27 Gennaio 2020, 10.00
Blog - Genitori e figli

La paura del diverso che alimenta il razzismo

di Giuseppe Maiolo

Il razzismo, per la verità, dovremmo chiamarlo xenofobia, che in greco è “paura del diverso”. Ci aiuterebbe di più a capire, non a giustificare, un comportamento in crescita e un disturbo psicologico che può essere devastante. E il Giorno della Memoria, tristemente ce lo ricorda!


Tutto ciò che non conosciamo ci spaventa, in particolare la diversità. Lo sappiamo. Quanto meno, quello che non corrisponde alle nostre immagini ci appare strano, ovvero estraneo. Straniero. Che è la stessa cosa, perché i due termini hanno la stessa radice.

L’estraneità, dunque, genera ansia ed è esperienza comune una vera e propri angoscia per quello che non rientra nelle nostre conoscenze. Il bambino la prova fin dal primo anno di vita, quando gli si avvicinano persone con cui ha poca familiarità. Dopo aver provato, infatti, il piacere dell’attaccamento a chi come la madre gli ha dimostrato amore e protezione, il piccolo della specie umana avverte un fortissimo disagio se incontra uno sconosciuto. Non ha un motivo particolare e nemmeno ha un’esperienza negativa che governa la sua psiche e quell’acuta preoccupazione. È il “non ancora conosciuto” e la sua diversità che lo fa sentire in pericolo.

L’angoscia, di fatto, è un passaggio evolutivo necessario. Uno stato d’animo potente che segna l’attraversamento di un confine, quello tra l’io e l’altro e introduce a una “narrazione” di significati e sensazioni specifiche di pericolo, di perdita di integrità e delle proprie certezze in un momento in cui la fiducia in se stessi e negli altri non è ancora adeguatamente sviluppata.
 
Sarà però la qualità del legame di attaccamento ad aiutare a contenere l’insicurezza e la minaccia proveniente dal mondo e dall’altro. Se quel legame di base sarà positivo, lo sviluppo permetterà di trovare un punto di equilibrio tra il bisogno di marcare il territorio per difenderlo dagli intrusi, come d’istinto fanno gli animali, e la possibilità di non sentire minacciosa la vicinanza di chi ha fisionomia, colore, provenienza o razza diversa. Altrimenti la fobia prenderà il sopravvento.

Così la xenofobia diventerà incapacità di gestione dei propri sentimenti negativi e difficoltà nella coniugazione di pulsioni e ragione. Essa si basa su una forma mentis particolarmente rigida, un abito mentale schematico, alimentato dal pregiudizio ovvero da un pensiero ingessato e angosciato dalle cose mutevoli della realtà, dalle differenze e dalle contraddizioni percepite come destabilizzanti.

Chi nutre sentimenti xenofobi che rimandano al razzismo, si serve per giustificarli di giudizi preconfezionati e generici, che di preferenza hanno uno sguardo parziale o infantile della realtà.

Perché la diversità genera paura in quanto è complessità difficile da organizzare mentre la prospettiva che contiene poche possibilità di revisione, solleva dal confronto con l’altro e col dubbio.

Tutte le storie terribili di razzismo alimentate dalla xenofobia hanno un filo rosso che unisce e lega la paura alla rabbia e all’odio, il bisogno di affermazione all’angoscia della perdita. Ma il terrore e la violenza che le accompagnano nascono spesso anche dall’incontro con le proprie parti oscure e minacciose che nessuno vorrebbe avere.  Meglio proiettarle sugli altri. Così la paura del diverso è anche paura del nostro essere diversi, delle nostre estraneità e di ciò che vorremmo eliminare. 


Giuseppe Maiolo
psicoanalista
Università di Trento
www.officina-benessere.it




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