ha cantato la celebre canzone di De André, “La guerra di Piero”:
“…dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.”

Ci ha fatto ascoltare alla LIM (potenza della tecnologia) una canzone in dialetto molto suggestiva: “Not dé guéra” della Selvaggi Band.
Riporta una storia vera che ha avuto luogo la notte di Natale dell’anno 1914/1915, tra italiani e austriaci, la scena si svolge nei pressi del Monte Grappa.
Gli italiani usciti in pattuglia si trovarono alle spalle il nemico. Si rassegnarono ormai alla tragedia, quando invece come per miracolo gli austriaci decisero di lasciare i fucili e scambiare con gli italiani il segno di pace.

L’emozione più grande l’ho vissuta mentre leggeva brani di “La Grande Guerra negli occhi di un bambino” scritti su un quadernetto di quarta elementare (come i miei alunni).
Lì c’è la semplice, ingenua ma originalissima testimonianza di un bambino del Comune di Seren del Grappa.

“Quando sono arrivati i tedeschi io ho preso una paura da morire. Abbiamo sentito dietro la casa un gran fracasso e urli e tante parolacce dei soldati. Io tremavo come una foglia dalla paura e mia nonna guardava fuori per la finestra ma non si vedeva niente perché era notte ed era tutto buio.
Allora mia nonna è andata fuori a vedere e non veniva più e io sempre più paura ho cominciato a piangere disperato…Io credevo che i soldati avessero portato via mia nonna a ucciderla e i tedeschi urlavano come demoni.
Poi mia nonna è venuta e mi ha preso in braccio e stringeva forte e mi ha fatto fare il segno della croce e abbiamo detto su un poco di orazioni, ma quando i soldati urlavano di più mi fermavo perché avevo paura. Allora ha preso la lumiera e mi ha portato a letto finché mi sono addormentato.
La mattina dopo quando è venuta a prendermi su dal letto mi ha insegnato le orazioni e poi siamo andati giù casa e la mia nonna diceva su malagrazie ai tedeschi perché avevano molato i cavalli nel cortile e avevano pestato su tutto l’orto e avevano mangiato le fasolere e tutte le altre robe…”

E un altro brano, davvero da piangere…Da mangiare non c’era più niente, non ero capace di dormire perché avevo tanta fame. Allora mia nonna mi ha insegnato a dire un poche di orazioni ma io ne dicevo su solo qualcuna perché non avevo neanche più fiato.
Poi ho detto a mia nonna: “Nonna mi gho fàm”. E lei mi ha detto: “No ho gnient fiol da darte”.
Poi ho dormito ma ho sentito che mia nonna piangeva.  Quando mi sono svegliato avevo ancora più fame ed era tutto scuro e ho chiamato la nonna “Nonna mi gho fàm”. E lei mi ha detto ancora: “No ho più gnient da magnar”.
Poi ho visto che tirava il fiato lungo e non era più capace di parlare. E io dicevo ancora e sempre: “ho fam ho fam….”


Ma la vicenda ha un lieto fine: un tedesco ha avuto compassione e gli ha dato le gallette del suo rancio. E così si è salvato.
“Quando io ho raccontato alla signorina Maestra quella del soldato che mi dava sempre il suo rancio lei quasi piangeva e mi ha domandato come era il soldato e io le ho detto tutto. Allora la signorina mi ha insegnato che quando si scrive di una persona bisogna scrivere tutto come che è, fuori che quello che è male. Io ho detto di sì. A me piace scrivere, ma qualche volta sono anche stufo di star là sempre a scrivere perché mi piace di più andare a giocare.”
E qui tutti i miei sessanta bambini hanno sorriso felici.

Alessia il giorno dopo ha raccontato che il suo bisnonno era tornato dalla Russia a piedi
…era l'alpino Bortolotti Ferruccio (di Vallio Terme) che con orgoglio raccontava ai nipoti la sua storia.
Peccato non ci sia più... sarebbe stato un ottimo narratore....
Mi è venuto in mente allora lo spettacolo  su Nicolajewka, nel quale l’amico Andrea Giustacchini è magistrale interprete del sacrificio dei nostri soldati, insieme alle musiche di Luca Lombardi, al video di Sara Ragnoli, alla regia di Peppino Coscarelli ed in collaborazione con il coro «La Faita» di Gavardo (che festeggia i 50 anni di attività) diretto dal maestro Valerio Bertolotti.

Adesso stiamo proponendo “Qui tra le rocce e il cielo”, dove l’amico Luca canta “L’eco delle montagne”.
“Le parole che ti scrivo non han l'eco di queste montagne
che rimbalza dalla cima ed arriva fino a valle
altrimenti da una vetta io potrei gridare il tuo nome
e sperare che domani tu ne possa sentire il rumore…
I silenzi che respiro son la voce di queste montagne
sulle fila del nemico, sopra i muli nelle stalle…
sulle casse delle slitte il silenzio mi porta il tuo nome
e mi dice che domani sulle vette risplenderà il sole.”

Ricordare è l’unico modo che abbiamo per rendere giustizia a tutti quelli che sono rimasti là.
Ed adesso mi spiace per voi ma dovete sorbirvi un po’ dei miei ricordi di naja (a quel tempo era obbligatoria).

Sono stato alpino a Cuneo, presso il Centro addestramento reclute.
Quando hanno chiesto che lavoro facessi, io ho scritto “attore”.
Mi hanno cercato per uno spettacolo da fare davanti ai commilitoni della caserma, così ho saltato qualche marcia…
E’ lì che ho fatto il primo monologo, davanti a centinaia di soldati plaudenti e prendendomi i complimenti dal capitano.

Avremmo dovuto replicare lo spettacolo fra le varie caserme, ma poi è tragicamente una recluta si era gettata dalla finestra e tutto era stato sospeso.  
Sono stato trasferito a San Giorgio a Cremano di Napoli, presso la Scuola Marconisti, vicino a dove è nato il mitico Massimo Trioisi! La domenica mi veniva a prendere con una spider rossa l’amico Salvatore, conosciuto nei campi scuola dell’Azione Cattolica.
Mi offriva il pranzo e mi faceva conoscere le bellezze di Napoli, dei quartieri e di Pompei: ho assistito (gratis, come militare) ad una partita allo stadio San Paolo e ho avuto la fortuna di veder recitare Eduardo De Filippo.

Infine sono stato traferito a Merano, alla Caserma Rossi, vicino all’Ippodromo.
Al sabato sera andavo in libera uscita con l’amico Gianni (tutte le volte che lo incontro ci diciamo: “Te recordet a Merano?”) a mangiare la pizza: ma la pizzeria era stracolma di soldati in grigioverde (non c’era la possibilità di “cambiarsi” in borghese), praticamente Merano era invasa dagli alpini.
Spesso me ne stavo nel grande refettorio, a cenare nei vassoi di metallo, accanto ai conducenti muli. 

Al giuramento ho sfilato col mio bel cappello d’alpino sul ponte di Gavardo, con la banda che suonava “33”.  
Mio papà pieno d’orgoglio è uscito dal negozio di scarpe con tutti i clienti, ma ad un tratto si è udito il leggendario Doro esclamare: “Comini, al pas!” Mio papà è rientrato ed ha abbassato le saracinesche per la vergogna di avere un figlio non al passo di marcia…

In caserma non c’erano particolari episodi di nonnismo, qualche frase tipo “Bacia la stecca e riverisci il nonno”, qualche “sbrandata” o un gavettone verso qualcuno che si ribellava, ma niente di grave.
 Quando siamo diventati “nonni” noi (cioè prossimi al congedo) , abbiamo impedito che si facessero scherzi alle reclute. Allo spaccio (inteso come bar…) vedevo molti compagni che piangevano o scrivevano lettere alle proprie morose, sentivo la canzone dei Santo California al jukebox e mi si spaccava il cuore …

Rivedo ancora il treno allontanarsi e tu
che asciughi quella lacrima - tornerò
com'è possibile un anno senza te.    (che poi erano 15 mesi…)
Adesso scrivi aspettami il tempo passerà
un anno non è un secolo - tornerò
com'è difficile restare senza te.
Sei sei la vita mia quanta nostalgia
senza te tornerò tornerò…”

E poi parlava una voce di donna, che mi figuravo bellissima…

“Da quando sei partito è cominciata per me la solitudine
intorno a me c'è il ricordo dei giorni belli del nostro amore
la rosa che mi hai lasciato si è ormai seccata
ed io la tengo in un libro che non finisco mai di leggere.”
Ricominciare insieme, ti voglio tanto bene
il tempo vola aspettami, tornerò
pensami sempre sai e il tempo passerà.
Sei, sei la vita mia (amore amore mio!) quanta nostalgia senza te
un anno non è un secolo     (che poi erano 15 mesi…)
tornerò, tornerò pensami sempre sai tornerò tornerò…”
La canzone si intitolava (ci credereste?) “Tornerò”.

E io bevevo la mia gazzosa e piangevo, piangevo, nella mia splendida divisa.
E il bello è che non avevo nessuna ragazza! E sull’altana, al  freddo, mentre facevo la guardia al buio ed al nulla, con il mio fedele Garand (senza cartucce…fortuna che non c’erano Austriaci ad invaderci…) cantavo tutto il repertorio delle canzoni tristi, da “Piccolo grande amore” a “Lontano lontano di Tenco” passando per i “Giardini di marzo”…

Che anno è, che giorno è, questo è il tempo di vivere con te
le mie mani come vedi non tremano più, 
e ho nell’anima, in fondo all’anima cieli immensi e immenso amore
e poi ancora ancora amore e amor per te, 
fiumi azzurri e colline e praterie, dove corrono dolcissime le mie malinconie, l’universo trova spazio dentro me
ma il coraggio di vivere quello ancora non c’è…
(grande Lucio! grande Mogol!)

Ma non sapevo che mia moglie, a casa, era innamorata di me (strano, vero?) e piangeva giorno e notte…
Ma poi, al ritorno, mi ha sposato…e mi ha fatto piangere ancor di più! Era meglio stare di sentinella…. (eh eh) E quando l’ultima sera ho sentito la tromba che suonava il silenzio, ho pianto sotto le coperte della mia branda. 

Buonanotte amore, ti rivedrò nei miei sogni…
Buonanotte a te che sei lontano” (Nini Rosso)

Concludo ricordando che venerdì è “andato avanti” mio cognato Mario Zucchetti.
Ricordo il suo sorriso, la sua ironia, la sua passione per le cose fatte bene con il legno, la sua umanità.
Ora è in Paradiso, accanto alla dolce Mariarosa.

“Le stelle sono illuminate perché ognuno possa un giorno trovare la sua.”
Ciao Mario, che la terra ti sia lieve.

La giornata sta finendo
mi siedo e guardo i bambini giocare
vedo visi sorridenti, ma questo non vale per me
resto seduto e guardo, mentre le lacrime scorrono giù…
voglio ascoltare i bambini cantare
tutto quello che riesco a sentire è il rumore della pioggia che cade…
resto seduto e guardo, mentre le lacrime scorrono giù
La giornata sta finendo
mi siedo e guardo i bambini giocare
facendo cose che facevo anch’io, ma che per loro sono nuove
resto seduto e guardo, mentre le lacrime scorrono giù 
(Rolling Stones, As Tears Go By)
 
Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo.

maestro John Comini
 
.in foto: Clemente Mora; a lezione col maestro Angelo.
 
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