27 Ottobre 2016, 07.03
Fenomenologia della filosofia

Fra essere e conoscenza 2

di Dru

Domandante: Ottimo articolo. Bene la prima parte più oscura la seconda. Ma il problema che ho è nello staccarmi dal realismo o come dici tu il 'salto'

 
Domandante: Dove dici 'sordo' forse volevi dire 'muto'.
 
No, intendo proprio sordo, intendo appunto dire che quella coscienza che  ricevesse dalla supposta realtà fuori dalla coscienza qualcosa, non la sentirebbe, questa la coscienza sorda implicita nel ragionamento realista, questo il motivo esplicito  idealista.
 
La coscienza che non è la realtà, come può sentirla?
 
Domandante: Forse il vero problema è nel processo di astrazione della cosa pensata.
 
Il problema per il realista (non per l’idealista) sta proprio in questo, hai centrato il problema che solo l’idealismo risolve.
 
Se la “cosa pensata” è isolata dal pensiero, “cosa” da una parte e “pensata” dall’altra, e per volontà (scientifica) ogni cosa pensata lo è, allora per pensarla è necessario un “processo” (come lo definisci anche tu) di ricongiunzione di ciò che originariamente si pone come altro da sé.
 
Della “cosa pensata” la sola “cosa”, l’oggetto, è altro da “cosa pensata” e “pensata” è altro da “cosa pensata”, sicché la ricongiunzione o relazione di ciò che originariamente è pensato separato, è processo di astrazione che produce la relazione di ciò che originariamente lo è, dare valore al valore in altri termini.
 
“cosa pensata” è una cosa e la scissione volontaria di questa sola cosa dipende in principio dalla volontà di potenza su di essa, che vuole separato ciò che necessariamente non lo è.
 
Così è anche per il realismo che parla di un fuori che in realtà, la realtà pensante, gli è dentro.
 
Domandante: Lì in effetti la ragione, può produrre quel quid in più che è estrinseco alla cosa pensata.
 
Nulla è in verità in più di essa.
 
Ciò che appare quando penso ad un bambino che gioca, non è un bambino in carne ed ossa, ciò che appare quando vedo (che è una riduzione del pensiero) un bambino che gioca, non è lo stesso bambino che prima pensavo, magari è identico, ma non è lo stesso, qualcosa del contesto che appare è differente. Sicché è farlo lo stesso il nichilismo.
 
Domandante: Ma la ricerca della verità è sempre un processo di adeguamento alla verità in se stessa della cosa pensata.
 
Ottimo riassunto dell’attualismo gentiliano.
 
Domandante: Nel mio campo il tema è quello della ricostruzione dei fatti di causa ed il ruolo che giocano le prove, da un lato, ed il procedimento razionale, da un altro, utilizzato dal giudice di interpretazione dei fatti e delle prove acquisite.
 
La ricostruzione dei fatti di causa è sempre un processo di astrazione e per questo è sempre un processo della volontà di potenza, del nichilismo.
 
Il procedimento razionale vuole ricostruire la verità dei fatti, ma appunto se rileggiamo ciò che ho detto del bambino, un fatto in sé è irriproducibile, in quanto solo per astrazione si può concepire che la ragione che pensa ad un fatto sia causalmente prodotta da quel fatto, ma se il fatto non è la ragione, e questo pensa originariamente  la giurisprudenza scientifica, come può poi, realisticamente parlando, la ragione raccordarsi con quel fatto?
 
Domandante: Quando si dice che la verità giudiziaria può essere diversa da quella reale, significa appunto che è prevalsa una verità diversa da quella che è.
 
Il fatto che prevalga la differenza di verità è un fatto di realismo appunto.
Nulla in verità (nella verità realista) è collegato con il contesto (è nella coscienza del reale), ma la relazione dei termini di un contesto dipendono dalla capacità o volontà di potenza, ma la coscienza si unisce all’oggetto per forza, per capacità.
 
Domandante: E la verità della cosa rimane purtroppo distante anche a fronte di una motivazione logica immune da vizi.
 
La verità della cosa rimane addirittura irraggiungibile per il realista, la cosa è ben più drammatica di quanto solo tu supponi.
 
Domandante: E questo per un avvocato che difende una tesi che sa essere vera è una sconfitta inaccettabile.
 
E questo, caro domandante, è l’effetto di ciò che in realtà pensiamo noi nichilisti, in quanto originariamente siamo guidati dal significato greco della “cosa”.
 
Così mi pare di poter affermare che la Verità sempre ci precede ed è sempre più grande rispetto ai nostri errori o alla fatica della nostra ricerca.
 
Vedi che le affermazioni che facciamo sono impregnate del nichilismo, e che anche inconsciamente siamo guidati dalla coscienza di questi grandi significati; infatti, cosa significa qui nella tua sopra “affermare”? significa appunto fermare qualcosa, e perché e cosa  vogliamo fermare?

Perché il pensiero realista ieri e attualista oggi è guidato nel  processo in divenire  delle differenze (le cose  che nascono e muoiono), differenze che vengono pensate quindi originariamente separate, come quel “cosa pensata” sopra, che va separata in una condizione (realista) di impossibile ricongiungimento, impossibile per la verità idealista di qualcosa, che separata è appunto altro da sé, ma possibile per la sua volontà, e che solo con una volontà di potenza e forza infinita, la forza infinita che serve necessariamente a ciò che si pensa originariamente separati, viene ricongiunta  e che per questi motivi ci getta in una dimensione imprevedibile e di profonda angoscia e impotenza (il nichilismo moderno), che solo l’affermare (il tener ferma) tenta di prevedere per quel poco che dura (che il pensiero originariamente significa, vuol significare delle cose tutte).
 
La verità diventa così per forza più grande di quello che in realtà è, diventa qualcosa d’altro, che se vogliamo catturare va affermata appunto dove la “cosa” e il “pensata” va per forza tenuta assieme da una relazione, che se anche appare, originariamente è  inesistente.
 
Domandante: Ed è anche il dramma dell'intellettuale perché la Verità sfugge proprio allorché pensi di averla colta.
 
Il dramma è appunto la conseguenza di questi significati, non l’origine, poiché l’origine che ci sembra necessaria in realtà è solo una persuasione.
 
Ma è anche il senso profondo della nostra avventura umana, quella cioè di essere degli inappagati ricercatori di senso, fino a quando la Verità, nell'ora ultima,  ci apparirà in tutto il suo splendore.
 
Posso essere  d’accordo se non crediamo che l’ultima ora dipenda dal tempo o dal signore, e in tal senso avrei molto da dire, ma già queste parole sopra lo hanno indicato.
 


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