Albània - Prima puntata
di Ezio Gamberini

E’ sufficiente pronunciarla come lo dicono loro: chiamano la propria terra Albnia, con l’accento sull’a centrale...

 
Proprio così, Albània, e subito pensi ad una terra dolce e seducente.
Quando sbarchiamo a Durazzo la realtà appare subito diversa e nell’attraversare il territorio montuoso della Mirdita, la regione più povera dell’Albania, solo fango e miseria, la disperazione ci assalirà senza abbandonarci più.
Tutto è cominciato quando Don Gianfranco, dopo dieci anni trascorsi in due parrocchie come curato e tredici da vice-rettore in seminario, ha deciso di accettare l’invito del Vescovo: l’Albania!
“Fidei donum” della diocesi di Brescia alla diocesi di Rreschen, cittadina di circa settemila abitanti la cui magnifica cattedrale, donata dalla diocesi di Bologna, sarà inaugurata sabato 9 novembre. Oltre ad essere capoluogo civile della Mirdita, Rreschen è sede diocesana poiché, pur essendo più piccola rispetto ad altri centri limitrofi, è di tradizione cattolica a larghissima maggioranza.
 
In Albania è sicuramente più corretto parlare di “tradizioni” cristiane o musulmane, perché in effetti la pratica religiosa è vissuta molto tiepidamente e la convivenza è assolutamente pacifica.
Non bisogna dimenticare che a più di quattro secoli di dominazione turca, cessata nel 1913 con la dichiarazione d’indipendenza, ha fatto seguito, dal 1946, anno in cui fu istituita la Repubblica Popolare, un periodo di quasi cinquant’anni in cui il regime comunista, provocando di fatto l’isolamento dal mondo intero, si è rivelato tra i più spietati nel perseguire chi professava la fede.
Chissà cosa passava per la testa di Henver Hoxha, che invece di pensare al benessere del suo popolo si premurò di far costruire settecentomila bunker per difendersi dall’ “invasore” occidentale.
 
Ancora oggi in aperta campagna e vicino ai villaggi si possono scorgere delle semisfere metalliche che sbucano dal terreno, larghe pressappoco da uno a due metri, a testimoniare la follia del dittatore.
Nel 1990 la protesta popolare e la crisi economica hanno causato il crollo del regime e nel 1991, in seguito a modifiche apportate all’ordinamento politico, fu costituita la Repubblica Parlamentare.
Dal 1998 la nuova costituzione approvata con un referendum popolare assegna il potere legislativo ad un’Assemblea di centocinquantacinque membri eletti per quattro anni i quali, a loro volta, eleggono il Presidente della Repubblica che dura in carica cinque anni ed è rieleggibile una sola volta.
L’Assemblea, attraverso l’istituto della fiducia, controlla l’operato del Governo che attualmente è costituito per la maggior parte da membri che fanno riferimento al partito socialista.
 
L’Italia in particolare, ed altri organismi internazionali, stanno collaborando attivamente con le autorità albanesi per fornire strumenti e conoscenze al fine di migliorare i processi che regolano la vita amministrativa, la sicurezza sociale e l’economia.
E’ importante sottolineare le relazioni con l’Italia, strettissime, oltre che per la vicinanza geografica, soprattutto per ciò che il nostro paese rappresenta nell’immaginario e nelle aspirazioni di ogni albanese, che di fatto non può ottenere alcun visto per l’espatrio. L’unico modo per raggiungere le coste pugliesi (la via più breve) è quello di rivolgersi alla malavita per imbarcarsi clandestinamente su un “gommone”, pagando cifre astronomiche procuratesi chissà come, oppure indebitandosi drammaticamente.
Ben diverso era l’atteggiamento nel 1939, quando Mussolini proclamò l’annessione dell’Albania all’Italia, che durò fino al 1944. In quegli anni violenze e soprusi di ogni genere si consumarono in abbondanza.
Dopo l’Italia, l’altro “oggetto del desiderio”, per gli albanesi, è la Grecia.
Cercano di attraversare clandestinamente i confini, ma quando sono scoperti subiscono dure percosse, prima di essere rispediti al mittente. I racconti dei ragazzi tornati dalla penisola ellenica sono proprio eloquenti e narrano di botte e sevizie elargite senza risparmio di energie.
 
Domenica
Domenica 3 novembre con gli amici fraterni Ezio (Nene), Pierenzo (Piere), e Mario carichiamo il furgone, un Ford Transit prestato dall’oratorio, ed il fuoristrada Galloper che resterà in Albania con i missionari.
Mario, che fa il chirurgo, conferma che purtroppo non potrà essere dei nostri: un suo paziente sta proprio male.
La comitiva sarà così formata da cinque elementi: il vobarnese Don Gianfranco, il suo confratello Don Marco, di Breno, Ezio, Pierenzo ed il sottoscritto narratore, Ezio pure lui.
 
Lunedì
Già da ieri è cominciata l’opera di demolizione di “nonno” Nene, da parte mia e di Piere, che siamo più giovani di “ben” tre e quattro anni. Questa settimana lo faremo “morire”.
Lunedì mattina alle sei e trenta ci ritroviamo nella minuscola ma graziosissima chiesetta di San Rocco per l’ultima messa vobarnese che Don Gianfranco celebra per i familiari e gli amici.
Il commiato è commovente, soprattutto con la sua eroica mamma che ormai già da qualche anno ha compiuto gli ottanta!
Piere ed io partiamo subito con il furgone con destinazione Desenzano d/Garda, mentre Don Gianfranco e Nene, sul Galloper, si dirigono verso il casello di Brescia Est dove li aspetta Don Marco, che sopraggiunge dalla sua Valcamonica.
Ci teniamo in contatto sia con il cellulare sia con due trasmittenti. Filiamo come il vento, mentre chiacchieriamo di figli e lavoro, di casa e sport, e di quando eravamo ragazzi.
 
Solo verso Forlì siamo raggiunti dal fuoristrada e dopo pochi chilometri ci fermiamo qualche minuto.
Non abbiamo alcun intoppo, i chilometri scivolano via veloci tra uno scroscio improvviso ed un cielo che si riapre regalando colori che impreziosiscono il mare ed il litorale; ogni tanto si sottraggono alla vista tra leggeri dirupi o dolci colline per poi riapparire ancor più belli.
Poi vigne, ulivi e pinete, paesini e villaggi abbarbicati sui rilievi, ancora un paio di scrosci ed infine immense colture di carciofi: siamo finalmente in Puglia.
Adesso con me c’è Nene alla guida. Sul Galloper si trovano Piere, che riposa sul sedile posteriore, Don Gianfranco al volante e Don Marco al suo fianco.
Quest’ultimo prende il telefonino, compone il numero e comincia a parlare, non visto da Pierenzo, il quale pensa che Don Marco stia conversando con lui: “….perché poi, dopo la dogana, sarà difficile che possiamo parlare…..”.
“Certo, si, si, sono d’accordo, è meglio che non parliamo dopo aver attraversato la dogana…” risponde Pierenzo, convinto.
Nella ricostruzione successiva si scoprirà che Don Marco pensava che anche Piere, nel medesimo istante, stesse telefonando a qualcuno.
“….poi faremo come abbiamo detto in quella riunione…” continua ancora al telefonino. “Ma io non c’ero, a quella riunione !” confessa Pierenzo a Don Marco, spostandosi un poco in avanti. Don Gianfranco, accortosi della scena, comincia a ridere e non smette più.
L’episodio ci sarà raccontato, tra mille risate, e diventerà una ‘tiritera’ per tutta la settimana.
 
Alle diciassette arriviamo a Bari ed entriamo al porto.
L’imbarco è previsto per le diciannove e trenta sulla motonave Sansovino, traghetto lungo circa duecento e largo suppergiù una ventina di metri con nove ponti, compreso quello a livello dell’acqua in cui sono parcheggiati TIR ed autovetture.
Appena saliti e pagata la tassa di dodici euro per l’ingresso in Albania, ci sono assegnate le cabine che sono composte da due letti a castello, con la possibilità di aprire la porta centrale per comunicare con un'altra identica cabina, sempre con due letti a castello.
I due missionari non hanno dubbi su chi dormirà sotto e chi sopra: Don Marco, alquanto “rotondetto”, si accomoderà ai piani bassi.
Pierenzo si sacrifica e mi concede il letto inferiore, mentre a “nonno” Ezio cediamo l’attigua cabina, dopo avere aperto la porta di comunicazione.
Prima che la nave salpi ci rechiamo al self-service, che ha già aperto, e dopo aver mangiato andiamo sul ponte per seguire le operazioni che precedono la partenza. La nave salpa alle ventitré in punto. Non ci muoviamo da lì fino a che Bari non appare come un puntolino all’orizzonte, per poi sparire del tutto.
 
Non sono mai salito su una nave, ma è proprio come me l’aspettavo: un dondolio dolce (il mare è piuttosto calmo) che provoca un leggero fastidio, ma non nausea.
Ezio sentenzia, ieratico: “Per vincere il mal di mare bisogna sdraiarsi….”, così, tra le orrende offese rivoltegli dagli altri quattro, prendiamo la via delle cabine e ci prepariamo per dormire, verso la mezzanotte.
Piere ed io ci stiamo svestendo, mentre Nene è già sotto le coperte. Ci rivolge una domanda; gli sto rispondendo, ma, incredibilmente, sta già ronfando!
Il mio compagno si avvicina alla sua cuccetta e gli da una “pappina” sulla nuca. Niente da fare….. è già partito.
 
Tratto dal volume “Tapascio Bombatus e altre storie” - Ed. Liberedizioni
 
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