03 Settembre 2016, 15.21
Gavardo Valsabbia
Valsabbia

Se chi alza la voce ha sempre ragione

di Ubaldo Vallini

Questo venerdì mi sono recato all’ospedale di Gavardo per una visita. E l’episodio a cui ho assistito mi ha lasciato dell’amaro in bocca


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Dopo aver prelevato il numerino alla macchinetta mi sono seduto per aspettare il mio turno.
Poche persone davanti: una signora che ha lasciato subito lo sportello ed un uomo sulla settantina, che ne ha preso subito il posto.
Anche se ero seduto e quindi sufficientemente lontano da garantire la privacy di chi mi precedeva, ho capito che qualche cosa nella comunicazione fra l’uomo e la giovane donna all’interno della postazione non stava andando per il verso giusto.

Confesso che inizialmente, senza dir nulla ovviamente, mi sono trovato a solidarizzare con l’utente: a volte è davvero difficile orientarsi fra impegnative e ricette, prenotazioni e richieste varie.
Capita di sentirsi inadeguati, quando invece il tuo stato di paziente ti dovrebbe garantire maggiorni attenzioni da parte di chi governa la tua salute. Capita ed è frustrante.
 
Mi è parso di capire che l’uomo fosse in possesso di un’impegnativa rilasciata qualche mese prima, da una dottoressa che voleva poi rivedere il suo paziente a ottobre. E ancora mi sentivo dalla sua parte, che poi vedevo come fosse la mia, mentre l’impiegata spiegava che non era possibile ottenere quella visita entro settembre, visto che le prenotazioni arrivavano ormai a gennaio e così era anche negli altri presidi collegati all’Asl bresciana.
Con quell’impegnativa avrebbe dovuto presentarsi a giugno e non ci sarebbero stati problemi.

Poi qualche cosa è cambiato, all’improvviso.
L’uomo ha cominciato a perdere le staffe, vaneggiando prima di una prenotazione a Canicattì e poi alzando la voce e puntando i piedi: «Io di qui non me ne vado, voglio la mia prenotazione e la voglio per settembre» ha detto risoluto ed alterato.

Esaurito lo spazio per lo scambio civile di informazioni,
la giovane donna, protetta dal vetro altrimenti sarei intervenuto io in prima persona, si è guardata attorno sconsolata e poi ha preso in mano la cornetta del telefono.
«Vedi ora che arriva qualcuno che lo fa ragionare» ho pensato, mentre l’empatia provata inizialmente per quell’uomo velocemente scemava. 

E l’aiuto è arrivato, sotto forma di donnona in camice bianco che ha sorriso all’uomo e allungato un foglio alla collega.
Ne è seguito un veloce passare di carte dall’altra parte dello sportello e poi la consegna di una di queste all’uomo in attesa.

Sono rimasto a bocca aperta quando l’ho sentito rivolgersi all’impiegata con un tranquillo «bene, grazie» girarsi sui tacchi ed andarsene via.

Non è possibile, vuoi vedere che…
era il mio turno ed ho chiesto conferma, con gli occhi tristi la giovane donna di là dello sportello ha annuito: l’uomo aveva ottenuto quell’appuntamento che con prepotenza aveva richiesto.

Non va bene così

La mia era la prima delle tre visite che mi attendevano, un test da sforzo.
Lunedì 5 settembre ho in programma una ecocardiografia, il 19 di dicembre mi attende una visita dal cardiologo più eletrocardiografia.
Tre mattinate a Gavardo per un check che altre volte ero riuscito a fare in unica soluzione o al massimo due.

E se quando ho prenotato avessi picchiato i pugni sull’assicella di legno? Mi resta il dubbio che l’avrei ottenuta in unica soluzione quella serie di visite, magari anche nel giorno che più confaceva alla mia attività. 

Non lo farò mai, il mio senso civico mi fa considerare tale gesto degradante prima di tutto per la mia persona.
Ma non va bene così.
 



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