La peste a Treviso Bresciano - terza parte
Un male oscuro che periodicamente falcidiava intere comunitŕ. Questa era la peste. Cosě era anche a Treviso Bresciano, dove alcune tristi vicissitudini sono state narrate da don Sandro Gorni.
Un racconto che abbiamo diviso in quattro puntate.


Attraversare la Valle dei Morti a Treviso Bresciano equivale ad esplorare il fondovalle a tratti paludoso sul quale si affaccia il paese, guardando verso i monti che lo separano da Provaglio. Con la consapevolezza del buio, della paura, del disgusto misto a terrore che deve aver sopraffatto le semplici anime montanare che hanno visto più volte falcidiati dalla peste i propri cari gli amici e conoscenti, in un crescendo che ha ridotto più volte l’abitato a poche famiglie sopravvissute. Sono trascorsi i secoli, il tempo ha creato in sé altre selezioni e scelte rispetto all’andamento demografico del paese. Resta testimoniato nel libro di Don Sandro Gorni quello che fu la peste nelle due ondate più poderose che il tempo ricordi: nel 1577-8 e quella di manzoniana memoria del 1630.
(terza parte di quattro – le altre sono state pubblicate il 15/11/07 e il 23/11/07)


------La valle dei morti
Il racconto di Don Sandro Gorni prosegue con la descrizione della Valle dei morti ed il Lazzaretto.

“ L’Autorità civile in seguito ai Bandi del 22 aprile e del 26 maggio del 1630 dell’Ufficio Sanitario della Serenissima Repubblica di Venezia, doveva provvedere alla rimozione dei cadaveri e al loro trasporto per essere sepolti nelle fosse comuni. Inoltre gli appestati dovevano essere ricoverati nei Lazzaretti, luoghi nei quali erano curati alla meglio secondo le cognizioni mediche del tempo ed erano preparati cristianamente ad affrontare la morte.
Il Comune di Treviso Bresciano era allora rappresentato dai Sigg. Domenico fu Pietro Micheli, Console, Pollonio fu Martino Pratello, Antonio Bondono fu Giacomo e Francesco Pasini, Consoli e Consiglieri.
A loro venne affidato il compito di provvedere alla bisogna, scegliendo il posto per il Lazzaretto, per le fossi comuni, necessarie per le numerose sepolture, e organizzando il trasporto degli appestati e l’assistenza sanitaria. Era sicuramente un incarico ingrato, difficile, pieno di rischi e di responsabilità.
Il Comune scelse la Valle dei Morti; è facile capirne i motivi: prima di tutto il posto era vicino alle tre frazioni di Vico, Trebbio e Facchetti; da Vico si poteva scendere agilmente per sentieri e mulattiere; da Trebbio e dai Facchetti si poteva arrivare con una comoda strada (per quei tempi!) tutta lastricata di pietre e che ancor oggi è rimasta praticamente intatta, come nel 1630. Quindi il luogo era vicino, comodo, ben servito dalle comunicazioni, e al tempo stesso era appartato e nascosto. Inoltre c’era abbondanza d’acqua corrente; infatti da Vico scende il canale Molsino (molsì) tributario del canale Càrpeni, che vuol significare “morbido, contrario di duro, aspro, aggettivo quindi applicabile per traslato anche a un corso d’acqua”.

Un altro corso d’acqua scende dalla Valle Faègole ed insieme ad canale Molsino a al canale Càrpeni e ad altre sorgenti formano il torrente Gorgone (gorgù), tributario di sinistra del fiume Chiese a Vestone. Il luogo inoltre possedeva certamente delle costruzioni, dei fienili; basti pensare ai fienili di Roncaif, già presenti all’epoca. I fienili quindi saranno serviti come luogo di riparo e di accoglienza, e avranno funzionato da Lazzaretto.
Su uno di questi fienili, proprietà oggi Filosi-Vitali, c’è sulla facciata una grande croce di mattoni a vista, richiamo ai morti appestati; il fienile accanto è pure antico ed è proprietà Togni (gòlge). Dove vennero sepolti i morti è difficile dire; sicuramente non vennero funerati e portati nel cimitero, attorno alla chiesa parrocchiale antica di S. Martino. Possiamo arguire che furono sepolti in fosse comuni nei pressi della Santella dei Morti, o vicino al fienile del defunto Micheli Antonio (maringù). Sulla costruzione contadina ancor oggi è ben visibile un affresco raffigurante l’Arcangelo S. Michele, attorniato dalle anime purganti, e sotto si legge questa scritta, tratta dal profeta Gioele: “ Quel dì che l’Angel suonerà la tromba i morti sorgeranno dalla loro tomba e in Giosofatte sentenza udranno d’eterno gaudio e d’eterno affanno”.

La sepoltura secondo voci popolari doveva essere nel prato “Faègol”, andando verso il Calevèt (monte Gallo). Per altri forse le fosse comuni sono state scavate nella spianata del “camp de piàse”; difficile dire con precisione il luogo: probabilmente ci sono state più fosse comuni e in luoghi diversi. Inoltre la storia insegna che i familiari seppellivano spesso i loro morti, quasi furtivamente nell’orto, nel prato, vicino ai fienili. Dobbiamo considerare il momento molto tragico; la morte ha bussato tutti i giorni e per più persone, per circa 4 mesi: grande quindi lo sconquasso, lo sconforto, lo smarrimento, la disperazione”.

(-continua)
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