Bamboccioni... si diventa
di Giuseppe Maiolo

C’è un termine che pronunciato qualche tempo fa da un politico ha suscitato subito scalpore e irritazione al punto tale che è subito diventato impopolare: è la parola bamboccione


Per la verità non è un bel vocabolo, tantomeno rappresentativo (come vorrebbe essere) di una generazione. È solamente espressivo ed evocativo.
Fa venire in mente immediatamente uno di quei bambolotti che usano i piccoli per giocare e divertirsi.
Paciocconi, morbidi e teneroni, sono serviti come immagine metaforica per alludere ai nostri giovani, quelli del nostro tempo che sembra non crescano mai.

Adolescenti o giovani adulti che a lungo coccolati dalle nostre mille attenzioni, iperprotetti e difesi ad oltranza da genitori ansiosi e preoccupati, appaiono intenzionati a non andarsene mai di casa.
Possiamo incolpare la crisi economica, i costi della vita sempre più elevati o la crescente difficoltà a trovare un lavoro che impedisce di diventare autonomi e indipendenti. Ma di sicuro c’è anche qualcosa d’altro leggiamo dalle statistiche che una buona parte della disoccupazione giovanile è fatta di ragazzi che non cerca un lavoro. 

Forse è doveroso chiedersi se non vi sia anche un eccessivo accudimento familiare a far sì che oggi l’adolescenza si rappresenti come un’epoca lunga e interminabile capace di trattenere i giovani, e per un tempo infinito, al calduccio delle coltri profumate e in una cameretta ancora stracolma di  animaletti di peluche che convivono con sofisticati strumenti digitali.

Vale la pena di domandarsi cosa sta accadendo se queste nuove generazioni di ragazzi all’apparenza spavaldi e sicuri, per paura di crescere, scelgano di non uscire di casa e isolarsi dal mondo convinti che la realtà virtuale sia molto più rassicurante della vita e delle relazioni esterne.
Di certo si tratta di un fenomeno nuovo, per certi versi allarmante.
L’isolamento sociale, l’angoscia delle relazioni e la sfiducia nel futuro stanno mortificando i sogni e annullando la progettualità tipica dell’adolescenza, come tempo del desiderio e dei cambiamenti. Ora questa esistenza è piuttosto statica si vive alla giornata, tanto alla fine c’è sempre qualcuno che soccorre e provvede. 

Per fastidiosa che sia l’immagine del bamboccione che è stata evocata, la rappresentazione di un adulto che rimane piccino, di un Eterno fanciullo che non cresce è una realtà fastidiosa ma certamente non nuova.
In passato il Peter Pan di turno era quello che se ne stava sempre attaccato alla sottana materna. Era il figlio prediletto, quello più coccolato e viziato, a volte ma non sempre l’ultimo della nidiata.

Lo chiamavano il “cocco di mamma”
e a lui venivano risparmiate le fatiche, i doveri e le scelte.
Protetto e difeso da ogni possibile pericolo quel piccino diventava sovente un adulto fragile e insicuro che si defilava di fronte alle responsabilità e rimaneva nascosto dietro l’ala protettiva della madre.
Con lei in particolare manteneva nel tempo un rapporto di totale dipendenza e lasciava che fosse questa a decidere per lui e a dirgli cosa doveva o non doveva fare. Poteva formarsi una famiglia, ma portava sua moglie a vivere in casa. Se sceglieva per sé la donna da fare sua sposa, prima di tutto doveva andar bene alla mamma. Oppure si prendeva una moglie-madre con cui poter fare il figlio coccolato e guidato. Insomma cresceva fisicamente ma restava piccolo dentro.

Allora come oggi però, si restava puer o  bambocci quando vi prevaleva qualcuno che dava soddisfazione ai suoi bisogni ancor prima di averli e di manifestarli. 

Giuseppe Maiolo
www.officina-benessere.it


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