I Ròc, ovvero quelli di casa Agostini
Vallio come Lubecca e il Vrenda come il Trave? Forse, ma naturalmente manca il mar Baltico e soprattutto mancano Thomas Mann e quel Nobel per la letteratura che la storia dei Buddenbrook gli fece conquistare nel 1929.

di Luigi Agostini
edito da Civiltà Bresciana
pagine 320
prezzo € 12,5
Recensione di Sergio Re

Una saga familiare sulle sponde del Vrenda

Vallio come Lubecca e il Vrenda come il Trave? Forse, ma naturalmente manca il mar Baltico e soprattutto mancano Thomas Mann e quel Nobel per la letteratura che la storia dei Buddenbrook gli fece conquistare nel 1929.
Vorrei dire anzi che la storia qui non è nemmeno abbozzata e il vero parallelo si potrebbe forse e solo costruire tra questo libro e il “noto fascicolone dalla copertina a sbalzo e dai fogli di diversa qualità” sul quale il vecchio console Johann Buddenbrook registrava meticolosamente le principali vicende della sua famiglia e che di generazione in generazione arrivò tra le mani affrante di Tony, estremo epigono del ceppo anseatico, quando nonostante la sventurata serie di sciagure e di decadimenti sociali rimase sola , ma sempre abbarbicata con incrollabile dedizione al sogno di riscatto dell’antica dignità familiare.

L’autore dei Buddenbrook bresciani, il nostro Luigi Agostini, la cui antica casata si perpetua in quel di Vallio almeno a far data dal 1853, altri non è infatti che il raccoglitore paziente di documenti miracolosamente conservati nel trapasso delle generazioni tra i vari esponenti di questa famiglia che nel soprannome “I Ròc” riecheggia non solo il nome del capostipite [Rocco Agostini], ma addirittura il più alto e nobile archetipo del Meclemburgo, i [Buddenb]Ròc.
La questione è presto detta, ciò che manca a questo libro per farne una storia, o meglio il “romanzo”, è lo scatto d’orgoglio capace di nobilitare le poche righe epistolari dei vari componenti, snocciolate senza un fondale storico e alimentate solamente dal circuito degli interessi familiari, per trasformarle in una vicenda capace di interessare anche chi non appartiene alla famiglia.

Non si tratta insomma del fatto che Mann aveva a disposizione un palcoscenico narrativo riservato alle contese dell’alta borghesia, culminate nello smacco della cessione del palazzo avito dal senatore Buddenbrook al console Hangeström, qui manca – mi sembra – la mitizzazione dei successi e il riscatto letterario di quelle piccole controversie familiari, delle avversità e dei particolarismi che altrimenti non possono risollevarsi dall’ambito angusto dell’interesse privato.
Questo per mettere a posto le cose ed avvisare il lettore di ciò che non si deve assolutamente aspettare da queste pagine: non si tratta di una storia e nemmeno di un intreccio romanzesco dove gli avvenimenti personali si srotolano sul fondale della più grande storia provinciale o nazionale.

In fondo però io credo che l’autore stesso non intendesse spacciare per storia o letteratura bresciana il lavoro che consiste invece, salvo le poche pagine di introduzione, in un variegato epistolario straordinariamente (questo sì) conservato dalle ingiurie del tempo.
Detto questo, non occorre poi cercare molto per ritrovare invece tra le pagine di questo “diario” familiare, redatto spesso con caparbia puntigliosità, i tratti che riscattano l’ambito privato e personale della simpatica storia del nonno Rocco – fondatore appunto della stirpe dei Ròc (brescianissimo scotöm della famiglia) – il quale sembra aver deliberatamente perso la diligenza sul Colle di Sant’Eusebio per poter scendere a Vallio, bussare alla porta della bellissima cugina Domenica e quindi – a tempo debito – impalmarla. Tutte le vicende dell’epistolario in fondo prendono le mosse da questo fatto e dai nipoti e pronipoti che i due hanno generosamente allevato.

Personali quindi abbiamo detto le vicende, ancorché a volte gustose, ma tra le loro pieghe allignano tuttavia alcune piccole perle di storia minore che riqualificano l’interesse di tutto lo scritto.
Dalla piccola contabilità di Angelo Agostini, seminarista a Brescia nel 1883, veniamo ad esempio a sapere che a quell’epoca una corsa in “tranvai” da Gavardo a Brescia costava 0,75 lire, che il calzolaio chiedeva la stessa cifra per la suolatura delle scarpe e che una cartolina con francobollo costava 0,30 lire.
Questi prezzi possono poi venir raffrontati con altre e successive valorizzazioni effettuate nel 1899, alla morte del capostipite e al momento di dividerne l’eredità, quando scopriamo che due sedie erano valutate una lira (come tre cartoline affrancate).
Ma dal lungo elenco di mobili ed attrezzi che la benestante famiglia ha lasciato agli eredi possiamo risalire alle abitudini, agli agi e a parecchie altre informazioni sui confort di una casa della piccola borghesia amministrativa nello scorcio del secolo XIX.
Inequivocabili ad esempio le abitudini alimentari se, oltre a mobili, cassapanche, credenze, ecc., vi era meticolosamente elencata anche una cassetta per confezionare il salame, un girarrosto e alcune graticole.

Ma la chicca di tutto il libro a mio avviso è quel tema di aritmetica che recita: tra i Comuni A. B. e C. è stato costituito un Consorzio per la costruzione d’una Strada rotabile… e prosegue snocciolando le lunghezze dei percorsi nei diversi comuni e il relativo “contingente dell’Imposta Fondiaria”, chiedendo al candidato la suddivisione dei costi per ogni compartecipe del consorzio.
Il lavoro fa parte d’una prova d’esame che il quartogenito della famiglia Agostini (Luigi) sostenne nel 1878 quando si presentò al concorso per il posto di Segretario nel Comune di Vallio.
Luigi Agostini (senior) dette sicuramente buona prova delle sue competenze, tant’è che superò brillantemente l’accertamento e venne eletto segretario presso il comune di Vallio, divenendo così – dopo il capostipite – il secondo rappresentante di una attività che diventerà pressoché tradizionale nella famiglia dei Ròc.

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