La Gilda
di Ezio Gamberini

Ecco dov’era finita! In fondo al mobiletto, nascosta da un paio di vasi, ritrovo la bottiglia speciale di grappetta sopraffina...

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E’ stata distillata con l’uva di mio fratello Elio, più vecchio di quattro anni, che vive in Trentino da un quarto di secolo.
Di mestiere fa il contadino e ogni anno produce quattro o cinque ettolitri di vino, alcuni quintali di patate, e poi pere, mele, ciliegie ed ogni altro ben di Dio che nasce dalla terra.
Possiede inoltre due cani, qualche gatto, un coniglio nano che una volta mi ha morso, ed alcune tartarughe.
 
Ha poi un hobby che, come me, lo impegna per circa trecento giorni l’anno: lui passa otto o nove ore al giorno in ospedale indossando un camice, io invece sono appassionato di lavoretti d’ufficio.
Vallo a capire! Questo nettare è ottenuto dal vitigno Marzemino, tipico trentino, e vi è stato immerso dell’anice stellato che qualcuno, da queste parti, continua volgarmente a chiamare “fiori di genziana”.
Sull’etichetta, prodotta artigianalmente al computer, è ritratto il sottoscritto nella sua foto più bella: “Rider in the Smoke Valley”.
Cavalco il mio destriero circondato da una magnifica catena di monti, in riva al fiume, mentre a due passi tra il verde lussureggiante riposa uno splendido esemplare femmina di pastore bergamasco.

Era il ’90, o forse il ’91, e in agosto trascorsi una settimana indimenticabile in Val di Fumo, ai piedi dell’Adamello, dove nasce il fiume Chiese.
La cavalla si chiamava Gilda ed era un’avelignese favolosa, docile e mansueta. Anche i miei figli se la ricordano ancora, la Gilda. 
Sdraiata sull’erba, ritratta sull’etichetta, giace invece Nuvola, moglie di Faro, un pastore bergamasco di un’intelligenza straordinaria.
Quasi quasi, dopo un paio di giorni, a Faro parlavo come a un cristiano. “Vai a riprendere le mucche!”, gli si diceva, e lui partiva come un razzo e le riportava per la mungitura.
 
Per sette giorni feci compagnia agli amici della “Cooperativa ai Rucc e dintorni”, realtà sociale che si occupa del recupero di tossicodipendenti, nata più di vent’anni fa al mio paese, di cui sono socio da sempre e consigliere d’amministrazione da oltre dieci anni, che ogni estate affitta una malga per l’alpeggio.
Per fare colazione mi preparavo una moka da caffè da tre, e la versavo in una tazza piena di panna appena tolta dai recipienti di latte fresco.
Oltre ad Emanuele, responsabile della cooperativa, e due ragazzi, c’era anche Vittorio, un pensionato che si occupava dei formaggi, uguale spiaccicato al nonno di Heidi. Il primo giorno non mi degnò di uno sguardo, poi, dal secondo, iniziò a pronunciare qualche parola, mentre al terzo cominciò anche a divertirsi, perché lo facevo morir dal ridere.
 
Quando lo salutai, dopo la settimana, mi strinse forte la mano ed aveva gli occhi lucidi. Non succedeva dal 1932.
Qualche anno fa, dopo tonnellate di formaggio “supervisionato”, ci ha lasciato, caro Vittorio, in silenzio come sempre.
Ora ci fa compagnia, perché nella sede della cooperativa è stata affissa al muro una sua foto, e ad ogni consiglio possiamo contare sulla sua discreta presenza: ci guarda dall’alto, appoggiato al suo bastone con l’immancabile cappello.

Quanti ragazzi ho visto morire giovani, coi quali durante la loro permanenza in comunità si giocava a pallone, ci si vedeva, si scherzava, si parlava dei progetti futuri una volta che fosse finito il percorso, che dura mediamente quasi due anni.
Ad un certo punto, un po’ per necessità e impegni familiari, e un po’ per scelta, ho allentato questo coinvolgimento, che comunque occupava una sera la settimana; ora l’impegno istituzionale mi richiede una serata al mese.
E’ troppa la sofferenza nel vedere ragazzi che, consci dei loro errori e totalmente recuperati, ricominciano a vivere una vita normale, riprendono il lavoro, addirittura intraprendono nuove attività in proprio, magari con successo; rivivono gli affetti di un tempo, o si costituiscono una famiglia, e poi, all’improvviso, dopo due o tre anni di normalità, crepano di Aids: chi dispiaciuto, accettando il verdetto, chi invece disperato.

Ora ripongo la grappetta al suo posto, nascosta dietro ai vasi, magari per un’altra decina d’anni.
Chissà se allora saremo ancora gli stessi.
Basterà guardare per un istante la Gilda negli occhi, e lo capirò al volo.

Tratto dal volume “Tapascio Bombatus e altre storie” - Ed. Liberedizioni
Il racconto, se non ricordo male, è del 2005.

 
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