Le 'C' dell'educazione
di Giuseppe Maiolo

Educare è un'arte, ovvero un misto di  operazioni che richiedono risorse oggettive e conoscenze teoriche ma soprattutto impegno personale, disponibilità relazionale ed estro creativo


Educatori non si nasce ma si diventa solo se riconoscono i compiti necessari a svolgere il mestiere più difficile al mondo e si sanno attivare le proprie risorse interiori che permettono di mettere in pratica quelle che chiamiamo le "buone prassi educative" .
Il cosiddetto “buon educatore” o, come diceva Winnicott, il genitore sufficientemente buono ha necessità di conoscenze “tecniche” unitamente ad una serie di competenze e abilità che si costruiscono con pazienza e impegno sempre che ci sia il desiderio di approfondire la conoscenza di  sé.

In gran parte le abilità più significative per la sfida educativa del nostro tempo, iniziano tutte con la lettera “c”. Intanto proviamo ad elencarne alcune. Ne faranno seguito altre.

1. Conoscenze: sono l’insieme delle cose teoriche e non che è necessario sapere sui processi evolutivi. 
Questo permette di comprendere cosa vuol dire essere bambini o adolescenti e quale impatto ha ogni fase evolutiva sulla relazione educativa.
Per questo il lavoro del genitore è un mestiere da imparare. Allo stesso tempo però conoscere vuol dire  anche sapere chi siamo come adulti ed essere in grado di riconoscere le parti interne cresciute e quelle che sono rimaste infantili. Quelle solide e quelle fragili.

2. Competenze relazionali, sono le nostre capacità di intrattenere e sviluppare con gli altri e in modo particolare con i figli, rapporti soddisfacenti, maturi e autorevoli, costruttivi e soddisfacenti per noi e per loro.

3. Capacità affettiva è l’essere in grado di dare ed esprimere affetto, cioè saper manifestare le proprie emozioni.
Perché educare significa saper esprimere il proprio mondo emotivo-affettivo, ovvero permettere e permettersi senza timore i sentimenti anche quelli difficili.

4. Comprensione vuol dire saper capire l’altro, non solo per quello che dice ma anche quello che vive e prova ma non riferisce a parole.
Significa sentire empaticamente ciò che il proprio figlio sente.
Vuol dire immedesimarsi, essere nella sua pelle e accettare fino in fondo i suoi pensieri e il suo modo di essere, anche se abbiamo un’altra visione della vita e la nostra esperienza.

5. Comunicazione è il saper parlare al bambino e all’adolescente con un linguaggio appropriato e adatto al suo universo.
Ma poiché si comunica sia a parole che a gesti, a livello verbale e non verbale, saper comunicare vuol dire conoscere bene questi codici.
Poi la comunicazione è anche saper ascoltare fino in fondo, dedicare cioè attenzione, presenza, partecipazione. In una parola vuol dire “esserci”.

Giuseppe Maiolo
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