28 Agosto 2012, 07.00
Valsabbia Garda Valtenesi
Storia&Storie

Dov'è Nikolajewka?

di Pino Greco

Non c'č due... La profezia era fin troppo facile conoscendo la caratura umana e il background professionale dell'autore. Maurizio Abastanotti č un maestro fatto e finito...

 
Da un lato il gusto per la ricerca bibliografica e le osservazioni sul campo, dall’altro una perseverante vocazione pedagogica.
E così, dopo le suggestioni risorgimentali (Il garibaldino nella foto) e le parole senza voce della Grande Guerra (A chi dimanda di me), l’autore  racconta gli scenari sconsolati della ritirata di Russia.
 
Geniale il titolo: “Dov’è Nikolajewka?”.
Già perché i ragazzi fanno domande essenziali e spiazzanti. Dov’è quel luogo-non luogo divenuto un must della retorica patriottica, condita di orgoglio valligiano e alimentata dalle stratificazioni della narrativa e delle celebrazioni?
E subito si scopre che questo nome familiare ed evocativo come katiuscia, matrioska e balalaika, scolpito nel granito dell’immaginario bresciano, risulta cancellato dalla toponomastica. Vive solo nella memoria di quei sopravvissuti che, settanta anni fa, nei luoghi della battaglia c’erano.
 
Ecco, il libro vive sul dialogo incalzante fra una nipote ostinatamente curiosa e un nonno dal cuore pieno di memoria.
L’impianto è elementare ma si dipana con sapienza drammaturgica.
I giovani, si sa, privilegiano l’epilogo terribilmente e dolorosamente avvincente.
I nonni hanno la saggezza di allargare lo scenario agli antefatti, alle implicazioni politiche ed economiche, alle motivazioni dei popoli e dei singoli combattenti.
 
Ne nasce un continuo e febbrile rinvio, passando per le  fasi di quella sciagurata spedizione e la maturazione della consapevolezza, desolatamente lucida, che il cinismo del governo fascista si stava prendendo gioco degli incauti entusiasmi di un’intera generazione di giovani.
Al momento clou che, come da copione arriva puntualmente alla fine, un colpo di scena.
La voce narrante si blocca. Incapace di sostenere il tumulto dei sentimenti.
Il racconto di quella battaglia che consentì, a costo di autentici atti di eroismo, di rompere l’accerchiamento e aprirsi la strada per il ritorno, è affidata alla pagina scritta.
 
Appunti li chiama il nonno, ma il lettore non se ne avvede.
Il distacco e la concisione non sfumano la crudezza dello scontro fra un esercito che legittimamente difendeva la propria patria e i resti delusi di un’armata che, abbandonati i sogni di conquista, desiderava solo  tornare a casa.
E’ il momento in cui, dalla massa informe di sbandati in preda alle allucinazioni da assideramento, si delineano i volti e le storie di amici che non ce l’hanno fatta e che resteranno incisi, con il peso di un inconfessato rimorso, nella memoria del sopravvissuto.
 
Una bella e commossa pagina di storia, dunque, ad uso didattico.
Ma il target non è necessariamente quello di età scolare se perfino uno smagato ex uomo di scuola, con anni di studi e di insegnamento delle discipline storiche, qui e là ha avuto un soprassalto di stupore per un particolare ignoto o per qualche retroscena estrapolato dagli archivi delle cancellerie dell’est e dell’ovest.
 
Un libro appassionante, ma rigoroso. Conciso, ma esauriente. Piacevole, ma profondo.
Un libro che fornisce, poi, all’autore  il pretesto per uno sdoppiamento fruttuoso. Fra le reminiscenze e i vezzi di un’adolescenza desiderosa di apprendere e la proiezione della sua maturità verso  una vecchiaia pacatamente assorbita dalle perenni aspirazioni all’ammaestramento.
Lo si intuisce dagli spazi che, nell’avvicendarsi degli eventi bellici, si ricavano certi informali dissertazioni sulla identità contadina e operaia del territorio di riferimento.
 
In questo modo il nonno, mentre impartisce lezioni di storia, si preoccupa di salvare la memoria e il sapere pratico di una generazione cresciuta nelle campagne.
Così capita che a una circostanziata denuncia dei materiali scadenti di quell’improvvida armata, faccia seguito la minuziosa  descrizione della gravidanza di una coniglia del proprio cortile. Con la stessa premura didascalica.
 
Tuttavia, conoscendo le convinzioni e gli intenti di Maurizio Abastanotti, si può affermare che certi esempi delle pratiche del passato non preludono a un ritorno a quei tempi, tutt’altro che idillici. Tantomeno intendono rinnegare i progressi attuali.
Quei saperi, infatti, potrebbero semplicemente essere il punto di partenza per affrontare il futuro, con il dovuto rispetto per la terra e la capacità di farla fruttare  senza le smanie del profitto a tutti i costi.
 
Chiude il libro un siparietto commosso fra nonno e nipote.
- Nonno, non morire, ti prego!
- Farò del mio meglio…

Fatti i debiti scongiuri, l’auspicio è che  il nonno-maurizio  traduca quel  meglio in altri splendidi racconti sulle storie e le vite della nostra gente.

Pino Greco


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