16 Maggio 2016, 16.42
Psicologia infantile

Giochiamo alle bancarelle

di Barbara Podavini

Il gioco simbolico che perdura anche nell’età della scuola primaria: un’occasione di crescita e di sviluppo delle proprie capacità


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Vorrei raccontare un gioco che nei mesi scorsi ha preso piede, nella pausa ricreativa, alla scuola di mio figlio. Il tutto è iniziato da un gruppo di bambini, maschi e femmine e ci tengo a sottolineare l’eterogeneità, di una classe 5a ed espandendosi a macchia d’olio ha coinvolto quasi tutto l’istituto.  

Il gioco delle bancarelle, così era chiamato, vedeva dei fantomatici venditori impegnati nel proporre diversi generi di mercanzia ad altrettanto fantomatici acquirenti. Le merci erano per lo più prodotti fai da te, cioè oggetti creati da loro stessi, come braccialetti, collanine, portachiavi ma anche cellulari, computer portatili, giochini elettronici e macchine fotografiche naturalmente cartonati. Attorno a questi mercatini ruotavano poi tutta una serie di personaggi che a vario titolo partecipavano all’attività imprenditoriale. C’era chi stava al banco ad aiutare e, sotto le direttive del titolare, era addetto alla disposizione e al rimpiazzo delle merci, il commesso insomma!

C’era chi produceva i beni, le bambine nella maggior parte dei casi, che avendo maggiore manualità erano ritenute più abili nell’arte manifatturiera. C’era poi chi le aiutava a piazzare i loro prodotti, i rappresentanti! Mio figlio ad esempio riproduceva banconote di diverso taglio, le forniva ai venditori e le custodiva per loro, era quindi una sorta di banchiere. C’erano anche le spie che andavano di bancarella in bancarella per chiedere e confrontare i prezzi, quelli che oggi chiamiamo addetti alle indagini di mercato!

All’uscita da scuola, mi piaceva farmi raccontare da Tommaso, oltre a quello che era successo in classe anche come proseguivano le bancarelle. Spesso i suoi racconti mi facevano sorridere ma ancora più di sovente mi stupivano poiché venivo a conoscenza di quanto la mente di un bambino potesse creare con il solo ausilio della fantasia.

Sorprende trovare il gioco simbolico alla scuola elementare, soprattutto se si considera che questo, come spiegano gli studi dello psicologo Jean Piaget, riguarda una fase evolutiva del fanciullo che comincia a 18/24 mesi. Già intorno ai 2 anni, quindi, i bambini acquisiscono la capacità rappresentativa, cioè sono in grado di rappresentarsi mentalmente cose, oggetti, situazioni, persone indipendentemente dalla loro presenza. Ben presto sono in grado di compiere imitazioni differite, cioè di rappresentare azioni passate dei quali sono stati testimoni.

Frutto di tale fenomeno è il gioco del "far finta di", appunto il gioco simbolico, che presuppone un'imitazione differita e delle combinazioni mentali. Il piacere che traggono dal fare questo gioco sembra quindi accompagnarli poi per molti anni poiché ce li ritroviamo “tatoni”, in 5a elementare, che giocano ancora alle bancarelle!

Questa è senz’altro una forma di gioco simbolico che, proprio perché collocata in questa fascia d’età, assume connotazioni molto sofisticate poiché, oltre a fingere di vendere, i bambini erano stimolati a mettere in atto vere e proprie strategie di mercato atte ad incrementare i loro guadagni a volte anche a discapito della concorrenza che, dai racconti di Tommaso, con pochi riguardi spesso veniva dribblata.

Mi sono informata ed ho scoperto che alcuni studi più recenti hanno inoltre dimostrato che i bambini che fanno giochi di finzione sono più allegri e più disposti a manifestare la propria felicità agli altri; sviluppano autoconsapevolezza e dimostrano controllo sugli oggetti quotidiani; arricchiscono il proprio lessico; riconoscono le proprie emozioni e riescono a immedesimarsi negli altri; imparano la sequenza degli eventi diventando più flessibili anche nelle situazioni nuove.

Se la pratica del “far finta di” apporta tutti questi benefici è quindi il caso di dire “giochiamo tutti alle bancarelle”!



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