08 Agosto 2017, 13.34
Gavardo
Lutti

Il signor Losi

di John Comini

In questi giorni ci ha lasciato il signor Danilo Losi. Cerco nei cassetti della memoria e ricordo…


Ricordo quando suonavo al campanello dell’abitazione in Piazza De Medici. “Chi è?” domandava la moglie. “Sono il John Comini, c’è il signor Danilo? Mi servono le chiavi del Salone.” “Scende subito”. E il signor Losi scendeva dalle scale ed appariva con un mazzo di chiavi. Sì perché dietro la magia del teatro, dietro le scene comiche o tragiche di uno spettacolo c’era sempre chi apriva le porte della sala, chi accendeva le luci di sala, chi controllava se i camerini erano in ordine, chi dava un’occhiata alla caldaia o ai servizi igienici, chi dava indicazioni su come utilizzare i fari o l’amplificazione e chi aveva cura di quelle innumerevoli piccole cose che stanno “dietro le quinte” di una serata. E tutto questo lo faceva il mitico signor Losi.

 “C'è un sipario che s'alza c'è un sipario che cala
si consuma la corda e la tela
sì per noi vecchi attori e per voi vecchie attrici
i ricordi si fan cicatrici…
C'è una sedia da sempre nella fila davanti
riservata per noi commedianti
perché mai la fortuna,
che è distratta e furtiva
ha avvertito la sera che arriva…” (Branduardi)

C’erano alcune sere nelle quali il signor Losi mi lasciava il mazzo di chiavi del Salone Pio XI. Allora era segno che c’era qualche partita importante alla televisione. Io ovviamente lo sapevo già, perché come lui sono di fede juventina. Quando la nostra squadra ha perso la finale di Manchester del 2003 contro il Milan ai rigori, io e il signor Losi abbiamo messo il lutto: ci dicevamo che ormai il calcio è corrotto, che i giocatori sono mercenari, che non val la pena soffrire per 22 giocatori che corrono in mutande…Ma appena è ricominciato il campionato, abbiamo ricominciato a vivere… e a soffrire!

“E chissà quanti ne hai visti e quanti ne vedrai di giocatori che non hanno vinto mai ed hanno appeso le scarpe a qualche tipo di muro
e adesso ridono dentro a un bar,
e sono innamorati da dieci anni con una donna che non hanno amato mai
chissà quanti ne hai veduti, chissà quanti ne vedrai…
Ma Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore,
non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore,
un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia.” (De Gregori)

Il signor Losi era il re della Piazza De Medici. In piazza aveva gestito un piccolo market (dove adesso c’è la farmacia). In piazza conversava amabilmente con le persone che incontrava, ed era sempre cordiale ed aperto. In piazza, quando erano state tolte le panchine, aveva trovato il modo di fare una specie di singolare protesta, sedendosi su una sedia portata da casa. Quante discussioni facevamo sulla campagna acquisti della nostra squadra del cuore. Il signor Losi era sempre interessato ai giocatori giovani, conosceva i loro nomi anche se non erano famosi, me ne parlava sempre con la speranza che diventassero campioni. Ed io in cuor mio sapevo di suo figlio Roberto, strappato alla vita da un male incurabile quando non aveva ancora 18 anni. Non ho mai avuto il coraggio di parlarne. Riporto qui una lettera di un padre che ha perso il figlio…mi viene da piangere al solo scriverla…

“Penso che vivere la morte di un figlio sia la più dolorosa esperienza che un essere umano possa fare, un evento talmente straordinario e innaturale che non si può in alcun modo accettare o esorcizzare.

Sarebbe utile andare al di là della propria ragione per riuscire a gestire le emozioni a proprio piacimento e ottenere una spiegazione come e quando si desidera, purtroppo non è così. Quando muore un figlio, unico o no, è finita. Si viene travolti da un senso di distruzione, che renderà molto difficile il controllo della volontà. E la fine che si credeva lontana arriva improvvisa, spietata, lasciando poche possibilità di continuare a vivere a dispetto del sopravvenuto disordine biologico.

Da quel momento ti accorgi che la vita, per te, non è quella che conoscevi prima. Un pensiero fisso, sempre uguale. La lentezza del tempo, l’enormità del vuoto e l’attesa di un segno saranno i tuoi tormenti. Sensazioni a fior di pelle che ti tolgono la capacità di guardare e vivere ciò che ti circonda, fino a non sapere più cosa ci stai a fare. Si va avanti senza interesse, per abitudine…ma non sa di niente. Colori sbiaditi, sapori scomparsi, risate dimenticate. Un’esistenza piatta dentro una vita annullata dalla nostalgia di qualcuno di cui non riesci a fare a meno…tuo figlio! La perdita di un figlio ti fa capire ciò che vale e ciò che non vale niente. Ti fa capire quanto sei stato sciocco a trattenere le urla di gioia quando era lì con te. Ti fa capire che tutto ciò che vive è evanescente e niente di ciò che è bello può durare. Ti fa capire che tutto puoi sopportare ma non la sua assenza. Ti fa entrare in un mondo parallelo dove tutte le persone che ti circondano le percepisci come forme anonime, ti sembrano comparse messe lì di proposito per cercare di rassicurarti. Ma loro trascorrono il giorno vivendolo e non possono capire che per te il tempo si è fermato nell’istante in cui è andato via tuo figlio. A chi ti conosceva sarà impossibile fargli comprendere che tu non sei più quello che eri prima. Le sole foto e i ricordi non bastano…

Il dolore è il dolore…ma quello che si prova per la morte di un figlio non si riesce a spiegare…perché va oltre ogni conosciuta misura. Mi permetto di dire, con sincerità, a chi non ha avuto questa terribile esperienza di cogliere e godere tutte le cose che la vita offre, di vivere ogni giorno come fosse quello ideale, di rispettare i figli quando ci sono, perché la vera ed unica sconfitta si conoscerà solo quando si dovrà sopravvivere alla loro perdita.”

Ma tu, caro signor Losi, hai avuto la forza di andare avanti, hai sempre creduto negli altri, hai sempre avuto una parola buona con tutti (anche con milanisti e interisti…). E certamente sapevi cosa ha scritto Sant’Agostino: “Ama e fa ciò che vuoi; sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene.”

Mentre scrivo ascolto la stupenda canzone di Eric Clapton dedicata al figlio Conor, s’intitola “Lacrime in paradiso”
“Sapresti il mio nome se ti vedessi in paradiso?
sarebbe lo stesso se ti vedessi in paradiso?
devo essere forte e tirare avanti,
perché lo so che non appartengo qui al paradiso
Mi terresti la mano se ti vedessi in paradiso?
Mi aiuteresti ad alzarmi se ti vedessi in paradiso?
Troverò la mia strada attraverso la notte e il giorno
perché lo so che non posso stare qui in paradiso
il tempo può trascinarti giù
il tempo può piegarti le ginocchia
il tempo può spezzarti il cuore
costringerti a implorare perdono, implorare perdono
dietro alla porta c'è pace ne sono sicuro.
E so che non ci saranno più
lacrime in paradiso.
Devo essere forte e tirare avanti,
perché lo so che non appartengo qui al paradiso”

Caro signor Losi, io invece sono certo che il Paradiso c’è, ci deve essere. E adesso che hai lasciato qui nella piazza gli affetti, le emozioni, i desideri, la tua sedia, il Salone Pio XI, il tuo cammino è ricominciato sulle strade del cielo, magari con il bastone. E nell’infinito amore di Dio ritroverai tuo figlio Roberto, e lo abbraccerai, in un nuovo mattino pieno di luce.

John Comini (maestro John)


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