Achille Glisenti, la parola al critico d'arte
La mostra all’Aab di Achille Glisenti (1848-1906), erede di una facoltosa famiglia di industriali valsabbini, è analizzata da Fausto Lorenzi, affermato d'arte.

Il giornale ha già introdotto in queste pagine, alla conferenza stampa di presentazione, la mostra all’Aab di Achille Glisenti (1848-1906), erede di una facoltosa famiglia di industriali valsabbini poi approdati in Valtrompia, che sempre finanziarono l’educazione artistica del figlio (dall’erudizione con Luigi Campini in città ai corsi a Brera e soprattutto a Monaco di Baviera dove frequentò pure il tedesco-italiano Arnold Böcklin, uno dei grandi maestri del decadentismo classicista, all’attività d’antiquario a Firenze a partire dal 1876) e questo ci esime dal ricostruirne la biografia.

Ma Glisenti è uno di quei pittori che ti impongono sempre di interrogarti se sia stato un talento sprecato, anche per certa disinvoltura tra abilità tecnico-mimetica (specie tra maniera cinquecentesca e ritrattistica secentesca, al limite del remake), attenzione presta alle mode e savoir faire sul mercato antiquariale (in quest’ambito, fu partecipe anche della dispersione fuori Brescia di importanti opere storiche), nel gusto tra atelier pretenzioso e Saloni. Fu soprattutto ritrattista della borghesia e dei notabili: grazie a Zanardelli riuscì persino a ritrarre Re Umberto I e la regina Margherita.

La mostra era stata concepita nel centenario della morte, e doveva nascere in collaborazione con Villa Carcina, ma varie incomprensioni non l’hanno permesso. Sia pure con spazi e mezzi limitati, l’Aab ha doverosamente ritenuto di dover comunque portare in porto l’impresa, ed è da sottolineare in particolare la ricostruzione del catalogo delle opere da parte di Francesco De Leonardis e Luigi Capretti, che hanno costruito la mostra con Barbara D’Attoma (ha curato una scelta di disegni custoditi dagli eredi).

È già stato notato dagli studiosi il duplice binario su cui Glisenti si mosse, tra accademia persino leziosa, in scene d’eleganza salottiera (in una sorta di corruzione del vero, quando il verismo si cinge di lustrini, di piacere dannunziano) o persino in scene di genere orientalista, o in ritratti neocinque e neosecenteschi, o viceversa pittura più presta e sincera in ritratti vividi o svelti bozzetti agresti.

Da un lato fu la reviviscenza melodrammatica di temi romantici, sia in scene di genere quotidiano che ancora rimandano in certo limpido bozzettismo rustico alla tradizione degli Induno o dell’Inganni, o altre d’un oriente pittoresco d’evasione, in allure da serraglio, sugli echi del successo internazionale della pittura pompier lanciata dal Salon parigino e dal contemporaneo revival vittoriano, fondendo realismo accademico e aura esotica (alla Gerome, Bouguerau, Laurens, Meissonier, Detaille e compagni). Qui fu meticoloso ma senza vera immaginazione.

Altrettanto non è difficile trovare i riferimenti di certa sua pittura ad effetto, d’intensità luminosa e cromatica, in quel gusto che si diffuse in tutt’Italia e fu interpretato in particolare da artisti come Pagliano, Molmenti o Tallone dopo che si saldarono (nel comune incontro alle mostre della nuova Nazione) esperienze di napoletani (Morelli, Celentano, Altamura, Toma) e di macchiaioli toscani (specie - per Glisenti - Borrani e Cecioni di palmare riferimento per le cucitrici, Lega altrettanto per ritratti di profilo e gruppi domestici).

Nella vita agreste, di contro a certo spirito del verismo dell’epoca, quand’anche Glisenti diventasse più analitico e preciso, non fu mai di lettura antropologica, ma sempre aneddotica, o viceversa di scrittura bozzettistica a vividi contrasti di lume, senza però cercare davvero la vita nel paesaggio o nell’ambiente. Eppure non abbandonò certa tangibile concretezza che discende dal lungo corso del naturalismo lombardo, e vi immise cert’aria respirata nella Toscana macchiaiola, in cui passò dal chiaroscuro all’effetto, cioè ad un’esperienza di una luce reale.

ACHILLE GLISENTI 1848- 1906, Aab, vicolo delle Stelle 4, al 9/1, 15.30-19.30, chiuso lun.

Fausto Lorenzi
da Giornale di Brescia
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