Paradiso terrestre
di Leretico

Mi č capitato recentemente di leggere un bellissimo racconto di Alberto Savinio intitolato "Paradiso terrestre" inserito nella raccolta di racconti intitolata Tutta la vita (1946)...


Il protagonista è un certo Didaco, un tipo che non passa inosservato. Per una simpatia che gli veniva dall’infanzia per le cose che si “conservano” nel tempo, sviluppò una passione per la “costruzione della conservazione”.
Già da qui cominciò a formarsi nella mia mente un paragone micidiale con il Cavaliere dei nostri tempi. Un non so che di foga mi prese nella lettura, per scoprire se questa similitudine venisse confermata nel prosieguo del racconto.
 
In pratica, nel nostro Didaco Cavaliere, “l’idea della conservazione delle cose si era talmente radicata e sviluppata” che non avrebbe potuto scegliere tra le professioni che quella dell’imbalsamatore. Cominciò la sua ascesa nell’olimpo degli imbalsamatori con gli animali, quelli tanto amati dai rispettivi padroni che, alla loro morte, chiedevano alla sua arte di conservarne il ricordo.
 
Aveva studiato bene come fare: aveva letto con sacrale attenzione Erodoto che descriveva sapientemente i tre modi usati dagli Egizi per mummificare i morti.
Negli anni si era talmente specializzato che cominciò a desiderare di “costruire la conservazione” di animali giovani, per mantenere nel tempo la loro bellezza, piuttosto che ridursi a creare collezioni di animali deformati dalla vecchiezza e dalla malattia.
Il mito della giovinezza, dell’immagine a tutti i costi, lo prendeva di tale passione che non si accorgeva delle reazioni basite dei propri vicini, dei propri amici.
 
La mia curiositĂ  a questo punto era al massimo livello.
Quando Didaco Cavaliere fu abbastanza ricco da non avere più problemi di spese, costruì, in una specie di serra, il suo paradiso terrestre, riempiendolo di animali e piante perfettamente imbalsamati.
Scelse, allo scopo, giovani non per forza intelligenti, ma piacenti.
 
Volete un elenco? C’erano Angelino e Mariastella, Mara e Alessandra, Ignazio e Maurizio, questi ultimi della vecchia guardia ma giovani dentro.
Forse Ignazio, con il suo pizzetto luciferino, non era nel posto giusto, ma qualche errore lo concediamo pure a Didaco Cavaliere.
Insieme a questi aveva imbalsamato anche l’albero del bene e del male con tanto di serpente tentatore di nome Gianfranco.
 
Il maggior diletto di Didaco Cavaliere era passeggiare fra quegli immobili animali che lo guardavano “con innocenti occhi di vetro”.
Nei gesti e nella pacatezza dei toni aveva assunto un che di divino tanto che qualcuno lo chiamò una volta Padreterno, e da quel momento fu per tutti Padreterno.
Definitivamente, la mia intuizione iniziale si fece certezza.
 
Il finale del racconto è molto particolare: Didaco sposò una giovanissima donna di nome Teresina, a lui piacevano fresche.
Decise, ispirato dall’amore che gli "dittava" dentro, di cambiare nome alla giovane consorte e di chiamarla Eva.
Assunse qualche tempo dopo un assistente che volle per la stessa ispirazione chiamare Adamo.
 
Un giorno, assentatosi per un intervento di imbalsamazione a domicilio, rientrato di notte e prima del previsto, scoprì Adamo ed Eva nudi e inequivocabilmente addormentati sotto l’albero del bene e del male.
In quei frangenti non perse la calma, nessun atto inconsulto. Con lucida e creativa freddezza trasformò i due giovani amanti nel capolavoro della sua vita. Gli iniettò un potente anestetico e li imbalsamò con somma cura.
Il suo paradiso terrestre acquisiva finalmente i propri Adamo ed Eva.
 
Ora, è facile associare metaforicamente ad Adamo un focoso e giovane leader di sinistra, e ad Eva la nostra cara e amata Italia, ma il giovane focoso ha perso le primarie quindi il mio finale non viene bene.
Resta però il fatto che tutti e due sono stati imbalsamati per sempre e in fondo mi dispiace più per Eva che per Adamo.
 
Leretico
 
- Immagine: La cacciata dal paradiso di Alberto Savinio, 1929
 
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