Case di riposo con servizi a 5 stelle e future prospettive assistenziali
di Alfredo Bonomi





L’inserto “Brescia” del “Corriere della sera” di sabato 14 maggio riporta la notizia dell’inaugurazione della “Residenza Vittoria”, una splendida casa di riposo a «cinque stelle» per 116 posti, in via Calatafimi, nell’edificio che una volta ospitava la Poliambulanza.
Si ricorda pure che la retta degli ospiti dovrebbe oscillare tra i 90 e i 150 euro al giorno (tra i 2.700 ed i 4.500 euro al mese).

A margine della notizia
vengono riportati i dati riguardanti i posti letto delle Residenze sanitarie assistite nel bresciano: sono 6.521 i posti sparsi nelle diverse strutture della provincia (esclusa la Valle Camonica) 5.260 persone sono in lista d’attesa.
C’è quindi la palese necessità di predisporre altre Rsa per far fronte a questa massiccia richiesta.

In città sono già autorizzate altre Rsa e sempre lo stesso articolo ipotizza un’altra nuova Rsa di lusso per altri 120 posti in via Flero.

Fin qui i “numeri” e la notizia, che dovrebbero portare a qualche riflessione che entri nel vivo di una problematica sociale che sembra richiamare sempre più emergenze per la nostra società, così come è strutturata e così come le “abitudini famigliari” lasciano intravedere.

Oggi la permanenza in casa di un famigliare non autosufficiente, sia esso anziano o no, è sempre più difficile.
Il venir meno del nucleo famigliare tradizionale ed una sempre più accentuata complessità sociale ed economica tendono ad impedire la prospettiva del non autosufficiente nell’ambito delle mura domestiche, circondato dalle cure e dagli affetti dei famigliari, coadiuvati da aiuti professionalizzati, secondo una programmazione che previlegi l’assistenza a domicilio a scapito di quella concentrata nelle strutture, vere “cittadelle dei più deboli”, con le loro “regie” anche economiche, con le loro burocrazie e con i loro ritmi.

Va anche detto che la tendenza imperante di far trascorrere gli ultimi anni di vita nelle Rsa è una consuetudine sociale creata dalle cosiddette “regole economiche”, imposte dai “numeri della produttività”, non certo da Dio; più semplicemente è la conseguenza di una volontà collettiva mossa da regie ben determinate.

Se questo è un dato purtroppo assodato, anche se difficilmente da ritenere ottimale, s’impongono allora alcune serie considerazioni che richiamano altrettanto seri interrogativi.
Eccone alcuni.

Come coniugare l’efficienza e l’equità
di una risposta assistenziale di fatto affidata alle Rsa con una situazione assai problematica?
Si dice che i futuri pensionati non godranno di emolumenti tali da permettere loro una vecchiaia tranquilla. Ed allora quale sarà la risposta ai bisogni emergenti della stragrande maggioranza della popolazione, certamente non ricca?

Non stridono le rette riportate nell’articolo del “Corriere”?

Non viene spontaneo chiedersi quanti sono i bresciani che possono permettersi tali rette?
Qui il discorso potrebbe farsi più complicato e severo, se affrontato con serietà e serenità.

Certamente le risposte ai bisogni dei moltissimi non può essere la costruzione di Rsa «a cinque stelle».
Più semplicemente si potrebbe intravedere una prospettiva nella quale il privato danaroso investa in cultura e nel sociale, visto non tanto e solo come «impresa economica» che deve produrre un sicuro e considerevole utile, ma come il luogo dove si possa esercitare, con ragionevole utile, quella solidarietà umana che tanto viene evocata da più parti. 
È vero, come si dice e si scrive sempre più spesso, che le ideologie sono morte, ma non dovrebbero essere morte anche le idee, la forza del pensiero e del cuore.

La ricchezza di pochi fortunati non è prodotta solo dall’ingegno individuale di una persona, anche se ricca di talenti e creativa, ma dal lavoro di molti e quindi deve avere una ricaduta più vasta in una società che voglia chiamarsi giusta e solidale.
Ben vengano quindi anche le iniziative tese a costruire Case di riposo a cinque stelle, ma sarebbe altrettanto auspicabile che ritornasse pure quella sollecitudine sociale tendente a dar risposta ai molti che anche con stipendi modesti, umilmente, senza clamori, si alzano al mattino, vanno al lavoro e ritornano stanchi a casa la sera con l’unico obiettivo di poter affrontare le necessità quotidiane.

In una società dove le diseguaglianze tendono ad aumentare in forma scandalosa, queste sembrano considerazioni ingenue.
Ma così non è.

La memoria corre a quei benemeriti valligiani, benestanti, che con il senatore Angelo Passerini, di famiglia assai ricca e prestigiosa, il 31 ottobre 1910 pensarono di costruire a Nozza un Ricovero che desse risposte adeguate ai più bisognosi, a quelli che non avevano i mezzi e le possibilità di trascorrere la vecchiaia nella propria casa. A redigere il progetto vollero la firma più prestigiosa del tempo, quella del Tagliaferri, come a dire che concepivano una “struttura di qualità”.

Erano personaggi di peso economico e sociale, di stampo cattolico, ma anche liberale, alcuni eredi del “mondo politico” zanardelliano, altri discepoli di quei cattolici che ritenevano indispensabile e doveroso, per loro che avevano i mezzi e quindi che erano più responsabili di altri del “bene sociale”, misurarsi a livello sociale con le necessità emergenti.
Eravamo agli inizi del 1900 ed ora è facile obiettare che “il mondo è cambiato”. Ma questa obiezione non può eludere una “prospettiva di civiltà” che va condivisa prima che discussa.

È una prospettiva che connota il “grado di umanità” della nostra società.
Non può essere liquidata con la solita etichetta di “buonismo”, scomodando “ragioni economiche”, troppo facilmente richiamate quando non si vuole giungere al “cuore” della questione.

Per Brescia, che è stata la città delle “opere sociali”, sono interrogativi che scomodano il quieto vivere e lo scintillio delle “vetrine umane” ben lontane dalla quotidianità sempre più difficile e precaria.
Per lo Stato invece non si tratta di riflettersi o di interrogarsi, ma di praticare doveri e responsabilità verso i cittadini.

Giugno 2016
Alfredo Bonomi

160619_vittoria.jpg