Corna Nibbia, chiude l'ottava campagna
di Ubaldo Vallini

Dal prossimo mese di ottobre i reperti ritrovati a Bione finiranno con l’occupare stesi su grandi tavole un intero piano del museo gavardese costituendo, separati per aree stratigrafiche, giganteschi “puzzle” che i volontari assemblaranno con cura.

A conclusione dell’ottava campagna di scavo si può dire che il sito archeologico della Corna Nibbia di Bione non smette mai di riservare sorprese e dal prossimo ottobre i reperti ritrovati finiranno con l’occupare stesi su grandi tavole un intero piano del museo gavardese costituendo, separati per aree stratigrafiche, giganteschi “puzzle” da assemblare con cura.

Le cinque settimane che come ogni anno hanno visto al lavoro il personale del museo di Gavardo ed i volontari del Gruppo Grotte, diretti dalla dott. Raffaella Poggiani Keller della Sovrintendenza e con la costante presenza dell’archeologo Marco Baioni, nel corso del 2007 avrebbero dovuto servire a “consolidare lo scavo”, rendendolo adeguato anche ai dettami della 262, la legge che impone la sicurezza nei luoghi di lavoro.

“L’ipotesi era che scavando in questa direzione per formare gradoni di un metro e mezzo ciascuno, ci saremmo allontanati dalla zona più ricca di reperti – ha confermato Baioni -. Invece sta accadendo il contrario: oltre a conferme nella sequenza cronologica dell’insediamento, abbiamo rinvenuto reperti di una qualità tale da rallentare fortemente i lavori”.

Il “pezzo” al quale gli esperti stavano lavorando con scopino e palette, poche ore prima di sigillare l’area dello scavo perché possa attendere senza deteriorarsi la prossima estate, era una piattaforma di argilla “cotta” dal fuoco che a lungo aveva funzionato come caminetto, probabilmente all’interno di una capanna.
Ma era solo l’ultimo dei ritrovamenti. Lo scavo della Corna Nibbia si sta rivelando infatti uno dei più “produttivi” a livello lombardo, soprattutto per lo studio delle popolazioni in un lungo periodo di tempo che va dall’età del rame (4/5mila anni fa) a quella del bronzo finale quando il sito era frequentato per lo più da pastori (1.000 a.C. circa).
La presenza di formelle di fusione hanno poi permesso di retrodatare addirittura di millenni la vocazione “siderurgica” della Valle Sabbia.

Eppure gli esperti sono concordi nel sostenere che “il bello deve ancora venire”. E non solo perché sono ancora da interpretare alcuni singolari ritrovamenti (tavolette enigmatiche, lavorazioni particolari della ceramica, addirittura del corallo).
Il “fondo” dello scavo, infatti, presenta una particolare struttura che potrebbe nascondere reperti ancora più antichi che risalirebbero all’età della pietra.

Il “tallone d’Achille” dell’iniziativa sono i finanziamenti necessari per approfondire gli studi. Per fortuna i reperti della Corna Nibbia sono diventati oggetto d’indagine per l’elaborazione di tesi di laurea, cosa che ha spinto le Università interessate ad analizzarne alcuni, ma servirebbe ben altro: “Una datazione al radiocarbonio con acceleratore a noi costa 800 euro e qui ne servirebbero una trentina” ci dice Baioni, tanto per rendere l’idea. I 5mila euro l’anno che arrivano dalla Comunità montana e che vengono “girati” al Museo dall’Amministrazione comunale bionese non sono certo sufficienti.
0902BioneSca01.jpg 0902BioneSca01.jpg