03 Novembre 2017, 13.37
Blog - Figurine di provincia

L'uomo della trequarti

di Luca Rota

Anni Novanta, primi anni Novanta. I gloriosi Anni Novanta del calcio italiano...


Nei moduli delle squadre di una Serie A inarrivabile (per presenza di campioni e livello delle singole squadre), appare un quarto numerino.
Ciò che prima era solo 4-4-2, 4-3-3, 3-5-2 o 5-3-2, vede l’approdo di un nuovo elemento.
D’ora in avanti si scriverà e si leggerà 4-3-1-2, 3-4-1-2, 4-4-1-1-, e non più 4-4-2 o 3-5-2.
Quell’uno, tra la seconda e la quarta fila, altri non è che il centrocampista più avanzato, quello che gioca dietro alle punte, sulla trequarti avversaria: il trequartista.

È in questo tempo storico ed in questa zona del campo, che nasce (e naturalmente non sarà il solo) Domenico Morfeo da San Benedetto dei Marsi.
Figlio talentuoso degli anni Novanta e di un vivaio da sempre generoso, mancino con buon uso del destro, ragazzo tutto classe e visione di gioco, compare sulla scena sulla trequarti, e lì vivrà fino alla fine dei suoi giorni calcistici.

Da Bergamo, dove esordisce non ancora maggiorenne, riesce subito ad inserirsi nell’Under 21 (allora ultra vincente) di Cesare Maldini, con la quale conquista l’Europeo di categoria nel ‘96. I numeri in campo sono alti, le aspettative pure.
Assist, talento, gol e giocate ne fanno uno dei più interessanti prospetti di metà decennio. 

È cosi che arriva la prima grande occasione.
La Fiorentina di Cecchi Gori e Batistuta lo acquista per diversi miliardi di lire.
Giunto a Firenze però, Morfeo sembra un altro giocatore. Poche presenze, pochi gol e poca convinzione. Ha così inizio un viaggio tribolante che lo vedrà trasformarsi, nel giro di appena un anno e mezzo, da acquisto pregiato ad esubero non gradito.

Ecco però che di colpo ed inaspettatamente, arriva il Milan, sua altra grande occasione.
Anche alla corte di Zaccheroni tanta panchina, gioca poco e da subentrante. Dopo lo scudetto della stagione 98/99 quasi va al Mondiale di Francia (Cesare Maldini spiegherà in seguito di averlo tenuto fortemente in considerazione e poi scartato, proprio perché non giocava abbastanza).
Due anni a Milanello e ritorno a Firenze, dov’è sempre poco gradito.

Spedito tra Cagliari, Verona e ancora Atalanta, fa l’ennesimo ritorno alla base in occasione del fallimento della Viola.
Si accasa all’Inter da svincolato. È la sua terza grande occasione.

Alla Pinetina trova un parco attaccanti veramente proibitivo.
Ache qui poco campo, e tanta panchina dietro ai vari Vieri, Ronaldo e Roberto Baggio. Così dopo sole due stagioni decide di lasciare i piani alti della massima Serie, e ritornare in provincia.

A Parma lo manda a chiamare quel Cesare Prandelli, che lo ha visto crescere nelle giovanili orobiche.
È qui, a 26 anni ed a quasi dieci stagioni dall’esordio in A, che Morfeo inizia a dare il meglio di se. Gol, ma soprattutto assist a raffica per Gilardino (che vincerà la classifica marcatori) e compagni sono il piatto forte della casa. Sei stagioni tra alti e bassi, tanto bel calcio che delizia i palati più fini, che finalmente hanno il piacere di ammirarne la raggiunta serenità in campo.

Resta però indelebile la discontinuità, altro piatto forte della casa. Perché si può tirare fuori il meglio da un calciatore, ma non cambiarne l’attitudine. E Morfeo discontinuo lo è sempre stato, e sempre lo sarà.
Ironia della sorte, anche i ducali falliscono, e l’uomo della trequarti si ritrova nuovamente svincolato.

Approda a fine carriera in quel di Brescia, dove non lascia alcun ricordo, così come nel passaggio a Cremona prima di ritornare a casa, tra i dilettanti.
Termina così, senza grandi celebrazioni, la carriera di un talento assoluto, da molti definito il trequartista ideale (come scriverà Roberto Mancini nella sua tesi a Coverciano, nda), per quel suo saper giocare tra le linee, per l’interpretazione di quel “vecchio ruolo nuovo”, metà centrocampista metà attaccante; spesso entrambe le cose, spesso nessuna delle due.

L’uomo della trequarti, calciatore tutto fantasia e discontinuità, sempre al servizio delle punte, sempre poco incline a rientrare.
Uomo delle occasioni perse, o magari di quelle avute, anche se sempre nei momenti, o nei posti sbagliati. 

Luca Rota




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