Viaggio al centro di Giunni
di Leretico

Ho già enfaticamente dichiarato in passato di ignorare di arte, insomma di sentirmi indifeso nei confronti dei messaggi pittorici...


...Ma quando ho tentato di giustificare questa mia mancanza, che mi avrebbe certamente impedito di scrivere qualcosa della mostra vestonese dedicata a Giunni, mi è stato assicurato che non sarei stato né il primo né l'ultimo a dire di arte senza averne cognizione.

Chi mi diceva queste parole di supporto era lo stesso che mi accompagnava nella visione del Giunni informale, quello che rinuncia alla drammaticità del tratto della corrente pittorica a cui nei primi anni sessanta si era ispirato, per declinare la sua espressione verso l'amore alla natura, "natura naturans" direbbe Spinoza.
Per uscire dal mio giro di visita meno ignorante di quando ero entrato, ho provato a fermarmi sull'opera che mi aveva colpito di più.

Parlo del quadro intitolato "La bora".
Lì ho ritrovato un senso che da tempo sembrava perduto in me e che forse si nascondeva indomito e indisponente nel profondo più profondo, ad aspettare che un'emozione più forte delle altre potesse scuoterlo.

Quel cielo materico dinamicamente sospeso sull'accenno delle barche sottostanti mi ha colpito, ha lasciato riemergere il sentimento perduto di un amore lontano. Come quando una rosa perde il suo primo petalo, il ricordo di quel lago e di quel cielo mi ha fatto sussultare. Se è vero che siamo solo memoria, allora il giorno che Giunni dipinse quel quadro anch'io ero presente. Anch'io sono in quel cielo e con me il mio amore perduto.

Non è facile parlare di Giunni, i suoi quadri mi hanno lasciato una malinconia e un sapore di cauta disperazione. Di ciò che sappiamo di dover lasciare.
Il suo messaggio è immortalato nella materia, resiste al tempo senza proteste, docile riempie lo spazio del detto e del contraddetto. Il segno di Giunni è voluto e io non so resistere al pensiero di essere già stato con lui.
Un'improntitudine del mio bagaglio percettivo che fa capolino sulle acque di quel tratto più intenso, di quel gesso intriso di colore e di anima.

Tutto avrei pensato tranne di poter aver questo deja-vu.
Una certezza che man mano che il tempo passava si faceva verità. "Piano con la verità" mi sono detto, sempre in agguato a rovinare la bellezza del non vero, del tentativo inutile di cercarlo senza riconoscere di esservi immerso. E sul concetto di inutilità mi sono soffermato, di quell'accusa insensata che l'arte, quella vera, porta su di sé da secoli.
Quanto utile è quell'inutile!

E così caracollando un po', tra il senso di vuoto dell'invitto inutile e la scoperta sensitiva dell'ascoso utile, mi son portato fuori, sono uscito in via Glisenti e mi son detto: "forse adesso avrò veramente il coraggio di scrivere di Giunni" è così ho fatto.

Leretico
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