Le dolci atmosfere di Treviso Bresciano
di Alfredo Bonomi

Lo sguardo del nostro Pollicino-Bonomi oggi si sofferma su Treviso Bresciano, terra dell'ospitalità


Quando l’autunno dipinge i boschi con una miriade di colori che compongono una sinfonia di sfumature e dona atmosfere così accattivanti da rendere il cuore più tranquillo e disponibile, una gita in quel di Treviso Bresciano è veramente consigliabile.
È assicurata una giornata densa di emozioni che possono anche essere opportunamente accentuate da un gustoso spiedo da consumarsi in una delle trattorie locali che si sono meritatamente assicurato un buon nome ed un alto indice di gradimento.
 
La terra di Treviso è ubicata in una posizione geografica fortunata ed in un contesto paesaggistico di pregio.
È stata uno snodo di comunicazioni di “alta quotaâ€, assai frequentate lungo i secoli della “storia degli uominiâ€.
Aperta verso Capovalle, per moltissimo tempo chiamato “Hanoâ€, cioè “porta della Valle†per essere l’ingresso in Valle Sabbia per chi proveniva dalle montagne del Trentino, verso la Val Degagna, il collegamento privilegiato e più diretto per chi dalla pianura era diretto nei "paesi del nordâ€, verso Idro e Vestone, è stata interessata dal passaggio di viandanti, commercianti, di eserciti, di uomini di fede, in tempi di pace e di guerra.
 
Le vedute stupende sul lago di Idro, le balze delle montagne, non ancora troppo aspre non più collinari, un dolce paesaggio che abbraccia quasi amichevolmente chi l’osserva, le atmosfere con delicate sfumature di colori hanno sottolineato, nel corso degli anni, una “vocazione all’ospitalitàâ€, già sperimentata sin dal 1700 dalle più agiate e distinte famiglie di Vestone che qui ebbero le loro seconde dimore per il riposo fisico e per quello dello spirito.

La valletta del Gorgone, una “preziosità paesaggistica†impensata, che impressiona piacevolmente chi ha l’occasione di attraversarla, collega il nodo montagnoso di Treviso con il fondovalle di Vestone.
La nascita delle borgate di Vico, Trebbio e Facchetti si perde nella notte dei tempi; sicuramente va ricercata nelle vicende seguite alla caduta dell’ Impero Romano e nel Medioevo, allorché la zona, proprio per le sue peculiarità boschive e faunistiche, divenne riserva di caccia.
Infatti le prime notizie riferite a Treviso sono da rapportare al nome originario di “Cazzi†(in tutte le sue varianti), al suo vero significato di vaste estensioni di terreno di caccia demaniali, passati in proprietà ai Duchi longobardi, poi ai Franchi attraverso i loro Gasindi e Gastaldi, infine al Vescovo di Brescia per donazione regia, oltre che monasteri bresciani di S. Salvatore e di Leno.
 
La dedicazione della parrocchiale a S. Martino è il segno più evidente di questa presenza monastica.
La prima storia di Treviso ruota quindi tutta intorno alle reminescenze di battute di caccia, di suoni di corni, di nobili imperiali, di vescovi, di Gastaldi e delle fatiche degli umili paesani al servizio dei piaceri e dei diletti dei potenti di turno.
Così, mentre gli abitanti dei tre nuclei alternavano il lavoro servile per gli obblighi imposti dal Feudo vescovile con quello autonomo nelle loro piccole proprietà dissodate a fatica, la vicinìa amministrava ed organizzava l’uso dei beni pubblici, consistenti nei vasti boschi.
 
Intanto la fede manifestava, anche visivamente, la sua forza nella costruzione delle prime chiesette, dipendenti dalla Pieve di Idro, poi incamminate verso l’autonomia della Parrocchia, ottenuta dopo lunga attesa e resa maestosamente evidente nella ricostruzione in forme barocche delle parrocchie di S. Martino e nel suo arricchimento con stucchi, affreschi e con le fastose soase dei Boscaì.

Tornando al nome, considerato che anche la lingua si adatta ai cambiamenti, quello originaria mutò quando l’economia del paese non fu più legata al feudo vescovile.
Il 24 maggio 1532 la Vicinìa Generale di Treviso decise il nome: da “Cacii†o “Cazzi†diventava “Trevisii†o “Trevisoâ€. Si modificava così una dizione perché l’antica denominazione che richiamava la memoria della riserva di caccia vescovile, in un’epoca nella quale la comprensione del latino iniziava a vacillare e le parole tendevano a smarrire il loro vero significato, era ritenuta sconveniente ed impudica.
La storia, nel corso dei secoli, ha percorso la sua traiettoria anche a Treviso Bresciano.
 
Un dato è però assodato. Il paese non è mai stato isolato, bensì interessato alle novità, purtroppo non sempre piacevoli come il passaggio dei Lanzichenecchi diretti al sacco di Roma nel 1526 e l’arrivo delle terribili pestilenze ancora ricordate dagli “ex-voto†affrescati sulle “santelle†sparse nel territorio.
Una costante si è mantenuta a lungo nelle usanze e nell’economia del paese ed è quella di essere stato scelto come luogo di diletto e di esercizio dell’arte venatoria da parte di ricche famiglie del fondovalle.
 
Questa presenza, che è stata rafforzata dal binomio stretto formato dalla salubrità dell’aria della “media montagna†e dall’abitudine di considerare la caccia non solo un diletto ma anche un fattore economico, a partire dalla seconda metà del 1600, sino a buona parte del 1900, si è concretizzata, prima del più recente arrivo dei lumezzanesi, nei numerosi roccoli dove le famiglie benestanti di  Vestone, con in testa i Materzanini, i Glisenti ed i Pialorsi, nei soggiorni autunnali resi più appetibili dai profumati spiedi che rendevano più sopportabili le prime impennate delle temperature, alternavano il diletto con la messa a punto di strategie famigliari ed economiche.
 
Nei primi decenni del ‘900 con la “grande guerra†Treviso è diventato “zona di confine†ed ha visto una nuova viabilità militare, poi recuperata ad uso civile, e la costruzione dell’imponente forte di Valledrane.
Venuto meno, con lo spostamento del fronte sulle Alpi, quel ruolo e taciuto il rombo dei cannoni, il paesaggio e la salubrità del luogo hanno ripreso il loro posto e sono diventati i veri artefici di un nuovo sviluppo.
 
Il sanatorio di Valledrane, la presenza di distinte famiglie bresciane, l’apertura di diverse trattorie ed il soggiorno di molte famiglie nei mesi estivi, hanno fatto di Treviso la “Terra dell’ospitalità†cara anche ai valligiani.
L’attualità è più problematica, tra progettualità e contingenze non sempre facili.
Certo, la dolcezza del paesaggio, il decoro delle contrade, la non eccessiva lontananza dai centri industriali della Valle, possono essere elementi per “la carta vincente†di una residenza apprezzata purché accompagnata da servizi adeguati (perché non valorizzare adeguatamente le “radici†del più grande architetto operante a Venezia nel 1700, Giorgio Massari?)
 
In questo contesto di storia, di paesaggio, di problematiche e di progettualità, la parrocchiale di S. Martino, punto di raccordo visivo, artistico e religioso del territorio e della comunità locale, rimane la sintesi tra la storia e l’attualità.
 
La tradizione gioca a Treviso ancora un ruolo forte e la fede ne è una solida componente che si manifesta, con spirito corale di devozione alla “Madonna delle Perticheâ€, in solenni processioni decennali, dove sentimento e fantasia creativa si fondono mirabilmente. 
                 
 
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