17 Maggio 2016, 23.31
Storia

40 anni fa, l'anno dei terremoti

di Giancarlo Marchesi

Il 1976 è passato alla storia come «l’anno dei terremoti». Nel ’76 infatti molti movimenti sismici si verificarono in aree densamente abitate, provocando migliaia di morti e devastazioni spaventose


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Un calcolo, seppure approssimativo, ha stimato in 40mila le vittime di quell’anno fatidico.
Dalla Turchia alla Cina, dal Guatemala all’Iran alle Filippine, ogni parte del globo fu segnata. Ma per noi italiani il 1976 è restato nella memoria per il sisma che il 6 maggio devastò il Friuli.

Sono da poco passate le 21 di quel 6 maggio, quando una violentissima scossa (grado 6,5) della durata 45 secondi sconvolse la regione. L’epicentro del sisma fu localizzato nella zona del monte San Simeone, ma le onde si propagarono in tutta la valle del Tagliamento.
Furono centinaia i paesi interessati: tra più colpiti vi furono Gemona, Osoppo, Venzone, San Daniele, Buia, Artegna. Con il passere delle ore e dei giorni il dramma assunse proporzioni catastrofiche.

Lo Stato intervenne con un commissario straordinario
per la zona terremotata, il sottosegretario agli Interni Giuseppe Zamberletti, che faticosamente, prima coordinò i difficili soccorsi e successivamente la faticosa opera di ripresa.

Solo dopo 15 giorni fu stabilito il numero dei morti: otre 970.

I senzatetto furono 70mila e un’intera regione sconvolta. Il florido tessuto industriale e artigianale di una delle aree più dinamiche del Nord-Est fu devastato, le ricchezze artistiche e culturale compromesse.

Ancora nel mese di agosto 40mila friulani vivevano sotto le tende, quando l’11 settembre altre due violente scosse di terremoto colpirono i paesi già semidistrutti dal sisma del 6 maggio, e Zamberletti dovette requisire alloggi in tutta la costa da Venezia a Grado per ospitare gli sfollati.

Questa tragica contabilità, che conta lutti e distruzioni, mise però in luce la mobilitazione portò molti ad impegnarsi per alleviare le sofferenze dei terremotati friulani: primi fra tutti gli Alpini del Bresciano.
Non a caso, tanti “Veci e Bocia” dei nostri paesi erano legati affettivamente a quelle terre poiché avevano svolto i mesi della “naia” nelle centinaia di caserme delle regione.

Ma non solo: anche gli organi di stampa nazionali e locali si mobilitarono per raccogliere fondi tra i propri lettori.
A distanza di quarant’anni da quell’evento, la lezione del terremoto friulano è sintetizzata dalla concretezza e dalla determinazione di quella gente, che ha saputo non solo rialzarsi ma rilanciare socialmente e economicamente la propria terra. 

Giancarlo Marchesi



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