Quattro inglesi nelle finali di Champions ed Europa League. Quattro inglesi, ma con al timone quattro allenatori stranieri; perché non conta la provenienza geografica, contano le idee
Pochettino è argentino, Emery spagnolo, Sarri italiano e Klopp tedesco. Diversi tra loro per provenienza e cultura calcistica, hanno tutti in comune una cosa: fanno giocare le loro squadre, sempre.
Andando un po’ indietro nel tempo, guardando in casa nostra, notiamo ciò che ha accomunato i vari Milan di Sacchi, Capello e Ancelotti nel corso di un ventennio.Tre allenatori molto diversi tra loro, operanti in tre periodi diversi e con a disposizione uomini diversi.
In tutti e tre i casi la loro idea di gioco era surrogata da una mentalità vincente, che portò quei team a primeggiare in Europa, surclassando avversari spesso ritenuti proibitivi da tutti.
Stessa cosa contraddistinse la prima Juve di Lippi, capace di arrivare in finale di Champions tre volte di fila, vincendo però solo una volta la Coppa. Forse è da lì che ha origine il “braccino” che affligge i bianconeri nelle finali di Champions.
Vanno ricordati anche il Barcellona di Guardiola, il Manchester United di Ferguson, il Liverpool di Beniteze l’ultimo Real Madrid a guida Zinedine Zidane, capace di vincere ben tre Champions di fila.
Tutte squadre ultra vincenti, che rispettavano le regole sacre per poter primeggiare in Europa, e nei rispettivi campionati: proporre il proprio gioco imponendolo, senza aspettare che l’avversario faccia le sue mosse, dettando il ritmo della partita, esponendosi alle ripartenze avversarie, senza fare calcoli, senza giocare a scacchi, senza barricate o stare sul chi va là.
Certo, se poche sere addietro i Reds avessero incassato un paio di gol per via del loro atteggiamento spregiudicato, oggi si parlerebbe di tutt’altra partita, e non si osannerebbe il buon Klopp; ma così non è stato.
L’anno scorso alla Roma - sempre con gli inglesi - non era andata allo stesso modo, nonostante una gara di ritorno intensa, conclusasi con una sola una rete di disavanzo rispetto all’avversario.
Nessuno però plaudì al bravo Di Francesco, accusandolo anzi di aver provocato la sconfitta nel doppio incontro, per via dell’atteggiamento troppo offensivista; e dimenticando di colpo che nei quarti il Barça era stato rimontato e battuto proprio grazie a quell’atteggiamento.
Perché saranno importanti gli uomini, i moduli e gli altri fattori che incidono sull’economia di un match, ma serve anche e soprattutto la fortuna. Il tutto unito a ciò che rende una squadra più affamata delle altre, quella cosa a tratti invisibile che la si ritrova in campo e permette di primeggiare: la mentalità vincente.