Platone, Facebook e il mago Atlante
di Leretico

Vi sarà capitato, di ritorno al reale da un vago e fuggevole pensiero, viaggiando in treno o in metropolitana, di notare quante persone sono intente ad armeggiare con il proprio telefonino o cellulare, oggi detto smartphone


Se qualche anno fa aveste arrischiato una improbabile conversazione con un altro viaggiatore, oggi quella conversazione così umana, in quei luoghi tradizionalmente sociali, avreste riguardo a proporla.
Qualora tentaste ugualmente, colti da affetto per la italica tradizione del colloquio gioviale, ricevereste al massimo qualche mugugno scocciato, di chi è stato distolto dalla propria adorazione, se non addirittura verreste minacciati da un'occhiata affilatissima quale si riserva solo ai discoli in fondo alla chiesa, che osano disturbare la santissima celebrazione.

Non è che chi scrive sia anti-tecnologico, anzi. Ma, a dir la verità, questo spettacolo non si manifesta solo durante viaggi in treno o in metropolitana.
Si rimane infatti sempre più colpiti da quanto sia diffuso e continuo l'atteggiamento, non solo in Italia, di concentrazione, estraniazione, isolamento a cui si assoggettano le genti di inizio millennio pur di rimanere collegati, connessi, incatenati a internet.
Metropolitane cinesi o pullman brasiliani, aeroporti francesi o teatri giapponesi, il comportamento è sempre quello: il telefonino è la finestra su un altro mondo, evidentemente più attraente di questo.

Le persone vivono ormai in simbiosi con il proprio telefonino e il solo dimenticarlo a casa, oppure per qualche tempo in luogo lontano dal proprio raggio d'azione, genera loro ansia se non crisi di astinenza.
Il bisogno di essere in comunicazione continua è più forte della fame e della sete. La necessità di accedere al mondo di internet, al castello incantato di Facebook, o di Instagram, di Snapchat o di Tumblr, è irresistibile.

Whatsup ci accompagna in ogni luogo e Telegram fa da supporto ai nostri momenti tristi.
Twitter ci serve per carpire l'ultima sparata dell'opinion leader di turno. Se "cinguetta", invece di prenderlo per pazzo perché si crede un uccello, lo applaudiamo per la grande capacità comunicativa o per la greve intelligenza di riporto, un riporto non sempre azzeccato.
Ognuno è quello che è, e dà quello che sa dare.

Sono sicuro che il cosiddetto "web" è pieno anche di microsocial sconosciuti, per adepti settari o per inguaribili solitari in cerca di compagnia, per guardoni, nani e ballerine, pronti a chissà cosa pur di "condividere" il loro mondo interiore, la loro vita.
Insomma un mondo, specchio di questo in cui viviamo, che a furia di "condivisione" comincia a sostituirsi piano piano a quello che finora abbiamo creduto reale.

Provate ad osservare meglio, i gesti, le posture, le reazioni facciali di quelli che viaggiano con voi: vedrete una tale dedizione, un totale asservimento al mezzo hi-tech che vi sembreranno essere veramente vittime di un incantesimo. E di un incantesimo certamente si tratta.

Platone, intorno al V secolo avanti Cristo, con la sua "teoria delle idee" aveva già posto le basi teologico-ontologiche di ciò in cui crediamo oggi, e soprattutto di ciò che accettiamo del mondo Social che così tanto ci attrae.
Potremmo dire infatti che gli smartphone, finestre tecnologiche mobili, siano punti di accesso al "vero" mondo, quello incantato del web, totalmente nuovo, altro, relazionale, valoriale, eccezionale dunque "vero" appunto.

Filosofo dalle spalle larghe, Platone, mentre gareggiava al "pancrazio" (lotta greca mista a pugilato), forse per un colpo più forte ricevuto da un avversario, forse per l'innata ricerca del bello e del bene che era in lui, fors'anche perché influenzato da Socrate, cominciò a vagheggiare di un "mondo delle idee" posto nell'iperuranio soprasensibile (ossia oltre Urano).
Un mondo dimenticato ma percepibile con l'intelletto (nous), il mondo delle "forme", traduzione dal greco di "idee", vero oggetto della conoscenza.

Il filosofo, nel dialogo Fedro, spiegò che dopo la morte dei corpi, le anime immortali in essi contenute ne fuoriescono e diventano delle specie di cocchi alati che seguono ordinati i carri degli Dei.
Mentre così avanzano in processione tra le nuvole, alcune di esse riescono a scorgere, attraverso uno squarcio momentaneo tra i nembi, le idee, le forme.
Quando poi le anime in processione cadono nuovamente nei corpi, reincarnandosi, dimenticano quanto hanno potuto vedere delle idee, del vero mondo; credono dunque solo ai sensi, portatori dell'inganno che le convince a identificare il mondo sensibile con la realtà.
Compito del filosofo è di riportare all'anima la memoria del mondo delle idee, attraverso il dialogo e la persuasione.

Ecco perché il mondo del web ci parla suadente, ci invita a partecipare, a "esserci", a essere visibile, a ricevere dei "like" di approvazione.
Ci persuade facendo leva sulla nostra cultura così grandemente influenzata da Platone, cerca di farci "ricordare" che il nostro vero "io" è in Facebook o in uno degli altri mondi Social; il nostro io non è più qui, non è mai stato qui. E poi come possiamo chiamarlo "qui" se il vero è sempre stato "lì"?

Come minimo si rischia la confusione, ma il reale è qui o è lì?
Ed è questa, la confusione, che regna sovrana in molti, troppi, soprattutto in quelli che si aggirano sinistramente, giorno e notte, a caccia di Pokemon come pecoroni in libertà.
Non abbiate paura, di solito non mordono, dovrebbero essere innocui, ma non cercate di svegliarli, la loro è solo confusione. Potrebbero guarire, se solo volessero. Avrebbero però bisogno di un fidato amico, un cavaliere, un grande.

Avete mai visto un data-center? Google ne possiede uno immenso. Trovate su YouTube un video che lo descrive. Sembra un castello incantato.
Al suo interno scorrono leggiadre acque di raffreddamento. Ognuno di questi colossi del web come Facebook, Instagram, Snapchat, possiede un enorme data-center dove ha racchiuso le nostre immagini, le nostre conversazioni, i nostri video "live", quella che crediamo la nostra vera vita, la nostra anima. La tiene prigioniera dentro quelle mura incantate insieme ai nostri desideri più intimi.

E noi avremmo bisogno di quell'Astolfo così ben narrato da Ludovico Ariosto nel suo "Orlando furioso", che ci liberi dal mago Atlante che così astutamente ci tiene prigionieri nel suo castello. Orlando vi si dibatte credendo di salvare Angelica, Ruggiero illuso di trovare la sua Bradamante. Come loro, vagano confusi anche Ferraù, Brandimarte, il re Gradasso e il re Sacripante.
Chi ha perduto la donna, chi la cavalcatura.

Tutti prigionieri dei loro desideri, quindi prigionieri non solo di Atlante ma anche di loro stessi.
Ruggiero arriva nel castello dalle porte d'oro seguendo un gigante che vi aveva condotto con la forza la sua amata "et altri cavalieri/ vi ritrovò, ch'andavano alto e basso,/ né men facean di lui vani sentieri;/ e si ramaricavan del malvagio/ invisibil signor di quel palagio".

Ma ecco arrivare Astolfo, anche lui attratto con un trucco dal mago furbacchione. Conosceva, Astolfo, di codesti incantesimi e come uscirne, perché possedeva il libro regalatogli dalla fata Logistilla che spiegava come affrontarli.
Seguendo il libro cercò di sollevare la soglia del "palagio" che immantinente avrebbe dovuto sparire, ma i suoi amici non lo riconobbero e incominciarono ad attaccarlo.

Il mago Atlante era ricorso ad un ultimo incantesimo
: far apparire Astolfo come quell'avversario, tanto con rabbia inseguito, che aveva condotto ciascuno dei cavalieri nel castello. Ma Astolfo aveva un altro strumento magico a sua disposizione: un corno che suonò senza indugi, "e di distrugger quello incanto vago,/ di ciò che vi trovò, fece fracasso,/ come gli mostra il libro che far debbia;/ e si sciolse il palazzo in fumo e in nebbia".

Astolfo suonò il suo corno magico e salvò infine i suoi amici, mentre noi sappiamo che, oggi come nel Cinquecento di Ariosto, è scritto nei libri il modo per salvare le nostre anime e quelle dei nostri amici dai maghi furbacchioni del web.

Leretico
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