13 Aprile 2017, 15.03
Coldiretti

La guerra del riso

di Fabio Borghese

Quasi 500 agricoltori hanno lasciato le risaie della Lombardia per protestare a Roma contro il crollo delle quotazioni, l’import di riso dall’estero e la mancanza di un’etichetta d’origine che informi i consumatori su quello che stanno comprando


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“Così non possiamo andare avanti – ha detto Stefano Ogliari, 31 anni, che coltiva 120 ettari a Certosa di Pavia – tre chili di riso non ci bastano neppure per un caffè, mentre le importazioni continuano ad aumentare. Fra Thailandia e Vietnam ormai ci cade addosso roba da qualsiasi parte”. Mai così tanto riso straniero è arrivato in Italia come nel 2016 – spiega Coldiretti - da Oriente proviene quasi la metà delle importazioni, che hanno raggiunto il record storico di 244 milioni di chili. Grandi quantità sono arrivate anche da India (34 milioni di chili), Pakistan (25 milioni di chili) e Cambogia (17 milioni di chili). “In pratica – spiega Ettore Prandini, Presidente di Coldiretti Lombardia – un pacco di riso su quattro è straniero, ma visto che manca l’etichetta d’origine nessuno lo sa. E poi serve un’azione decisa da parte dell’Unione europea. Crediamo che sia il momento di attivare la clausola di salvaguardia per il ripristino dei dazi. La situazione dei risicoltori sta diventando insostenibile”.

A livello regionale – spiega la Coldiretti Lombardia – il riso è presente su oltre 100mila ettari (poco meno della metà di quello italiano), con l’84% concentrato nel Pavese che è anche la prima provincia risicola d’Europa. Le altre zone di produzione lombarde sono il Lodigiano con 2.300 ettari, il Milanese con 13.898 ettari e il Mantovano con 1.247 ettari. Una rete produttiva composta da quasi duemila aziende: più di 1.500 a Pavia, oltre 300 a Milano, 69 a Lodi e 67 a Mantova.

“Se andiamo avanti così molti non ce la faranno – spiega Fabio Camisani, 47 anni, 140 anni ettari a Gaggiano, in provincia di Milano – io resisto con mia moglie grazie alla mia piccola riseria e vendendo parte del riso direttamente ai consumatori. Cerchiamo di risparmiare sulle semine, ma con questi prezzi è tutto più difficile”. Infatti da dicembre – spiega Coldiretti - le quotazioni del risone italiano sono precipitate del 33,4% mentre sugli scaffali dei supermercati sono rimasti pressoché stabili con un danno per i consumatori e una perdita per i produttori stimata in 115 milioni di euro nell’ultimo anno. Dalla risaia alla tavola i prezzi aumentano di almeno 5 volte. Il risone italiano agli agricoltori viene pagato tra i 32 ed i 36 centesimi al chilo per l’Arborio e dai 33 ai 38 centesimi al chilo per il Carnaroli, mentre le varietà che arrivano dall’Asia vengono pagate ad un prezzo che è circa la metà di quanto costa produrle in Italia rispettando le norme sulla sicurezza alimentare e ambientale e i diritti dei lavoratori.

L’Italia – continua la Coldiretti - è ancora il primo produttore europeo di riso su un territorio di 237mila ettari coltivato da 4.263 aziende, per una produzione di 1,58 miliardi di chili, con un ruolo ambientale insostituibile e opportunità occupazionali, ma la situazione sta precipitando e a rischio c’è il lavoro di oltre diecimila famiglie tra dipendenti e imprenditori impegnati nell’intera filiera. La produzione nazionale - sostiene la Coldiretti - sarebbe più che sufficiente per coprire i consumi interni ma si preferisce speculare sulle importazioni low cost ad alto rischio perché è possibile spacciare il riso straniero per italiano a causa della mancanza di un adeguato sistema di etichettatura.



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