La Madonna di Rio Secco
di Alfredo Bonomi

Un paesaggio severo, affascinante ed intenso, quallo che ospita il santuario della Madonna di Rio Secco


Molti sono i santuari mariani che testimoniano una fede consolidata; quasi sempre sono sorti a ricordo di fatti miracolosi, dove si mescolano storia e leggenda.
Ubicati in località con rilevanze paesaggistiche di alto pregio, testimoniano il profondo legame tra la natura e lo spirito e richiamano il valore della bellezza come armonia che diletta il cuore e la mente.
Oggi sono una meta anche per i tanti che amano coniugare un “viaggio nella natura” con quello nella “storia della pietà quotidiana” delle popolazioni che hanno lasciato, con fatica e notevoli sacrifici, le testimonianze della loro pratica religiosa.

Così è anche per il santuario della Madonna di Rio Secco in quel di Capovalle.
La meta è affascinante per molti aspetti.
L’antica mulattiera, che collegava Capovalle a Treviso  Bresciano ed alla Valle della Degagna attraverso la valle di Rio Secco ed il passo della Fobbia, ha visto nei secoli transitare i montanari dediti alla fatica di un’economia basata sull’allevamento del bestiame e sullo sfruttamento dei boschi, unitamente ai viandanti diretti dalla Valle Sabbia verso il Trentino e viceversa.
 
Ora la mulattiera è stata sostituita da una comoda strada, ma la stretta vallata di Rio Secco ha mantenuto intatto il suo fascino “selvaggio”.
Qui il “silenzio della natura” parla abbondantemente a chi è capace di ascolto.
È su questa strada, su un dirupo che precipita verso un torrente “povero di acqua” che sorge il santuario della Madonna di Rio Secco.
L’origine, anche in questo caso, è legata ad un fatto miracoloso e la fantasia degli uomini ha messo le ali ad una fede semplice ma profonda.
 
Lasciamo che siano le parole della tradizione a guidarci:
«in una notte di un imprecisato anno della prima metà del secolo XVII, carbonai e mandriani dalle loro povere casupole sparse sulle montagne, furono abbagliati da una luce vivissima che avvolgeva il poggio roccioso di Rio Secco, situato ad un’ora di strada da Capovalle, sulla mulattiera per il passo della Fobbia.
A tal straordinario spettacolo, essi si affrettarono a raggiungere quel luogo e, con il più grande stupore trovarono sotto gli annosi abeti “su un muricciolo non mai prima osservato, un grazioso dipinto raffigurante la Vergine di uno sguardo così dolce e maestoso da inspirare a chicchessia viva devozione e fraterna fiducia...»
 
Così ha “raccontato”, di generazione in generazione, la fede che ha dato origine alla devozione alla Vergine in questa località, lontana dai centri abitati, ma nel cuore del bosco, “patrimonio prezioso” per i nostri antenati.
 
La “Madonna di Rio Secco”, nel corso di grande solennità volute dalla popolazione di Capovalle dal 4 al 7 febbraio del 1950, è stata proclamata dall’Arcivescovo di Brescia, Mons. Giacinto Tredici, «Patrona dei carbonai e dei boscaioli».
Difficilmente una dedica è stata più centrata di questa. Il santuario, in luogo solitario, non è solo nella natura ma è da questa abbracciato, in un severo contesto dove la maestosità dei faggi che lo circondano e l’asprezza del dirupo che lo “ospita a fatica” diventano elemento portante di un insieme di forte poesia.
 
Non siamo ancora nel paesaggio dell’alta montagna, ma nemmeno siamo rimasti nelle atmosfere delicate della media montagna.
Siamo invece in un “unicum” che stranamente sembra richiamare gli elementi dell’aspro paesaggio delle nostre scogliere marine, con la differenza che qui ci troviamo in una “scogliera montana” con la vegetazione ed i colori delle Prealpi.
 
In sintesi, a “lasciar parlare” ciò che si vede, si impone la solennità della natura con la sua forza e con la sua delicata poesia.
È in questo scenario che è sorto il santuario, prima come piccola cappella e poi come chiesa, notevole per disegno ed ornamenti.
L’attuale costruzione, voluta essenzialmente da Don Gaudenzio Squaratti, che ha saputo muovere le corde del cuore dei parrocchiani di Capovalle, è stata terminata nel 1928.
 
Il disegno è del geometra Marsilio Vaglia che ha concepito una deliziosa costruzione neoromanica con qualche tocco neogotico.
Dimostra da parte dell’estensore una buona conoscenza della storia dell’arte, con riferimento ai modelli dell’architetto Antonio Tagliaferri ed a quella “Scuola” (Trainini ed altre) assai florida a Brescia nei primi decenni del 1900 che tendeva a riproporre in architettura e nella decorazione la “lezione” della grande arte italiana.
È su questa linea che spicca la decorazione pittorica di Giuseppe Mozzoni con la bella e morbida “Pietà” della facciata, che ben si addice nella fluidità delle tonalità al contorno naturale.
 
La volontà di ricorrere ad artisti ed a modelli di qualità è la più chiara dimostrazione del desiderio della comunità di Capovalle, all’atto della costruzione della chiesa, di voler il meglio che il “mercato dell’arte” offriva, secondo l'adagio che sostanzialmente così recita: «l’arte vera non conosce limiti di ubicazione geografica».
All’interno una bella tela seicentesca rappresentante la Vergine ha accolto le preoccupazioni, le speranze e le gioie dei fedeli accorsi al santuario.
 
Ritrovata, dopo essere stata trafugata per entrare nel giro del desiderio del “bello a pagamento” che non rispetta nemmeno i simboli della fede e della comunità, è ora conservata nella chiesa parrocchiale di Capovalle.
Dopo la costruzione nel 1928 e la solenne inaugurazione alla presenza del Vescovo ausiliare di Brescia, Mons. Emilio Bongiorni, si sono susseguiti a più riprese gli interventi per una degna conservazione del santuario e per rendere più gradevole il luogo.
 
Le feste in onore della madonna di Rio Secco richiamano molti fedeli, specialmente da Capovalle e da Valvestino.
Questa chiesa è un luogo di fede ma anche di riferimento e di identità per gli abitanti costretti ad allontanarsi dal paese per lavoro.
È significativo che nella giornata della festa dedicata alla Vergine, proprio sul piccolo ma coinvolgente piazzale del santuario, all’ombra dei superbi faggi, si acquisti ad un prezzo simbolico la “spongada”, cioè il dolce semplice che ha allietato nel passato le grandi occasioni di una popolazione povera, ma assai decorosa, quasi a dimostrazione di voler mantenere saldo il legame con una “civiltà locale” che non si vuol abbandonare, fatta di buon gusto e di moderazione.
 
Alfredo Bonomi
    
 
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