Terrorismo: proteggiamo i bambini
di Giuseppe Maiolo

Ogni attacco terroristico ha come obiettivo esclusivo quello di seminare il panico. La paura che si sviluppa nella gente è collegata al timore di un altro attacco e all’incapacità di poterlo prevedere


È il terreno franoso dell’insicurezza che s’insinua rapidamente in ognuno di noi e produce una serie di risposte psico-fisiche che vanno dallo stress all’ansia acuta le cui manifestazione in alcuni sono elevate soprattutto a causa del massiccio bombardamento mediatico che è solitamente destabilizzante.

La visione persistente delle immagini relative alla violenza terroristica incrementano le reazioni di tutti, ma in particolare dei soggetti più fragili emotivamente e dei bambini. Solitamente però non si tratta di sintomi che persistono a lungo se non collegati a traumi vissuti personalmente.

Al contrario a livello collettivo le risposte di ansia e di insicurezza prodotte da atti di terrorismo si risolvono in un tempo breve perché si sviluppa un senso di coesione e viene incrementato il desiderio di stare uniti insieme per far fronte al comune nemico.
Gli studi di psicologia sociale infatti sembrano sottolineare che si sviluppa un forte sentimento di comunità ogni qualvolta ci si sente minacciati e sotto attacco.

La grande esposizione mediatica dei giorni immediatamente successivi all’attacco terroristico in ogni caso non va sottovalutata perché può essere dannosa per coloro che già soffrono di disturbi psicologici come ansia o depressione e ovviamente per i minori che vengono lasciati da soli di fronte al passaggio continuato di notizie relative al terrorismo.

Difficoltà a dormire, incubi, agitazione psicomotoria sono alcune delle risposte che solitamente si registrano e che hanno bisogno di essere rapidamente prese in considerazione e trattate con adeguati interventi.

Ci sono studi come quelli sviluppati dopo l’attentato alle Torri gemelle
di Manhattan che dimostrano come la sola l’esposizione mediatica eccessiva o non adeguata alla capacità della gestione emotiva di alcuni soggetti come i bambini o gli adolescenti, possa produrre un grave disturbo chiamato Disturbo Post-traumatico da Stress (PTSD).
In questi casi chi presenta in modo persistente i sintomi relativi al disturbo non ha vissuto direttamente la minaccia, non ha perso un familiare, ma è stato solamente spettatore in televisione o via Internet degli accadimenti.

I bambini, pertanto, ma talvolta anche gli adolescenti, sono particolarmente a rischio.
Pericoloso è lasciarli da soli in balia della massiccia dose quotidiana di notizie angoscianti e delle immagini relative all’attentato.

Come sempre in ogni evento triste o catastrofico, la cosa fondamentale per tutti è poterne parlare con una persona affettivamente vicina. Vedere e ascoltare senza parlarne personalmente con qualcuno di quello che si prova, non aiuta ma aggrava il senso di precarietà che tutti noi viviamo.
È necessario per ciascuno elaborare l’angoscia esprimendo i propri sentimenti e le emozioni.

I minori ancora di più hanno bisogno di essere aiutati non solo a capire con spiegazioni razionali (sempre che ve ne siano) gli accadimenti, ma soprattutto accompagnati ad esprimere i loro vissuti, le preoccupazioni o le paure che si sono elaborate.

Per giorni dopo un evento terroristico sarebbe opportuno insieme con i più piccoli sondare quali percezioni si portano dentro, magari incoraggiandoli a disegnare quello che sentono.
Non serve dare loro interpretazioni su quello che hanno disegnato, ma aiuta semplicemente il fatto di tirar fuori e non tener dentro. Questo però vale per tutti.

Giuseppe Maiolo
www.officina-benessere.it
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