Ci vediamo domani
di Ezio Gamberini

Quando all’ora di pranzo usciamo dal lavoro, nel breve tragitto che ci separa da casa, Grazia ed io, in macchina, ascoltiamo le notizie del radiogiornale...


Ormai da qualche anno non perdiamo un’edizione del “Gazzettino Padano”, ma, ahimè, dal 2010, anno in cui se n’è andato dopo averne compiuti ottantasei, non ci sono più i gustosi commenti del colonnello Salvatore Furia, del Centro Geofisico Prealpino di Varese, che dopo averci informato sulle previsioni del tempo, ci deliziava con i suoi “pensieri positivi” e gli “usignoli che cantano dal monte al piano”.

Tra di noi parliamo in italiano ma oggi non posso fare a meno di sbottare in dialetto, dopo aver sentito questa notizia alla radio: “A quarantaquattro anni (……), dopo aver scontato in passato una squalifica di due anni per doping, torna a vincere una gara professionistica!”.

Ah, ah…Ma va là. El ga töt ẑo chela buna buna!”, esplodo tra il divertito e l’incredulo.
E poi, considerando il peso degli anni e la fatica sempre maggiore per rispettare i propri impegni, chiedo a Grazia:
Ma non potremmo, una volta o l’altra, per ‘sollevarci’ un po’, prendere anche noi qualche dose di quella ‘buona buona’?”.

La risposta è davvero mitica:
Seee… Som ẑabela svariunacc de per nos cönt, me manca apena chela buna buna!”.

Oggi è la giornata giusta, perché ne capita un’altra che sembra inventata, e invece è vera.
Vera come il mio vaso pieno di biglie di vetro (quasi mille!), più volte menzionato nei miei racconti, che fa bella mostra di sé in sala: “Ma allora c’è davvero, non è inventato!”, dice la gentile signora, che mi legge sempre il lunedì, seduta insieme agli altri commensali, nel pranzo di domenica scorsa in cui abbiamo festeggiato a casa nostra.
No, il nome non lo farò mai e poi mai… Al massimo posso rivelare che si tratta della mia futura consuocera!

Ma torniamo a noi. Devo raccontarla, non è possibile tenerla nella penna.
A sera, quando usciamo dal lavoro, con i colleghi siamo soliti salutarci con un “Ci vediamo domani”, ma in quest’occasione gli altri colleghi sono assenti e nel nostro ufficio siamo rimasti soltanto Grazia ed io, perciò il suo “Ci vediamo domani”, in pratica, è rivolto a me.
Quando ci accorgiamo del paradosso, cominciamo a ridere e non smettiamo più. Continueremo per un quarto d’ora, fino a casa, e ci convinciamo che siamo “rinco” a sufficienza, non c’è proprio bisogno di nessun ‘aiutino’.

Comunque, posso stare tranquillo. L’importante è che non si manifestino segni di squilibrio precoce, come fare discorsi strani e sconnessi, o scrivvere in moddo scoreto.
Io da ani non facio erorri gramatticcalli, o di sintazzi. So, io, la conseguentio temporonium.
Eppoi ciò un topo ke si chiama Algernon.
Maledeto Algernon. Più inteligiente che me, mi bate sempre.
Lodio kuel topo*.

Ezio Gamberini

*Nota dell’autore (temporaneamente rinsavito): il racconto è dedicato alla memoria di Daniel Keyes, morto un anno fa, autore di “Fiori per Algernon”, del 1959, uno dei più bei libri che mi sia capitato di leggere.
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