17 Novembre 2006, 00.00
Valsabbia - C
Terremoto due anni dopo

In viaggio fra Garda e Valsabbia

Nei paesi del dramma, ad ascoltare decine di cittadini, da Fasano a Clibbio, da Salò a Pompegnino, alfa e omega del disastro, già aggiustato, come se non fosse successo quello che è successo...
di Tonino Zana

Viaggio nei postumi del terremoto, due anni dopo, camminando verso il secondo anniversario del prossimo 24 novembre.
Diremo subito di essere stati nei paesi del dramma, di aver ascoltato decine di cittadini, sul Garda, in Valsabbia, da Fasano a Clibbio, da Salò a Pompegnino, alfa e omega del disastro, già aggiustato, come se non fosse successo quello che è successo.

Pressocchè all’unanimità, la risposta è stata questa: lo Stato l’abbiamo sentito fisicamente accanto, la comunità ha esposto una solidarietà quasi non percepibile prima, i Volontari, dagli Alpini alla Protezione civile si sono dimostrati, di nuovo, semplicemente straordinari, meritevoli di medaglia.

Oggi, due anni dopo, i 2mila sfollati sono rientrati quasi tutti nelle loro case ristrutturate.
I bresciani, con la lena storica di cui vengono riconosciuti, da Anchorage a Capetown, dall’Alaska al Sudafrica - e mettiamoceli indosso i meriti, quando ci spettano! - in 24 mesi hanno archiviato le macerie del terremoto, i danari sono arrivati, quasi tutti, pochi ancora in viaggio.
Più complicata la situazione delle chiese, per questioni storico-architettoniche, per la complessità e la grandezza dei costi, per la delicatezza dei movimenti e le verifiche degli Uffici. Ne parliamo presto.

Insomma, il terremoto è domato. Domato significa battuto sul terreno e timbrato nella mente, poichè ciò che non si dimentica si riconosce immediatamente nell’ora in cui dovesse bussare, di nuovo, alla porta del lago, della pianura, della montagna. Come è accaduto il 20 ottobre scorso. E tutto era già pronto a scattare come il 25 novembre 2004.

Le righe del giornale non rendono la fatica e le apprensioni di un terremoto capace di uccidere mezzo paese. Proprio così. Sarebbe bastata la sfortuna e conteremmo lutti pesanti. Il pluricitato terremoto del 1901, rispetto al nostro, è serie B.
Qui, ascoltando il commerciante e il turista, il pensionato e l’artigiano, l’edicolante, il sindaco e il parroco, registri la guerra superata di una notte e 24 mesi in trincea con il dono dell’ubiquità, con la testa sulle macerie da rimuovere, i progetti da affidare, i sopralluoghi da richiedere, i contributi da attendere e sollecitare e il proprio mestiere da portare a casa, la sera tardi, dopo una giornata piena di lavoro, il corpo e lo spirito divisi a metà, tra terremoto e normalità.

Così è per ogni gardesano, ogni valsabbino, a memoria di una tensione pari alla responsabilità di vivere in un luogo di acque, turismi, frutti, industrie e pure di storie sismiche. Oggi, più di ieri, il funzionario del municipio e il fruttivendolo di Salò, per citare la città simbolo del terremoto, spiegano di una coscienza di vivere e amare una terra di virtù e di rischi.

Il terremoto tracciò il confine a Fasano. Le bizze disastrose del sottoterra firmarono confini irrazionali: di qua, a Fasano, l’ospedale Santa Corona sfollato nella notte, scuole piegate e oggi ricostruite con una destinazione d’uso residenziale, fondamenta colpite dal ventre dalla terra; di là, verso l’est di Toscolano Maderno, Gargnano e Limone, rispetto all’area consaguinea di qui, quasi una specie di quiete, crepe, certo, ma non lo spavento e i pugni in faccia ricevuti ad occidente.
Per un disegno credibile del terremoto, ricorderemo che la chiesa di Castenedolo, nelle Basse, fu ferita a fondo e riaperta soltanto qualche settimana fa.

Ricorderemo le ferite alle gallerie dopo Villanuova, il sequestro di interi paesi in Valsabbia e sulle colline del Garda, di Pompegnino, Clibbio e Morgnaga. Due anni dopo, ripetiamo, senza stancarci, che i danni sono stati pesantissimi, ma per fortuna, e per le costruzioni antisismiche dopo il 1984, e la sveltezza degli aiuti e la competenza della commozione nessuno è rimasto sotto il corpo del diavolo.
Pure, levati in alto, presi per i capelli, dai nostri santi personali.

Tonino Zana
dal Giornale di Brescia


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